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Se oltre al ritorno di chi sa, tornasse la complessità

Scrive oggi sul Corriere in un bell’articolo Goffredo Buccini (“Il ritorno di chi sa“, è il titolo) che grazie al Coronavirus sta forse finalmente finendo la stagione dell’incompetenza, un assurdo periodo caratterizzato dagli slogan dell'”uno vale uno”, dalla diffidenza verso i “professoroni” e dal considerare l’inesperienza come valore aggiunto.
Spero che sia così, sarebbe un bell’ex malo bonum. E tuttavia sarebbe ancora più bello se questa vicenda ci insegnasse anche che nemmeno “gli scienziati” sono rockstar o santoni per cui fare il tifo. La comunità scientifica, stiamo imparando in questi giorni, è qualcosa di plurale, fatta di uomini e donne che pur competenti non sempre la pensano allo stesso modo e che attraverso il pluralismo e il confronto si avvicinano, insieme, alla verità. E a volte la verità, come in questo caso, va ancora cercata.
Questo virus, a quanto pare, si diverte a spiazzarci. Si prevedeva che il pericolo sarebbe stato cinese, la zona rossa – per il calcolo delle probabilità – in Toscana, l’epicentro le grandi città; invece abbiamo i focolai nella Bassa lodigiana e sui Colli euganei, i positivi asintomatici, il paziente zero missing, e non si trova un cinese infetto praticamente nemmeno a pagarlo. Praticamente, ne sappiamo meno di una settimana fa. Tutti. Forse abbiamo confuso le idee al mondo. Ed è esattamente grazie a questo, che tra un po’ il mondo ne saprà di più. Perché è esattamente così che progredisce la ricerca, grazie a nuove domande che portano a risposte più esatte.
Se “grazie” all’emergenza e agli imprevisti (e all’imprevedibile) imparassimo a piantarla coi virologi di partito “che non hanno sbagliato un colpo”, lo snobismo da social su qualunque “incompetente” abbia la responsabilità di decidere qualcosa, la pretesa che tutto quello che succede nel mondo sia per forza “colpa” di qualcuno che manco a dirlo dovrebbe “dimettersi”, avremmo fatto un bel passo avanti. Oltre al ritorno di chi sa, sarebbe il ritorno di un po’ di umiltà. E, forse, di maturità. 

Ma come fanno le liste? No, come fanno le leggi elettorali

Adesso mi cerco un po’ di guai. Michela Rostan era una deputata uscente. Eletta nel Pd dopo aver vinto le primarie nel suo territorio, la provincia di Napoli, era passata ad Articolo Uno. E’ stata ricandidata come capolista in un solo collegio, il suo: Campania 1. Non è stata “garantita” in alcun modo. Anzi: nella circoscrizione della Campania Articolo Uno puntava come è ovvio e come qualsiasi partito farebbe a “garantire”, per quanto possibile, il suo coordinatore e fondatore Arturo Scotto, capolista negli altri due collegi di Napoli, quelli della città. Invece è scattato quello della provincia, Scotto è fuori dal parlamento e la Rostan è deputata.

Perché? Chiedetelo a Rosato. Guardatela, la legge elettorale. Non è un caso se il meccanismo di assegnazione dei resti è stato ribattezzato “il flipper”. Per un partito medio grande è sempre possibile garantire qualcuno con un buon posto nelle liste proporzionali, ovviamente. Per un partito che supera la soglia elettorale di poco il meccanismo diventa semplicemente random. Tra migliori perdenti, ordine decrescente dei quozienti, pluricandidature senza possibilità di opzione, incrocio dei resti, il risultato è totalmente casuale. La verità è che se oggi abbiamo persone che ci rappresentano pienamente (almeno a me) come Speranza, Bersani, Fornaro, Epifani, Stumpo, Conte, Errani in parlamento è perché abbiamo avuto culo. Con altri, da Cecilia Guerra a Scotto tanto per fare solo due nomi, ne abbiamo avuto meno. Altri, infine, hanno avuto culo loro.

Io non dico che non siano stati fatti errori e forzature al momento di decidere i candidati. Dico che ad avere saputo che Articolo Uno eleggeva otto deputati ci è andata bene. Potevano essere otto sconosciuti capitati lì per caso. Il consenso, i voti dei cittadini non c’entrano niente, e nemmeno, ripeto, i tentativi legittimi di un piccolo partito di garantire almeno il suo gruppo dirigente ristrettissimo, cioè la sua identità e la sua continuità. Per quanto mi riguarda, da ex candidata in Toscana, sono felicissima di aver contribuito a “garantire” il nostro segretario nazionale, Roberto Speranza. Chi bisognava garantire? Me? Andiamo, cerchiamo di non essere infantili.

E soprattutto cerchiamo di fare meglio le leggi elettorali in futuro, smettiamo di accettare alchimie cervellotiche che generano solo nuova antipolitica (vi ricordate i pezzi sui deputati “ripescati”? “Ripescati” cosa, quando era ovvio che per una lista delle dimensioni di quella di LeU le candidature nei collegi potevano essere solo di servizio?).

Per il resto, per quanto riguarda la vicenda specifica, non merita spendere molte parole. E poi ha già detto tutto proprio Scotto: il vincolo di mandato no, ma bisognerebbe almeno introdurre il vincolo di dignità.