Monthly Archives: September 2016

Il romanzo del proporzionale

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

Come nei romanzi, e a dire il vero come nella vita, anche in politica il passato torna sempre; soprattutto se non ci fai i conti. E c’è davvero qualcosa di romanzesco, o di psicanalitico, nell’improvvisa fiammata che ha riportato sulla scena il sistema proporzionale.

Paradosso delizioso, è stato proprio il Movimento 5 stelle a innescare la miccia: sganciandosi dalla trappola tra coerenza e convenienza, nel dilemma se opporsi o fare buon viso a una legge – l’Italicum – che, voluta dai loro avversari e da loro violentemente contrastata, ora sembra doverli accompagnare alla vittoria, i grillini hanno rilanciato portando all’estremo la parola d’ordine dell’uno vale uno, dello scettro ai cittadini; noi siamo per proporzionale e preferenze, hanno detto.

Come per un riflesso condizionato, dal Pd è scattata l’accusa sanguinosa: allora volete tornare alla prima repubblica! E pensare che la proposta pentastellata in realtà, prevedendo collegi piccoli e nessun riparto nazionale, somiglia, più che al sistema in vigore in Italia fino agli anni 90, a quel sistema spagnolo che tanti consensi ha avuto proprio tra i Democratici, e in particolare nell’area del Pd che oggi più difende l’Italicum. Sistema, quello spagnolo, sul quale pure molto si poteva dire e criticare, visto lo stallo che due successive elezioni in pochi mesi non sono riuscite a sbloccare in quel paese. E invece no: sulla prima repubblica si è affannato a dichiarare il Pd. Favorendo su giornali e social network l’uscita allo scoperto di qualche voce – non solo del passato – che tutto sommato, e soprattutto nel confronto col presente, una lancia per i vecchi tempi è disposta a spezzarla.

La verità è che la proporzionale, come in un romanzo o come nella vita appunto, mette tutti di fronte alle loro contraddizioni. Innanzitutto i 5 Stelle, certamente: perché con un sistema non maggioritario e senza premi i partiti, anche i partiti che arrivano primi alle elezioni, sono costretti a dialogare in parlamento, a cercare maggioranze, a fare alleanze. Ma anche l’alzata di scudi del Pd è contraddittoria, e non solo perché l’anima proporzionalista nel Pd è forte, sia nell’area di ascendenza Dc che in quella post comunista, ma perché il rapporto col passato, in questo partito quasi totalmente renzizzato al vertice ma molto inquieto nella base, è un tasto delicato. Terracini e Dossetti, Togliatti e Calamandrei sono stati tirati per tutte le giacche possibili per motivare la modifica del bicameralismo che sarà oggetto del referendum costituzionale. E d’altro canto Renzi per sostenere le ragioni del Sì, ripete spesso che “prima di lui” si cambiava governo quasi ogni anno; e spesso gli viene risposto non a torto che negli ultimi vent’anni la stabilità dei governi è stata grande (uno peraltro l’ha fatto cadere lui), mentre negli anni del pentapartito la caduta di un governo era frequente ma in fondo non così destabilizzante.

Ma forse la verità è che la proporzionale non mette tanto in discussione il giudizio sulla prima repubblica, ma sulla seconda; e può darsi che anche su questo – come in altri casi – il Movimento 5 Stelle intuisca qualcosa che poi non necessariamente sarà capace di tematizzare. Non sarebbe invece ora di chiedersi che cosa ha prodotto il mito dell’uomo solo al comando? Del maggioritario esasperato, degli slogan secondo cui si deve sapere la sera stessa delle elezioni, ma che dico un minuto dopo la chiusura delle urne, chi ha vinto, chi è il capo? Questa retorica (appunto) anni 90 ha reso la politica più efficiente? Le decisioni più veloci? I politici più stimati? Ha davvero semplificato il sistema? Lo ha rinnovato? Ha contrastato mali antichi come il trasformismo o la corruzione? Di più: questa retorica anni 90 (ripeto) è ancora, oggi, il nuovo? È l’orizzonte verso cui va la politica, negli altri paesi europei e nel mondo? Qui non si tratta, intendiamoci, di sognare di ripristinare un passato remoto peraltro spesso mitizzato. Era un altro mondo, un’altra storia, oltre che altri leader, altri partiti, altri parlamenti. E tuttavia sarebbe utile, penso, alla politica italiana, guardarsi indietro con un po’ più di calma e senza i vizi della propaganda, distinguere tra passato e passato, tra errori e passi avanti. Come nei romanzi, e come nella vita, è quello che si fa per diventare adulti.

 

La grillizzazione di tutti (non solo del Pd)

Questo post è una battaglia persa: so già che finirà travolto dagli opposti fanatismi. Lo scrivo lo stesso perché ne sento l’urgenza, e anche come un dovere di sintesi dei pensieri di tanti amici. Non mi interessa analizzare gli errori dei Cinque stelle: c’è un sacco di gente che li conosce meglio di me ed è più brava di me a farlo, né mi pare che di tali analisi ci sia carenza. A me – lo sapete – interessa il Pd, soprattutto. E mi interessa l’opinione generale e il futuro di questo paese, delle sue classi dirigenti e di chi scrive i giornali, e di chi va a votare – spesso per i grillini – o non ci va. Per questo provo a mettere in ordine alcune cose che ho pensato in questi giorni, in relazione al caso Roma. Lo dico nel caso si ritenga necessario che venga detto: riflettere sull’efficiacia di alcune critiche ai Cinque stelle non significa assolvere i Cinque stelle o essere grillini. È che io penso che se la realtà dimostra che il grillino ha torto e tu ragione, dovresti incartare e portare a casa: non rimproverare il grillino di non essere abbastanza coerentemente grillino. Anche perché, temo, per quanto tu ti grillizzi il grillino resterà comunque più coerentemente grillino di te. In ordine sparso:

Streaming. Ok, dicevano che avrebbero deciso tutto in streaming e invece manco per niente. Ma possibile che adesso lo streaming sia diventato un valore assoluto? Possibile che a fronte di quello che succede il rimprovero che si fa ai grillini sia “e lo streaming?”. Io non ho niente contro le riunioni in streaming, intendiamoci. Ieri su twitter ho ricordato a qualche smemorato che non sono stati i grillini a pretendere lo streaming con Bersani: lo streaming è stata un’idea di Bersani, una sfida ai grillini se volete. E durante la segreteria Bersani il Pd riuniva la direzione in streaming, come adesso. Però: siamo sicuri che sempre, ogni riunione e ogni decisione nella vita di un collettivo vada per forza fatta in streaming? Meglio: siamo sicuri che chi fa le riunioni in streaming prenda le decisioni durante quelle riunioni? Faccio un esempio, e mi scuso con l’interessato: guardavo Orfini a La7 l’altra sera, e parlava anche di streaming, dicendo che solo il Pd fa lo streaming. Ora, certo che Orfini è stato nominato commissario di Roma durante una direzione trasmessa in streaming: ma mica è stato deciso durante quella riunione di nominarlo. Renzi è arrivato e l’ha proposto, tutti gli interessati lo sapevano già, chi ha voluto ha detto la sua in proposito, poi c’è stato un voto e ovviamente la proposta di Renzi è passata (e sorvolo sulle modalità con cui è avvenuto il rinnovo di quell’incarico alla scadenza, a proposito di mail). Mi sembra perfettamente normale che un partito abbia un gruppo dirigente che di fronte a una crisi prende decisioni sapendo di avere la maggioranza per vederle approvate, peraltro. Poi si può votare in streaming, ma non mi sembra un buon motivo per mitizzare una modalità di decisione che non ha senso, e infatti non esiste. Quindi meglio dire “visto grillini che il mito dello streaming è una mezza cazzata?”, piuttosto che dire “e perché non fate lo streaming? vogliamo lo streaming! noi sì che facciamo lo streaming!”.

Andare in tv. Riprovazione generale e hashtag assortiti per Di Maio che dà buca a Semprini, cosa effettivamente antipatica sempre, dare buca intendo. E però ve lo devo dire: un dirigente politico che di fronte a un’emergenza nel suo partito disdice una comparsata in tv per partecipare a una riunione, fa bene. Punto. Fa il suo dovere. E siccome è più facile che avvenga il contrario, siccome è anche successo che sia mancato qualche voto alla maggioranza in aula e qualche senatore si sia giustificato dicendo “ma ero in tv”, attenzione. Molta. Anche all’effetto che fa.

Curricula. Non entro nel merito dell’avviso di garanzia (di cui non sa niente la Raggi, figuriamoci io), e delle bugie o mancate verità sull’avviso di garanzia che sono comunque da condannare, come tutte le bugie dette agli elettori. Però bisogna decidere con chi stare. Se di fronte alla sfida del governo gli amministratori grillini si accorgono che anche le competenze servono, che si può anche coinvolgere chi ha qualche esperienza e competenza, mi pare una cosa buona. Se questi esperti che lasciano un lavoro sicuro lasciandosi coinvolgere dalle incertezze della politica poi non lavorano gratis ma chiedono uno stipendio all’altezza di quello che avevano, mi pare una cosa giusta. La stupidaggine era teorizzare il contrario. Non è che gli puoi dire “aaaaah, ma avevi detto che uno vale uno!”. Gli devi dire “visto che uno vale uno era una cazzata?”. (A margine: quando si sono dimessi Minenna e la Raineri ho letto che esponenti del Pd dicevano che così veniva estromessa l’anima “di sinistra” consegnando la giunta Raggi alla destra. Non so se sia vero, ma mi son chiesta: se è vero, perché il Pd ha criticato la Raineri per lo stipendio e Minenna per il conflitto di interessi ogni giorno che sono rimasti in giunta?).

Giustizialismo. Qui la faccenda è seria: il garantismo è un valore o no? Perché se è un valore devi rallegrarti che il grillino lo scopra, c’è poco da fare. Per quanto interessata e pelosa sia la scoperta, se al Movimento Cinque stelle o al Fatto quotidiano capiscono che un avviso di garanzia non è una condanna e che non tutti i capi d’accusa sono uguali e che non è detto che chiunque faccia politica o collabori con i politici sia un lestofante è un passo avanti per tutti. Non per i grillini o per il Fatto quotidiano eh: per tutti. Se invece di dire questo cavalchiamo noi il giustizialismo per rimproverare i grillini di non cavalcarlo abbastanza, apriremo un’autostrada culturale al giustizialismo. Inutile dire a vantaggio di chi.

Incapaci. Si continua a ripetere questo argomento – vero – dell’incapacità e dell’inesperienza. Però la campagna elettorale è finita. Se ti sei fatto asfaltare dagli incapaci, io starei attenta a non esagerare nel ricordarlo. Anche perché qui, qui a Roma dico, nessuno si è preso la colpa (né in streaming né senza streaming), nessuno ha fatto un’analisi e nessuno ha fatto passi indietro. E dirò di più: se gli elettori votassero i capaci ci sarebbero altri sindaci in tante città, da Torino a Matera. Se gli elettori volessero i capaci forse ci sarebbe anche qualche altro ministro nel governo. Sarebbe meglio chiedersi, e provare a spiegare, perché è meglio votare i capaci e gli esperti piuttosto che gli incapaci e gli improvvisati. Però bisogna avere titolo per farlo credibilmente, temo.

Politica. In conclusione, lo ha scritto benissimo Antonio Polito, “Il vero grande problema dei Cinque Stelle si potrebbe definire esistenziale, ed è stato macroscopicamente confermato dalla crisi di Roma: il suo progetto iniziale, l’utopia rivoluzionaria su cui si fonda, gli impedisce di risolvere i problemi del far politica con gli strumenti della politica democratica. Questo avviene perché il M5S in fondo non crede nella politica. Crede solo in sé, come prefigurazione in nuce di una società ideale, e dunque unico soggetto capace di interpretare e applicare la «volontà generale» dei cittadini, che si esprime attraverso la Rete. Non a caso il software approntato dalla Casaleggio Associati si chiama Rousseau, non Montesquieu. Si nega così una visione laica della politica, basata sulla separazione liberale dei poteri”. Ecco perché bisognerebbe uscire da questa situazione – citazione implicita per intenditori – ritornando alla politica. Cioè: avete presente la grillizzazione? Ecco, bisognerebbe fare il contrario.

Se il jobs act aveva le ruote

“Ma che sagoma Mentana” è il tormentone dell’estate, va benissimo, mi unisco. Aggiungo però due cose:

1) può essere pure che il jobs act andava fatto dieci anni fa. Penso di no, penso che se lo avesse fatto Berlusconi saremmo stati contrari, ma ammettiamo che. Bene: dove sono le dichiarazioni di Matteo Renzi pro jobs act di dieci anni fa? E sennò è troppo facile eh.

2) Matteo Renzi governa adesso. Ricordate questa parola? “Adesso”? Bene, conta come il jobs act funziona adesso, non come avrebbe funzionato dieci anni fa. Leadership è, appunto, comprendere la contemporaneità. Come avrebbe detto il sindaco di Firenze quando faceva i comizi in camicia bianca.