Indice: Politica

Ma andate a cagare voi e le vostre bugie. (La favola di Adamo ed Eva)

Chiedo venia trovo un po’ esagerato
pagare tre volte un litro di benzina
sentirsi dire con sorrisi di rame
che sono costretti dal mercato dei cambi
ma andate a cagare voi e le vostre bugie

Basta cazzate, basta. Non ricostruiremo un progetto di sinistra con le frasi fatte e i luoghi comuni. Non usciremo dalle rovine con le ipocrisie autoassolutorie. Basta. Basta. Facciamo i nomi, io per prima.

Adesso mi venite a dire che bisogna andare “oltre il Pd” (Romano Prodi, tra gli altri). Dopo che per anni siete stati al caldo in un Pd sempre più piccolo, chiuso, monocorde a spiegare che guai ad andarsene perché “siamo una comunità”, e a battezzare subito “padre nobile” chi ripeteva questa banalità ipocrita e falsa – falsa, dopo i 101, dopo Marino, dopo Letta, dopo le espulsioni dalla commissione di ex segretari e ex presidenti, dopo le dimissioni di un capogruppo senza dibattito e discussione, senza che nessuno fosse capace di dire che se il Pd avesse avuto “padri nobili”, sarebbero state impedite tutte queste cose senza bisogno di fare scissioni. Siamo una comunità, come no.

Santi numi ma che pena mi fate
strozzati inghiottiti come olive ascolane

Adesso mi venite a spiegare (Michele Serra) che l’atto di morte della sinistra sono state le elezioni in Emilia Romagna, quando votò il 37 per cento – in Emilia Romagna! -, ma grazie. Grazie da parte di tutti i gufi rosiconi, insultati perché guastavano la festa, “l’astensionismo è un fatto secondario”, certo. Adesso ci spiegate che invece del diluvio grillino è arrivata la valanga leghista (Sergio Rizzo, inviato in Toscana): ma quanto era bello prendere in giro chi diceva “non vedete la mucca nel corridoio”, non è vero?

Pensarsi arrivati dopo un lungo week end

Basta dire che è stata colpa di tutti allo stesso modo. Di chi diceva “così perdiamo” e di chi faceva così lo stesso, perché certo sono odiosi quelli che dicono lo avevo detto. E però lo avevano detto.

Basta dire che i problemi c’erano già prima, e in fondo Renzi ha addirittura frenato la caduta (Enrico Mentana). E certo che c’erano i problemi. E certo che forse la sinistra avrebbe perso lo stesso, di fronte all’onda di destra, anche senza gli errori di chi ha sbagliato. Ma un conto è perdere, un altro smobilitare, “perdere se stessi”, scrive Ezio Mauro. E però qualcuno lo aveva detto. Volete dirmi che anche con Bersani segretario il Pd avrebbe perso Imola? Ma nemmeno se lo vedessi succedere ci crederei. Ma basta.

Credo di notare una leggera flessione del senso sociale
la versione scostante dell’essere umano che non aspettavo
cadere su un uomo così divertente ed ingenuo da credere ancora
alla favola di Adamo ed Eva
favola di Adamo ed Eva

Basta dire che “tutti hanno fallito, e chi ha fallito deve lasciare il campo”. Fatemi i nomi. Chi ha fallito? Quando? Chi deve lasciare il campo? Quale campo? Se no sono solo frasi fatte, come quelle di cui vi siete cibati per anni a colazione, pranzo e cena, tipo “non voglio un partito pesante, voglio un partito pensante”: cazzate. Chi deve lasciare il campo? Perché? E soprattutto: siamo sicuri che non lo abbia già lasciato, e che ci siano da tempo praterie aperte davanti a gente che semplicemente non è capace di correre? Hanno fallito tutti allo stesso modo? Siamo sicuri?

E davvero “Basta con il renzismo e con ciò che l’ha prodotto, da D’Alema a Bersani” (Massimo Cacciari)? Davvero aver capito per primo la sfida di Renzi dentro il Pd, averla accettata contro il parere di tutti e averla vinta è uguale a “averlo prodotto”? Davvero Cacciari e quelli come lui sono innocenti e possono continuare a sputare sui “gruppi dirigenti del passato” e stabilire chi saranno i buoni del futuro?

E infine basta dire che “la gente vuole facce nuove”, basta. Ha vinto Scajola, vi volete rendere conto? Cosa vuol dire essere giovani? Vuol dire crederci, avere coraggio, entusiasmo, curiosità, generosità, capacità di mettersi in discussione, voglia di rischiare. Vuol dire voler cambiare il mondo, essere giovani. E invece non ho mai visto una classe dirigente più boriosa, supponente e poltronara di quella dei miei coetanei rottamatori – e di chi ne ha cantato l’ascesa. La gente vuole teste giovani, e voi siete vecchi dentro.

Siamo uomini troppo distratti
da cose che riguardano vite e fantasmi futuri
ma il futuro è toccare mangiare tossire ammalarsi d’amore

Ma è proprio vero che siamo un’#altracosa? Il governo Conte, Renzi e noi

Nel susseguirsi un po’ stucchevole e un po’ consolatorio di “Bravo!”, “Grazie!” con cui il Pd accompagna in queste ore il proprio addio ai ruoli di governo e l’assunzione dei doveri dell’opposizione, particolare entusiasmo ha suscitato ieri l’intervento al senato dell’ex segretario dimissionario. Non si può dire in effetti che a Matteo Renzi manchino grinta ed efficacia oratoria; e, nel caso specifico, nemmeno argomenti. Al di là di alcune affermazioni assai opinabili, come la rivendicazione di una differenza di stile, in particolare sui social, di cui da tempo il Pd non dà grandi prove, colpisce però nell’intervento dell’ex premier un punto politico sul quale con grande lucidità si è soffermato già ieri sera Filippo Penati su facebook. (continua sul sito articolo1mdp.it)

I 101 cinque anni dopo. La vera domanda non è “chi”, ma “perché”

(Scritto per Strisciarossa.it)

Il quinto anniversario del tradimento dei 101 ha riservato qualche amara soddisfazione a noi cultori della materia. Benedetta dall’autorevolezza della firma del direttore dell’Espresso Marco Damilano e dalla collocazione in prima pagina su Repubblica, sembra definitivamente affermarsi una lettura dei fatti che non solo arriva a suggerire se non i singoli nomi almeno l’identikit dei responsabili, attraverso un ragionamento logico che dalle conseguenze politiche del gesto risale all’indietro ai suoi autori/beneficiari nel mondo renziano e in quello dalemiano (la saldatura tra chi non voleva il Prof al Colle e chi voleva “abbattere il cavallo azzoppato” Bersani), ma che ha anche il pregio di individuare con precisione in quella vicenda “l’otto settembre del Pd”: non fu solo Prodi a essere “bruciato” quel giorno, ma il futuro del partito. Due punti che erano il cuore del nostro Giorni bugiardi, il libro di Stefano Di Traglia e mio uscito alla fine del 2013, e che allora risultavano un po’ meno mainstream di adesso. Continua a leggere

Caro Pd, una domanda: non era meglio Franceschini?

Sui nuovi presidenti delle camere, qualche considerazione.

  • questa non è la prima repubblica, questa è la proporzionale. Con la proporzionale devi fare politica. Fare la tifoseria non basta più. Salvini (soprattutto) e Di Maio hanno fatto politica. Politica significa: rapporti di forza, un obiettivo da raggiungere e un po’ di fantasia.
  • cambia tutto, ma la politica ha sempre le sue regole. Nella prima repubblica la “mossa Bernini” sarebbe stata fatta pari pari, con una piccola differenza: nessuno ne avrebbe parlato. Niente Salvini in Sala stampa, niente comunicato di Berlusconi infuriato. Però sarebbero apparsi lo stesso quei cinquantasette voti, e tutti avrebbero capito. E sarebbero iniziate le stesse telefonate e le stesse riunioni nel centrodestra. E sarebbe finita nello stesso modo: l’unico in cui poteva finire. Salvando il centrodestra o almeno le apparenze con un compromesso che tiene conto dei nuovi rapporti di forza interni.
  • la politica ha le sue regole: se Salvini avesse voluto presidente del senato la Bernini, ieri avrebbe votato la Casellati. Peccato: preferivo la Bernini.
  • #seceralaBernini fra l’altro ci saremmo potuti divertire un sacco a condividere se eravamo indignati i meme su suo cugino Gian Lorenzo a cui il comune di Roma ha appaltato piazze, fontane e palazzi. Mannaggia.
  • a differenza che nel 2013, i grillini sembrano in condizione di entrare un minimo nelle dinamiche politiche. Tenendo conto dei rapporti di forza, hanno eletto il presidente di una camera e un “meno peggio” del centrodestra nell’altra. Questa cosa, che il Movimento faccia politica senza bisogno di presidentarie e altre sciocchezzarie per costruirsi alibi e si assuma le sue responsabilità, è una novità ed è buona. Non tanto per i 5 Stelle, per la democrazia italiana.
  • evidentemente per i renziani gli inciuci sono inciuci se li fanno gli altri (Marini), poi diventano necessità quando li fanno loro (Verdini, e comunque è colpa di Bersani che non ha vinto), poi ridiventano inciuci se li rifanno gli altri. Distinzione tra ambito del governo e quello delle istituzioni: assente. Segnalo sommessamente che su questa linea “avete visto, hanno fatto l’inciucio, hanno votato con la destra, gnegnegne” il Pd rischia di non essere utilissimo né a se stesso né ad altri. E nemmeno credibilissimo, se posso dire.
  • io non so se sia vero che una parte del Pd (Franceschini?) voleva provare a mescolare i voti con i 5 Stelle per evitare che si accordassero con Salvini. Non so se sia vero, ma so che avrei preferito Franceschini o Zanda presidenti di una camera e che qualcuno mettesse una zeppa nell’asse tra Salvini e Di Maio, almeno sulle istituzioni poi sul governo si vedrà. L’avrei considerata una buona mossa politica. Non tanto per il Pd, per la democrazia italiana. Voi no eh?
  • quando ieri Salvini ha fatto la mossa Bernini, proprio non si poteva provare a fare una contromossa? Lanciare una candidatura che mettesse in difficoltà un centrodestra diviso e potesse arrivare al ballottaggio? Avete presente il metodo Grasso, scegliere un candidato che toglie voti all’altro (Schifani, ben più invotabile dai grillini al ballottaggio)? Forse era l’ultima occasione per provare a mettere quella famosa zeppa. Ma appunto bisognerebbe fare politica, evidentemente qualcuno preferisce di no. Del resto se la tua analisi del voto è “la ruota gira” non c’è da stupirsi che tu non ne senta il bisogno.
  • “e allora Liberi e Uguali?”. E allora niente: non puoi entrare in partita con così pochi parlamentari. Soprattutto se non c’è, la partita.
  • e comunque mi dispiace tantissimo per Giachetti e la Fedeli. (Pernacchia).

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Apologia di LeU. Dopo lo tsunami, le cose da cui ripartire

Ha ragione il mio amico Stefano Di Traglia, che lunedì mattina mi ha scritto: adesso sarebbe tempo di fare l’analisi del voto del 2013, quella che il Pd non ha mai voluto fare. Sono stati anni di analisi sbagliate, sbagliate perché fondate su una lettura illusoria della realtà. Ripartire dai fatti ci farebbe bene a tutti. Noi di Liberi e Uguali non abbiamo avuto la forza di invertire la rotta – e dovremo capire perché. Ma i fatti li abbiamo visti e l’analisi non l’abbiamo sbagliata. Continua a leggere

“Se uno è perbene deve dimostrarlo”. Riflessioni su un flame su twitter

Scrivo questo post come monito a me stessa, ma anche perché voglio che ci sia agli atti una mia versione dei fatti, in caso a qualcuno interessi. E infine perché penso che sia utile interrogarsi su quello che succede.

Ieri pomeriggio Barbara Collevecchio ha fatto un tweet con lo screenshot di vari insulti e auguri di morte a Bersani comparsi in rete il 5 gennaio 2014, giorno in cui venne ricoverato e operato d’urgenza al cervello. Il senso del tweet era: “Bersani ecco con chi tu vuoi alleare, con quelli che ti insultavano così quando stavi male”. Continua a leggere

Per carità, abbassate quel ditino. Sui commenti alla candidatura di Di Maio

Cerco di dirlo bene, con calma. Il punto non è tanto che, come ho provato già diverse volte a spiegare, secondo me con i grillini sbagliate tutto. Il punto è che c’è un limite oltre il quale si smette di essere comprensibili a chiunque, si diventa disonesti anche con se stessi. C’è un limite oltre il quale, se sei un giornalista, giustamente gli elettori smettono di leggerti. Se sei un politico, smettono di votarti. Magari sono anche d’accordo con te; ma non ti possono più prendere sul serio.

Allora intendiamoci. Non è che a me piaccia Di Maio, o che creda al meccanismo di quelle pseudo primarie grilline, o che apprezzi la sua prosa. Non lo voterò mai, né alle primarie né alle elezioni, Di Maio. Si può criticare Di Maio per mille motivi, o ignorarlo anche, al limite. Una sola cosa non si può dire: non si può dire Di Maio è un ignorante perché non sa che in Italia il premier non si elegge ma lo sceglie il presidente della repubblica. Continua a leggere

A Mieli e Tabacci, sul “rancore personale” che uccide l’analisi politica

Caro Paolo Mieli, come reagiresti se io facessi un editoriale in cui affermo che i tuoi articoli sulla sinistra risentono dei tuoi problemi irrisolti con tuo padre, che fu se non sbaglio giornalista dell’Unità? Caro Bruno Tabacci, le piacerebbe se un dirigente di Articolo 1 facesse un’intervista per sostenere che le sue scelte politiche sono frutto di un vecchio trauma infantile?

Non volevo scriverlo questo post. Ma è tutto il giorno che lo rimugino e ci sto male. Così voglio dire subito questa cosa, prima di abituarmici e smettere di pensarla. Se, tra professionisti del giornalismo e tra professionisti della politica, assumiamo come elemento di analisi la categoria del “rancore personale” non c’è più nessuna politica e nessun giornalismo possibile. Non siamo troll, e non possiamo parlarci come troll. Spendere l’argomento del “rancore personale” come un elemento “normale” di analisi dei fatti politici è la morte dei nostri due mestieri. È qualcosa che avrebbe fatto inorridire tutti i nostri maestri, nel senso professionale del termine, ma anche nel senso ideale. Perché è un atto di smisurata arroganza e illiberalità; perché uccide l’interlocutore, delegittimandolo come tale. Chiude ogni dialogo. Rende impossibile il dibattito e la risposta. Così muore il giornalismo, così muore la politica. Continua a leggere

Riflessioni su un “voto locale”. E un segretario in vacanza

Insomma, “è un voto locale”. Sarebbe bello rileggersi i commenti dei renziani quando nel 2012 il Pd vinse pressoché dappertutto ma perse Parma. “Parma oscura tutto il resto”, dettò la linea Debora Serracchiani. E Matteo Renzi ne approfittò per ribadire che bisognava assolutamente fare le primarie per scalzare Bersani prima della fine del mandato, perché Bersani “ci fa perdere”. Cinque anni dopo, invece, il voto è locale. Anche Genova, anche l’astensionismo da record, anche la destra in rimonta: è tutto locale. E chi dice il contrario, si capisce “vuole usare il voto contro di me”, l’infingardo. Mentre lui, Matteo, sta meritatamente in vacanza. Mica si vota a Firenze, è un voto locale. E poi, astuto, sa bene una cosa: che vedere lui in piazza a far campagna rischierebbe di motivare gli elettori dei partiti avversari. Un concetto che sfuggiva a un ingenuo come De Gasperi, a un Mitterrand, a un Barack Obama: tutta gente che, stolidamente, passava le campagne elettorali a far comizi. Senza rendersi conto del rischio che correva. E solo per un caso inspiegabile questi ultimi, ciononostante, qualche volta hanno vinto. Continua a leggere

Comunicazione Pd, la grillizzazione è completa. Autocitazioni varie e qualche altra domanda

Diversi colleghi nonché, a loro spese (e mi dispiace), parecchi militanti del Pd stanno prendendo dolorosamente atto che ormai la comunicazione del Pd non si distingue praticamente più da quella grillina: né nelle forme né nei contenuti, e nemmeno nel disinvolto ricorso alle tanto esecrate fake news. Perfino la mitica app Bob, la risposta renziankennedyana alla piattaforma grillina (e ti pareva) Rousseau, non è immune a quanto pare dal contagio. Continua a leggere