Monthly Archives: November 2014

Lo straniero

Lui sa fare tutto, ogni tanto lo chiamiamo per qualche lavoretto qui nel condominio. Ma di solito non è lui a chiamare, poi a quest’ora, boh. Tra il suo italiano e la sua timidezza mi ci è voluto almeno un quarto d’ora per capire cosa voleva. Dice che ha trovato una borsa e un portafoglio con dentro documenti di qualcuno, uno straniero. Dice che c’è anche un “biglietto per partire”, insomma: lui pensa che bisogna cercare subito questa persona perché forse deve prendere un treno. Capisco che si risparmierebbe di occuparsene lui, ma “c’è un biglietto”: è urgente. Mi chiede cosa deve fare. Dico ma non c’è un numero di telefono? Dice che non capisce cosa c’è scritto su quelle carte nella borsa, è la borsa di uno straniero che deve andare da qualche parte. Dico senti ma tu sei a posto? Ce li hai i documenti? Dice sì sì, a posto. Dico allora devi andare alla polizia o dai carabinieri. Sai dove andare? Ce ne sono tanti, non so dove sei adesso. Vedi le macchine parcheggiate fuori, c’è scritto polizia o carabinieri. Mi spiega che è dalle parti della stazione Termini. Dico allora vai alla polizia della stazione, o ferma un poliziotto qualsiasi dentro la stazione, ce ne sono sempre. Dice sì, ma per questo io ti ho telefonato. Dice io no italiano, paura che pensano che ho rubato io. Gli spiego che non deve avere paura, perché se avesse rubato o fatto qualcosa di male non andrebbe a cercare un poliziotto, cerco di convincerlo, dico che il poliziotto penserà come ho detto io. Ma lui finalmente riesce a dirmi quello che mi voleva dire: per questo ti ho chiamato. Perché se il poliziotto non mi crede, posso fargli vedere il tuo numero sul mio telefono e dirgli di telefonare a te. Io posso?

Ha richiamato. Dice tutto a posto, mi hanno solo fatto qualche domanda, ma tutto a posto. E dice anche: grazie. Dico hai fatto una cosa giusta, era uno straniero come te, magari poteva trovarsi in difficoltà. Dice: io quello ho pensato. Sei stato bravo, gli dico. Grazie.

Relazioni internazionali. I renziani e il Pse

Come è noto, sentir dire che Renzi “ha portato il Pd nel Pse” mi suscita una certa, motivata, irritazione. Così stamattina, dopo aver letto la lettera del presidente del consiglio a Repubblica (anzi per la verità già dopo le prime tre righe), ho ripubblicato il mio post di qualche settimana fa in cui spiegavo che il Pd oggi è nel Pse non grazie a Matteo Renzi, ma nonostante quello che ne pensavano Renzi e i renziani, che poi, buon per tutti, hanno cambiato idea.
Siccome qualcuno si è arrabbiato e mi ha insultato dicendo che racconto bugie (ma poi non mi ha saputo spiegare quali bugie), vorrei aggiungere altri due fatti circa coloro che sono stati scelti dal premier come i suoi più stretti collaboratori in fatto di politica estera e relazioni internazionali.
Il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, all’indomani del voto della direzione sull’adesione al Pse scrisse questo commento per Europa. Titolo e sottotitolo mi sembrano piuttosto espliciti.
Quanto al sottosegretario alla presidenza con delega alle politiche europee, Sandro Gozi, ha continuato a partecipare “a titolo personale” alle riunioni dell’Ade (lo schieramento centrista europeo, alternativo al Pse), anche per tutta la legislatura europea 2009-2014, cioè dopo che i deputati europei del Pd, sotto la segreteria Franceschini, avevano aderito al gruppo del Pse.
Si tratta, in entrambi i casi, di “renziani della prima ora”. Questo forse può aiutare a capire cosa si pensava e si pensa, in fatto di relazioni internazionali, nell’entourage stretto del premier. E come mai è stato così difficile, per i segretari che l’hanno preceduto (e tuttavia ci sono anche riusciti), costruire l’approdo del Pd nel campo della sinistra europea.

In quale direzione

Leggo che alla direzione del Pd di stasera, convocata d’urgenza con un sms e due giorni di preavviso in orario notturno, così da venire incontro – immagino – alle esigenze del territorio, si voterà su: Jobs act, legge elettorale, legge di stabilità e riforme costituzionali. Leggo che bisogna correre, correre, correre.
Speriamo che ci spieghino anche perché corriamo, con l’occasione. Perché con le aziende che chiudono, gli argini che crollano e il governo stabile fino al 2018 si debba correre tanto per fare subito subito la legge elettorale ad esempio.
Perché se “il patto scricchiola” e siamo pronti a proseguire senza Berlusconi non possiamo fare, come abbiamo sempre detto di voler fare, i collegi uninominali, invece di quella cosa delle liste un po’ bloccate è un po’ no, anche.
Perché se abbassiamo le soglie per far contenti i “piccoli” e anche i minuscoli, andiamo avanti con una riforma dichiaratamente pensata per rendere il nostro “un sistema fondato su due grandi partiti” (che poi non ho mai capito qual era il secondo grande partito, visto che Forza Italia è il terzo).
Cosa vuole fare insomma Matteo Renzi, a parte correre e dare titoli ad effetto ai giornali? Verso dove stiamo correndo, presidente? Se ce lo spiega in modo convincente, sarebbe importante. Se magari qualcuno stasera glielo chiede, ci fa un favore. Che noi possiamo solo guardare lo streaming, e comunque abbiamo già il fiatone. Grazie.

Un anno (bellissimo) di Giorni bugiardi

Un anno fa, il sei novembre, è uscito il nostro libro, Giorni bugiardi. Senza un complice come Stefano Di Traglia io da sola non avrei mai avuto il coraggio, per cui va a lui, oggi, il primo grazie.
Il secondo va a Pier Luigi Bersani, per la sua “non contrarietà” iniziale e poi per la sua guardinga e divertita disponibilità. E per le birre del pomeriggio, che aiutano a chiacchierare.
Il terzo ad Alessio Aringoli e agli Editori internazionali riuniti che ci hanno creduto insieme a noi.
Il quarto a Ivano Fossati che ci ha scritto la colonna sonora a sua totale insaputa.
Ma oggi volevo dirvi che in questo anno siamo stati, Giorni bugiardi e noi:
su tutti i giornali, grazie fra gli altri a Fabio Martini, Stefano Folli, Aldo Cazzullo, Pietro Spataro, Mariantonietta Colimberti, Wanda Marra, Tommaso Ciriaco
a Che tempo che fa grazie a Massimo Gramellini
a Roma, col presidente del consiglio Enrico Letta (grazie!) e la diretta Sky Continua a leggere

Leggende metropolitane: Renzi che portò il Pd nel Pse

Guardate è un dettaglio, lo dico io per prima. Infatti la maggior parte delle volte ormai faccio finta di niente anch’io. Tuttavia esiste anche l’amore di verità, alla fine. Il punto è questo: anche Ezio Mauro, nel suo bell’editoriale che tutti dovremmo leggere e discutere, oggi dice che “Renzi ha portato il Pd nel Pse”. La stessa cosa avevo sentito dire due sere fa in tv, da Fazio, da Massimo Giannini. Sono giornalisti importanti, persone serie, uomini colti. Per questo dico: ma ci credono davvero?
Io quella vicenda la conosco bene, l’ho raccontata da giornalista, ma non penso di avere più elementi per capirla di Giannini e Mauro. Per questo vorrei ricordare brevemente e molto superficialmente alcuni fatti. Fatti, non opinioni mie. I fatti sono questi: che il congresso del Pse a Roma, che si è svolto il primo marzo scorso, era stato convocato già durante la segreteria Bersani, ed era stato annunciato e organizzato durante la segreteria Epifani. Anche se qualcuno, non certo Mauro e Giannini, pensasse che una cosa del genere si decida e si organizzi in una settimana, ci sono le agenzie e gli archivi a dimostrare il contrario.
Il percorso lungo e difficile del Pd verso il Pse era iniziato già da tempo. Piero Fassino da segretario ancora dei Ds, si era adoperato al congresso di Oporto (dicembre 2006) per spiegare ai compagni del suo partito l’imminente costituzione di un nuovo partito di centrosinistra in Italia. In quel congresso, accolto come una star e invitato con un entusiasmo che creò in Italia anche qualche imbarazzo (“Join us, Romano!”) a unirsi alla famiglia socialista dal segretario Rasmussen, era intervenuto il presidente del consiglio italiano Romano Prodi.
Un altro passo importante lo fece un segretario non socialista, Dario Franceschini, dopo le elezioni europee del 2009, tagliando la testa al toro del “dove vi siederete in Europa” e decidendo, non senza dover fare qualche coraggiosa forzatura nel partito, che tutti i deputati europei del Pd si sarebbero iscritti, senza aderire al partito, al gruppo del Pse. La componente italiana venne affidata alla guida di un altro non socialista, David Sassoli, che si è adoperato per costruire un percorso comune.
Durante la segreteria Bersani, Sigmar Gabriel e Francois Hollande, (i leader socialisti dei due principali paesi europei) hanno fatto comizi nelle piazze del Pd e i vertici socialisti europei hanno partecipato ogni anno alle feste democratiche. Ci sono state centinaia di viaggi e di riunioni in tutto il mondo, organizzati da Lapo Pistelli e Giacomo Filibeck. Roma ha ospitato due volte i progressisti di tutto il mondo – democratici americani compresi – che insieme ai socialisti europei hanno dato vita alla Progressive Alliance, la conferenza mondiale dei progressisti, socialisti e non. In questo contesto si sono create le condizioni per superare anche le ultime obiezioni all’adesione del Pd al Pse, o comunque per portare tutto il partito verso quell’esito.
Quando dico “ultime obiezioni” intendo riferirmi agli ex Margherita e soprattutto all’area rutelliana, e cioè ai renziani. Mentre infatti personalità come Franceschini, Pistelli e Sassoli hanno lavorato per avvicinare il Pd al Pse, nel mondo renziano (e in un altro pezzo di ex Ppi, quello vicino a Beppe Fioroni) si sono accumulate sempre le resistenze più forti. Che poi, a congresso Pse convocato e deciso, il post ideologico Matteo Renzi abbia dichiarato, da candidato alle primarie, di non avere obiezioni all’adesione al Pse e che poi, divenuto segretario, non abbia rimesso in discussione le decisioni prese, va benissimo e per quanto mi riguarda è un suo merito. Che gli ultimi resistenti, tutti renziani, a parte un paio di eccezioni, abbiano poi votato in direzione a favore di un passo che, gliel’avesse chiesto un altro segretario, avrebbe provocato minacce di scissione e suicidi di massa, affari loro.
Tuttavia i fatti sono stati questi. È così che è andata. Ripeto non per amore di polemica. Ma solo per amore di verità: lo sanno tutti i giornalisti seri, ed è così che la dovrebbero raccontare.