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Fare propaganda è legittimo ma Meloni rischia di farsi (e di farci) molto male

Pubblicato su The Post Internazionale

di Chiara Geloni

“Vengono da tutta Europa a fare i rave qui in Italia perché da loro sono vietati”, hanno detto diversi esponenti del governo per motivare l’improvvisa(ta) e insensata norma contro le “adunate sediziose” dei giovani, varata per fronteggiare un’emergenza che non c’era e di cui nessuno aveva mai parlato, con l’occasione di un rave già disperso in quelle stesse ore a Modena da una brava prefetto e da un bravo sindaco che si sono presi il tempo per dialogare, convincere, risolvere il problema senza bisogno di nessuna legge ad hoc.

“Basta Italia maglia nera per la sicurezza”, ha rincarato Giorgia Meloni difendendo il suo primo decreto dalle critiche. Non era vero. Come ha spiegato dettagliatamente Giulia Merlo su Domani, in tutti i grandi paesi europei ci sono regole per i rave party ma sono regole infinitamente meno restrittive di quelle attualmente in vigore in Italia in virtù del primo decreto Meloni. Definiscono precisamente cos’è un rave ed entro quali limiti di autorizzazioni, di sicurezza, di rispetto della quiete pubblica deve svolgersi, prevedono sanzioni e multe. In nessun caso il carcere.

Ora, al di là del merito, il fatto è che non è la prima volta. Il limite al contante non funziona contro il nero, ha tuonato la premier. Non era vero, e lo ha dimostrato numeri alla mano un recente studio di Bankitalia.

L’Italia è il paese che ha avuto più morti per Covid al mondo, ha accusato Meloni. Non era vero, e lo ha dimostrato uno studio dell’Università cattolica: siamo stati al quinto posto nel 2020 per numero di decessi ogni 100 mila abitanti, nonostante il fatto di essere stati colpiti per primi in Occidente. E siamo scesi al cinquantatreesimo nel 2021, grazie agli effetti del lockdown e al successo della campagna vaccinale.

Troppi indizi fanno una prova: c’è un problema. Fare propaganda è legittimo, ma finire per credere alla propria propaganda è molto pericoloso, soprattutto quando dall’opposizione passi al governo. È un abbaglio fatale che ha perduto molte giovani promesse, Matteo Renzi in testa: si ricorderà il 2016 quando il giovane premier che il mondo ci invidiava andò a sbattere volontariamente a cento all’ora offrendo la sua testa all’“accozzaglia” del No e a una sconfitta annunciata dalla logica prima ancora che dai sondaggi.

Ma c’è un’altra trappola della propaganda che la destra farebbe bene a non sottovalutare. Al di là di quello che scrivi (male) nei decreti e nelle dichiarazioni di intenti o che dici nelle conferenze stampa, quando sei al governo le cose che dici creano un clima. Ricordiamo i fatti di Genova nel 2001: è un errore che la destra ha già fatto e che l’Italia ha già pagato. Sarebbe difficile accettare un bis.

Non è tanto un decreto scritto male sui rave, che per fortuna il Parlamento correggerà, il problema. È l’idea che coi ragazzi funzioni solo la repressione, che il manganello sia meglio delle parole, che chi fa casino debba essere messo al suo posto con le buone o con le cattive che è pericolosa.

Non è tanto far rientrare due mesi prima al lavoro duemila medici No vax il problema. Sono gli argomenti infondati e falsi con cui fai intendere che le norme anti Covid e sui vaccini non servivano, e adesso finalmente ce ne possiamo infischiare, contro il parere di tutta la comunità scientifica, non solo degli amici di Roberto Speranza.

Se non capisce rapidamente di non essere più all’opposizione, Giorgia Meloni rischia di farsi molto male. Ma soprattutto di farne all’Italia.

Il successo della Meloni sta in ciò che noi abbiamo buttato

Intervista a Lo Speciale

di Americo Mascarucci

Si dice sempre che il buongiorno si vede dal mattino e il governo Meloni ha già dato chiari segnali che sembrano delineare il percorso su cui intende muoversi nei mesi a seguire; ma anche l’opposizione ha fatto il suo esordio, dimostrando subito una scarsa volontà di marciare unita. E poi c’è la novità del primo premier donna che viene da destra e da un partito che è erede del Movimento Sociale Italiano, proprio a cento anni di distanza dall’avvento al potere del fascismo, fatto questo che in tanti evocano come un triste presagio. Ma c’è anche chi a sinistra vede la vittoria della Meloni come un’opportunità da sfruttare per poter ricostruire un’alternativa seria, convincente e soprattutto competitiva. Di questo abbiamo parlato con la giornalista e politologa Chiara Geloni vicinissima alle posizioni di Pierluigi Bersanidirettrice del sito di Articolo Uno.

Se il buongiorno si vede dal mattino, come valutare l’esordio del governo Meloni?

“Non mi sembra un governo di grande qualità, almeno a giudicare dalle persone che lo compongono che non risultano di altissimo livello. Eredita inoltre una situazione molto difficile e di questo sembra avere piena consapevolezza, così come della necessità oggettiva di dover compiere probabilmente scelte non popolari. Giorgia Meloni lo sa bene, e in questa prima fase sta cercando di dare dei segnali di novità sul piano dello stile, del lessico, delle parole, delle denominazioni, e cavalcando al massimo il fatto di essere la prima donna a guidare un governo. Siamo dentro una fase in cui sta contando molto la forma, mentre la sostanza è ancora tutta da vedere e temo che non ci stupirà più di tanto. Sono anche convinta che non darà grosse soddisfazioni agli elettori di centrodestra”.

Nei giorni scorsi è sembrata rimproverare la sua parte politica, evidenziando come il successo della Meloni sia stato determinato proprio dall’incapacità della sinistra di fare per prima ciò che ha saputo fare oggi lei. Può spiegarci meglio questo concetto?

“Sono una persona di sinistra che certamente non può essere contenta di questa vittoria della destra. Allo stesso tempo però la riconosco e cerco di trarne una lezione utile per ripartire. Giorgia Meloni ha intrapreso un percorso politico intelligente, soprattutto perché non ha mai rinunciato all’idea di arrivare al traguardo con un partito. La sua trafila e la sua traiettoria si sono entrambe sviluppate all’interno di una comunità politica caratterizzata da una classe dirigente omogenea che l’ha condotta senza clamorosi colpi di scena, senza rottamazioni, senza avventure personali, a vincere e ad andare al governo, affermando una vera leadership dentro questa stessa comunità. Questa dimensione di partito si è purtroppo persa spesso a sinistra in artifici retorici di altro genere e soprattutto dietro ai personalismi”.

Ha criticato anche l’eterna attesa a sinistra di un “papa straniero”. Ci risiamo anche stavolta?

“La sinistra ha preferito rincorrere modelli diversi interpretandoli spesso in maniera arbitraria. Modelli stranieri, astratti, post ideologici, leaderistici. In questo è stata spesso mal consigliata da intellettuali e giornali d’area, immaginando che la risoluzione dei problemi fosse garantita da avventure personali, scorciatoie mediatiche, rocamboleschi colpi di scena. Ma quando manca alla base un impianto ideale, diciamo pure ideologico usando un termine che è stato disprezzato molto negli ultimi anni, si perde poi anche la capacità di avere una chiave di lettura autonoma della realtà”.

Molti stanno facendo paragoni fra la Meloni e il primo Renzi, quello che tante speranze aveva acceso a sinistra, quello del Pd al 41%. Vede analogie fra i due e pensa che anche la Meloni alla fine possa restare vittima di un qualche delirio di onnipotenza?

“Più che analogie finora ho intravisto delle simpatie fra i due. Nel discorso di Renzi, durante il voto di fiducia in Senato, ho notato molte pacche sulle spalle, parlando in senso metaforico. Vedo invece una differenza di fondo, la stessa già accennata, ovvero una leadership nel caso della Meloni costruita dentro la classe dirigente di una comunità politica unita e non con il ricorso a criteri rottamatori. Poi è vero che nella politica italiana sono ormai diversi decenni che si procede per bolle, ovvero con leadership che velocemente si costruiscono e altrettanto velocemente si sgonfiano. Di Renzi tutti dicevano che sarebbe durato venti anni, Salvini sembrava in costante ascesa dopo aver portato la Lega oltre il 30%, ma abbiamo poi visto come in poco tempo tutte le previsioni sono state clamorosamente smentite. Anche il grillismo se vogliamo ha seguito lo stesso percorso. Questo rischio ovviamente potrebbe riguardare anche Giorgia Meloni, ma finché non saranno riempiti certi vuoti politici sarà molto difficile che possa sgonfiarsi. La forza della Meloni sta nel fatto che in questo momento non ha alternative, le altre a destra sono state già tutte sperimentate, mentre l’opposizione non è pronta a mettere in campo un blocco in grado di essere competitivo. Quindi potrà godere di una rendita di posizione abbastanza stabile”.

Come giudica invece l’esordio dell’opposizione?

“Il campo dell’opposizione vive una condizione assurda dal mese di luglio, dal momento in cui dopo un percorso di tre anni che ha visto governare insieme le forze che lo compongono, invece di consolidarsi ha preferito presentarsi alle elezioni in ordine sparso. Quello che stiamo vedendo oggi è ancora la conseguenza di questa assurda strategia e mi pare che il percorso di ristrutturazione del campo sia ancora lontano. Direi che l’opposizione però ha un vantaggio in questo momento, ha cioè tutto il tempo per organizzarsi visto che al governo ci penseranno altri. Ma non devono perdere tempo, devono riorganizzare un’alternativa credibile e devono imprimere una svolta che possa dare finalmente una prospettiva reale e concreta per il futuro”.

Intanto il Partito Democratico sembra brancolare nel buio. Dopo la sconfitta del 25 settembre sembrava vi fosse la volontà di celebrare il congresso in tutta rapidità, ma adesso sembra invece che nessuno abbia più molta fretta. E’ davvero così?

“I tempi si sono allungati sicuramente ma non credo che questo sia un male, proprio perché come accennavo sopra il il tempo per organizzarsi c’è, quindi non ha senso fare le cose in tutta fretta. Anzi, penso sia necessaria una riflessione profonda e un allungamento dei tempi sarebbe utile in tal senso. L’importante è che questo tempo venga sfruttato bene e non per precostituire un esito già deciso a tavolino. Non vorrei che la fretta di fare tutto e subito sia dettata dalla volontà di conseguire un esito già stabilito. Ascolto proposte che non comprendo proprio come possano essere utili e come possano imprimere una svolta. Il Pd dovrebbe assumersi l’onere di ricostruire un campo di sinistra che esiste, che è molto più grande di lui e non si riconosce più in lui , facendo lo sforzo di raccoglierlo tutto. Ma questo può avvenire soltanto dopo una riflessione molto profonda. Mi viene da ridere quando sento esponenti del Pd affermare che al congresso devono partecipare anche i non iscritti. Ma davvero si pensa di risolvere tutto autorizzando i non iscritti a votare? Perché invece non si creano le condizioni perché chi non è iscritto accetti di partecipare ad un percorso? Non mi pare ci sia tutto questo grande interesse di votare al congresso del Pd”.

Intanto a febbraio si voterà nel Lazio per eleggere il successore di Zingaretti. Come vede questo appuntamento? Pensa che almeno qui il centrosinistra riuscirà ad andare unito?

“Penso che sarebbe incomprensibile suicidarsi due volte, oltre che tecnicamente difficile. Mi auguro che siano vere le voci che vedono le forze politiche del centrosinistra interessate a preservare l’esperienza di governo di questi anni, che ha permesso la costruzione di un campo largo che ha governato unito. Credo sia l’unica possibilità per essere competitivi. Come elettrice di sinistra desidero tutto tranne che andare nuovamente alle elezioni, come è avvenuto il 25 settembre, sapendo già che il mio voto non servirà a nulla essendo oggettivamente impossibile competere”.