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Per Federico Orlando, senza cerimonie

So che tu avresti voluto più discrezione, ma lo sai come siamo fatti, noi giornalisti. Scriviamo. Come facevi tu, sempre, fino a tre o quattro giorni fa. Venivi in redazione tutti i giorni, con l’impegno e l’entusiasmo di un praticante, quando fino a pochi anni fa stavamo insieme, a Europa. Leggevi tutto. Chiamavi per commentare e per complimentare. Citavi nei tuoi articoli noi, colleghi giovani e sconosciuti. Una volta, nelle riunioni per il numero zero, qualcuno propose che facessimo come si usava allora al Foglio, un giornale di pezzi non firmati. Ti sei arrabbiato. “No, questi colleghi devono potersi far conoscere! La firma è un valore, e loro firme saranno un valore aggiunto per il giornale!”.
Eri stato il vice di Montanelli, ma non ne parlavi quasi mai. Solo qualche volta, se in riunione veniva fuori qualche volo pindarico di troppo che ci faceva progettare articoli confusi, dicevi con la tua mitezza qualche frase come “eh no, Montanelli diceva: un argomento, un pezzo”. Quante volte l’ho ridetta, quante volte l’ho ripensata.
Ti fece piacere, quando ti chiesi se volevi essere uno degli Highlander della mia trasmissione, poi diventata anche un libro. Avevo intervistato tanti comunisti e democristiani, eri contento di rendere più completo il mio catalogo di testimoni della nostra repubblica “rappresentando” quella che chiamavi con orgoglio “la terza cultura dell’Assemblea costituente”. Sono venuta a casa tua e ho visto la tua vetrina piena di premi giornalistici, ma la telecamera non ce l’hai lasciata neanche avvicinare. Ho visto i ritagli ingialliti dei tuoi primi articoli per giornali che si chiamavano il Molise liberale o il Molise nuovo, catalogati e incollati in un album dalla tua mamma.
Ti chiesi com’era aver passato tutta la vita da moderato ed essersi ritrovato con una fama di eretico e di estremista, un po’ come Oscar Luigi Scalfaro. Hai detto: “Io sono un moderato, come lo era Montanelli. Però abbiamo sempre avuto un principio: che con i comunisti, con i quali non avevamo nulla in comune, avevamo fatto la Resistenza al fascismo, mentre con la destra non avevamo nulla in comune, perché la destra è il fascismo. Questo significa essere estremisti? Io la chiamo coerenza, ma può darsi che sia difficile spiegarlo”.
So che non vuoi cerimonie e non vuoi preghiere. Non so se rispetterò il secondo desiderio, mi fermo qui per rispettare almeno il primo. È stata una vera fortuna lavorare con te.

Mai dissentire dai dissidenti

Pubblicare un articolo in cui si esprime e si motiva un’opinione sulle recenti vicende parlamentari, e in particolare sui reiterati voti in dissenso dal gruppo di alcuni eletti del Partito democratico. Nessun riferimento, nessuna offesa, nessuna accusa. Allegare la testimonianza di un anziano ex senatore, che con tono pacato mi raccontò anni fa, in tempi non sospetti, un paio di vicende che avevano riguardato la sua breve stagione da parlamentare.

Risultato: accuse di aver lanciato “minacce” e di aver scritto un pezzo “scandaloso”. Insulti e aggressioni varie genere “una come te non dovrebbe occuparsi di comunicazione ma fare la mondina”. Commenti in calce equamente suddivisi tra i seguenti due argomenti:

1) tu guadagni troppo e quindi non dovresti parlare;

2) tu dirigi la televisione del Pd e quindi non dovresti parlare.

Ora, premesso che con questo principio la maggior parte degli editorialisti dei quotidiani e delle firme più o meno note in Italia avrebbe molto meno diritto di scrivere di me, io il primo argomento paradossalmente lo accetto: se a qualcuno rode per via del mio (temporaneo) stipendio magari ha pure il diritto di farmelo sapere, anche se io non ci posso fare niente e non posso certo smettere di lavorare per non irritarlo. Il secondo però è curioso: l’idea cioè che la qualità richiesta a un giornalista sia quella di NON ESPRIMERE le proprie opinioni, piuttosto che quella di esprimerle e argomentarle. Del resto ne avevamo già parlato qui e successivamente qui.

Però una cosa non immaginavo, sul serio: che i difensori del diritto al dissenso provassero tanta violenta insofferenza (sì, esiste anche la violenza verbale) verso chi prova a dissentire da loro.

A modo nostro – La nota introduttiva di Francesco Cundari per Highlander

La retorica della memoria è un tratto tipico della cultura di
sinistra, ma suona spesso fasulla. Ed è (quasi sempre) molto noiosa. I
due difetti sono legati da una stretta relazione di causa ed effetto,
ovviamente. Fateci caso: quanto più, a parole, un politico indulge
nella retorica della memoria (e nel suo inevitabile corollario sui
“valori” di cui la Storia, con la maiuscola, darebbe altissimi
esempi), con quanta più enfasi esorta le nuove generazioni a trarre
ispirazione e insegnamento dal passato, sempre con il tono e con gli
argomenti di una brava maestra che porti la sua scolaresca a visitare
un museo, tanto più si può scommettere che proprio lui, non appena ne
avesse la disponibilità, si rivelerebbe il più accanito persecutore di
ogni uso, costume e simbolo tradizionale della sua comunità. La
pretesa di imbalsamare la storia in una natura morta di valori
immutabili, in una galleria di statue di gesso da visitare in
silenziosa e riverente ammirazione, non per caso va di pari passo con
la retorica, solo apparentemente opposta, dei grandi cambiamenti, del
nuovo che avanza e delle vecchie idee ormai del tutto inservibili per
comprendere il mondo di oggi. Se ne potrebbe ricavare una legge
matematica: dato un certo numero di occorrenze, nei discorsi ufficiali
di un leader politico, delle parole “memoria” e “valori”, si può
disegnare con ragionevole approssimazione la curva esponenziale della
furia iconoclasta che presto o tardi finirà per abbattersi sul suo
partito. Continua a leggere

Alle origini del nostro futuro. La prefazione di Pier Luigi Bersani per Highlander

Prefazione

di Pier Luigi Bersani

 

Se si va dai “vecchi” è sempre per cercare un senso da dare alle cose, perché abbiamo nella testa qualcosa da sistemare, per trovare un punto di vista da cui guardare in avanti. Bisogna dire che quel senso, nelle interviste di questo libro, si trova. Dei colloqui con gli Highlander la cosa che più colpisce è la freschezza di pensiero che raccontano. E io credo che questa freschezza derivi dal fatto che la fase decisiva della vita, per tutti loro, è coincisa con la gioventù: è una “questione generazionale” fatale e drammatica quella che li accomuna, perché a volte capita che sia la storia a decidere la vita degli uomini. Questa generazione, quella degli Highlander, ha avuto una maturazione molto rapida, ha dovuto compiere scelte tanto precoci quanto drammatiche. E perciò in qualche modo è rimasta giovane com’era allora per sempre. Continua a leggere

Highlander, una trasmissione per giovani. La mia introduzione

Ai miei genitori

La serie degli Highlander è soggettiva, contingente, parziale. Qualcuno non c’è perché purtroppo era alle prese con una salute troppo malferma. Qualcuno perché – magari solo per quelle settimane – era troppo esposto sui giornali e alla tv. Qualcuno perché non ho insistito abbastanza, altri perché non ho osato. Qualcuno perché era troppo difficile da raggiungere, lontano da Roma. Qualcuno perché mi è venuto in mente dopo. Qualcuno perché, accidenti, se n’era andato prima: Leopoldo Elia più di tutti, con cui non avrei mai immaginato di poter sentire tanto l’urgenza di parlare. Una chiacchierata con Elia sull’Italia e sulla politica, nel suo appartamento con tutte le stanze piene di libri fino al soffitto, che meraviglia sarebbe stata. E invece. Continua a leggere

Incontro con Federico Orlando

Incontro con Ignazio Contu

Intervista al segretario generale della Fondazione Fanfani, Ignazio Contu sulla politica della Dc negli anni 80.

Incontro con Giorgio Frasca Polara

Intervista a Giorgio Frasca Polara, ex portavoce di Nilde Iotti e giornalista decano della stampa parlamentare.

Incontro con Giovanni Galloni

Intervista a Giovanni Galloni, esponente storico della sinistra Dc ed ex ministro nei governi Goria e De Mita.

Incontro con Guido Bodrato

Intervista all’ex diretto de il Popolo ed ex ministro nei governi Forlani, Spadolini e Andreotti, Guido Bodrato.