Monthly Archives: October 2014

Così si uccide l’Ulivo, e Renzi è l’assassino

A rivederla in tv, l’ultima sequenza della Leopolda 5, quella in cui il segretario del mio partito aizza il suo pubblico e chiama la standing ovation contro il mio partito, la sua storia e i suoi protagonisti, assicurando che “non sarà consentito” a costoro di “riprenderselo”, continua a provocarmi un’ondata di pensieri e sensazioni. Sono diverse ore che rimando l’appuntamento con la tastiera, perché non si dovrebbe scrivere quando si è arrabbiati. Ma ci devo provare.
Credo che non capiti niente del genere in nessun partito al mondo. Ma va bene ho capito: Matteo Renzi vuole solo applausi, vuole liberarsi da chiunque possa offuscare il suo splendore, considera insulto ogni critica, tratta come un nemico chiunque non si allinea al suo insindacabile – per quanto variabile – giudizio su cosa sia giusto, bello e buono, su quale sia il cambiamento che serve all’Italia. Dichiara di rispettare e poi disprezza. Non rispetta niente in realtà Renzi, non riesce a rispettare niente di quello che non può sottomettere. Purché tutto ciò abbia una caratteristica: stare dalla sua stessa parte. Se sono avversari no, va bene: allora Renzi diventa ragionevole, cordiale, capace di mediazione. Non so neanche se lo faccia apposta, se sia carattere o strategia. Tuttavia, ecco, mi chiedo: qual è la strategia di Renzi?

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Partito della nazione? Io preferisco cambiare il mondo

Sulla direzione di ieri gli amici del sito Intelligo News mi hanno fatto questa intervistina che vi invito a leggere, il titolo è un po’ forte ma diciamo che avevo detto che “se lo intendiamo così”, come sembra di capire, il partito della nazione che ha in mente Renzi è il contrario del centrosinistra e dell’Ulivo, secondo me.
Una senatrice ieri in direzione ha detto che il Pd è un partito aperto, ma così aperto, che “raccoglie tutto quello che c’è in giro”. Ora, a parte che detto così sembra l’Ama, a me non è che piaccia così tanto, quello che c’è in giro. Io, che ci volete fare, sono una che vuole cambiare il mondo. Per questo mi appassiona la politica. E per questo sono una persona di sinistra.
Su ieri c’è anche altro da dire, io penso che sia stata tutto sommato un’occasione persa. Un’occasione di parlarsi con verità, soprattutto. Come facciamo a fare il bipartitismo con tre poli, per esempio (grazie a una legge elettorale che sarà approvata insieme al terzo, peraltro). Cosa ci differenzia dalla destra, ammesso che. Che cos’è la Leopolda (“veniteci anche voi” no, non è una risposta). Come si fa politica senza soldi e senza dipendere da chi ce li ha e te li dà. Questo calo degli iscritti, se c’è o no. E soprattutto se ci dispiace o è una bella cosa. Come si fa a dire “la prossima volta che eleggiamo il presidente della repubblica non dovremo farci condizionare da twitter” dopo aver capeggiato la rivolta su twitter. Cosa vuol dire disciplina, cosa vuol dire lealtà. Però è stato detto che era un inizio, la riunione di ieri. Non ho capito bene come si prosegue, ora. Ma confidiamo.

A proposito, molte cose che penso e che comunque trovo interessanti sul partito della nazione le trovate qui.

Ma non è oggi il compleanno. #buoncompleannoPD

Secondo me non è oggi. Secondo me non è giusto che sia oggi. Oggi è il giorno in cui Walter Veltroni, sette anni fa, ha vinto le primarie, le prime, del Pd. Io l’avevo votato, io le ho vinte le primarie quel giorno. Ma quelli che hanno perso? Sono meno Pd di me?
Non lo dico per polemica, una volta tanto. Non lo so quale sarebbe una data migliore di questa. E però mi sembra indicativo il fatto che ormai sia passata l’idea che si festeggia oggi. Indicativo di un partito che non trova neanche la sensibilità e la generosità per riconoscersi e festeggiare in un giorno che sia stato di vittoria per tutti. Di un partito in cui ancora nel discutere ci si zittisce con l’argomento (falso) “voi avete sempre perso”, come se le sconfitte fossero di qualcuno, e le vittorie di qualcun altro. Di un partito in cui chi la pensa diversamente viene vissuto con insofferenza (e già posso scommettere sull’insofferenza con cui verrà accolto questo post).
Quindi buon compleanno, Pd. Sono stati sette anni meravigliosi, lo dice una che ti ha scelto dall’inizio e da prima dell’inizio. Che ha fatto sempre tutto quello che ha potuto per aiutarti a crescere. E che pensa che sì, sei grande: ma non sei ancora adulto.

Al Circo Massimo, un po’ come alla Festa dell’Unità

Questo post è stato scritto insieme a Stefano Di Traglia

Siamo andati a curiosare al Circo Massimo. Non ci hanno insolentito né cacciato, quindi o non siamo né Kasta né giornalisti o comunque non contiamo niente. Bene.
Tutto sommato, questa cosa del Movimento 5 stelle assomiglia molto a una Festa dell’Unità, con qualche differenza, anche a sorpresa. C’è un giornale, si chiama “il Movimento”, ma loro preferiscono chiamarlo “volantino”. C’è qualche contraddizione, gli stand dei No tav accanto a quelli istituzionali dei gruppi parlamentari. C’è molta carta, molti gadget, molta identità: “Tu chi sei?”. Niente, sono venuto a guardare. “Ma di dove sei?”. Niente, di Roma. “Ma di che circolo?”. Ma no, niente. Lo trovano strano.
Lo slogan della festa è “La buona notizia”: che, ammetterete, è molto bello e funziona. Da almeno duemila anni.
C’è la stessa musica che alle feste dell’Unità, c’è uno spirito molto simile, non ci sono stand commerciali, c’è forse più militanza e più territorio. C’è dietro, sicuramente, una struttura organizzata. E si vede. Continua a leggere

Colpirne uno per educarne centouno

Io penso che non votare la fiducia a un governo sostenuto dal proprio partito sia un fatto grave. Lo dicevo quando a dirlo ci si prendeva di “stalinista” e si alimentava l’indignazione degli indignati che occupavano i circoli (ma dove sono finiti, a proposito?) e lo dico anche adesso. Penso che sia giusto che il gruppo del senato (ecco, il gruppo del senato magari, non la segreteria pd cioè lo staff del segretario) si riunisca e valuti eventuali conseguenze politiche di quanto è avvenuto sul Jobs act.
Lo dico anche perché ho molti amici che in nome di questo hanno votato la fiducia a un testo di legge che non era in nessun programma elettorale, che va contro le loro idee e i loro principi e che non hanno avuto neanche la possibilità di discutere, e non vorrei essere al loro posto. Lo dico anche perché, fossi stata al loro posto, probabilmente anch’io avrei votato la fiducia, dato che penso che è troppo comodo salvarsi l’anima da soli.
Detto questo, però, questo delirare stentoreo di “punizioni esemplari” quando non addirittura di “colpirne uno per educarne cento” penso che dovrebbe far riflettere un pochino. Anche perché, considerando i pulpiti da cui vengono le prediche, è difficile dire se certe minacce siano più agghiaccianti o più ridicole. Come sa chiunque in questi anni non dico abbia voluto un po’ bene al Pd, ma almeno abbia letto qualche giornale. E conservi un minimo di memoria e raziocinio anche in questi tempi di arroganza smisurata e conformismo vigliacco.

Persino

«Fonti di Palazzo Chigi sottolineano, contrariamente a quanto riportato oggi da notizie di stampa, come il voto di oggi sulla fiducia riguardi evidentemente l’articolo 18. Lo si è spiegato per mesi ovunque, persino nelle sedi di partito. La delega attribuisce al governo il dovere di superare l’attuale sistema e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza la direzione. Chi vota la fiducia vota la fiducia al presidente del Consiglio e al governo che sostengono la necessità di riformare l’intero mercato del lavoro, come esplicitato dalla delega. Che essendo delega non può che avere la portata definita dal testo normato.»

Ecco, di questo affannoso, propagandistico e burocratico comunicato, teso a convincerci che sì, oggi il senato vota sull’articolo 18 (ma che problema c’è? Non basta scriverlo nell’emendamento?) io sono colpita soprattutto da una parola, proprio non riesco a smettere di guardarla. “Persino”.

Roberto, alla stazione

Oggi ho incontrato il mio amico barbone. L’avevo già visto altre volte, per strada e alla stazione, ma al mio “ciao” non aveva mai risposto. Così l’ho guardato, mi ha guardato, e non ho detto niente. Dopo un po’ però era lì: “Io voglio dire una cosa, se viene viene, se no è lo stesso: te sei la Chiara?”. Mi sono alzata in piedi: “Ciao, Roberto”.
Il mio giovane parroco, ai tempi, gli faceva lavare le scale, pulire la chiesa. Così gli dava qualcosa, e se lo teneva intorno. Roberto era diventato un po’ il beniamino dei ragazzi, ma anche di tante mamme della parrocchia. A volte si presentava a casa di qualcuno, verso sera, “scusate se sturbo”, diceva. E così lo invitavano a cena. Era un po’ così, ma era buono. Non ha dato mai fastidio a nessuno, che io sappia. Ora non c’è più niente di uguale a prima. A un certo punto è sparito, poi l’ho cominciato a rivedere. “Come va Roberto?”.
“Non è più come prima eh. Mio babbo e mia mamma non ci sono più. Anche la casa non c’è più”.
“Non era dei tuoi genitori la casa eh?”.
“Nooo. La signora voleva tanti soldi”.
“E adesso?”.
“Adesso dormo qui, alla stazione”.
“E mangiare?”.
“Quelli del bar mi danno qualcosa”.
“Ma c’è la mensa qui vicino eh”.
“Ma c’è sempre una confusione, nooo”.
“Ma qualcosa di caldo, magari”.
“Ma quelli del bar mi danno qualcosa di caldo a volte. Io di lavoro aiuto a caricare, ora”.
“A caricare?”.
“Le valigie”.
“Eh ma ora viene l’inverno Roberto”.
“Eh, lo so”.
Si ricorda tutti. Anche gente che io non mi ricordo. “Campa ancora il babbo di Mario?”. Sì, l’ho visto quest’estate. “Bruno”. Sì, Bruno. “La Marina ha due gemelli”. Due gemelli sì. “Era bello, a quei tempi”. Io sono andata a vivere a Roma sai. “Sì, lo so, è da tanto”.
“Roberto senti, non devi bere eh”.
“No, io non bevo. Bevo l’aranciata”.
“Bravo, poi un giorno per volta, speriamo bene”.
“Sì. Le mie cose me le tiene una signora”.
“Così se un giorno avrai di nuovo una casa hai le tue cose”.
“Sì”.
“Ecco, vedi? Speriamo dai. Arriva il treno Roberto”.
“Ti aiuto a caricare?”.
“Ma no grazie, ce la faccio”.
“Sono contento”.
Anch’io.