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Archiviare il segretario candidato premier? Compagni, fate con comodo

La modifica statutaria per separare la carica di segretario e candidato premier venne proposta nel 2013, durante la segreteria Epifani. Si trattava semplicemente di prendere atto della realtà, non solo per salvaguardare il premier in carica, che si chiamava Enrico Letta, era del Pd e NON ne era il segretario. Ma per prendere atto che il sistema non era PIU’ né bipolare né maggioritario, e quindi nessuno poteva più pensare di essere “il candidato premier” di niente. Quella modifica allo statuto fu bocciata, per una convergenza tattica tra alcuni nostalgici ideologi di un purismo ulivista fuori tempo massimo e coloro ai quali di quella norma statutaria volevano farsi forti per raggiungere i loro obiettivi di potere: cioè scalzare Letta e sostituirlo a palazzo Chigi. Naturalmente i primi, come sempre, hanno fatto il gioco dei secondi.
Successivamente è stata addirittura approvata una legge elettorale che, con un sistema proporzionale e multipolare, prevede addirittura la figura del “capo della coalizione”, anche se la coalizione non c’è. Cinque anni di retorica bugiarda e di distanza dalla realtà.
E adesso leggo che per qualcuno quella modifica sarebbe “frettolosa”. Alla buon’ora, compagni. Fate con comodo.

Leggende metropolitane: Renzi che portò il Pd nel Pse

Guardate è un dettaglio, lo dico io per prima. Infatti la maggior parte delle volte ormai faccio finta di niente anch’io. Tuttavia esiste anche l’amore di verità, alla fine. Il punto è questo: anche Ezio Mauro, nel suo bell’editoriale che tutti dovremmo leggere e discutere, oggi dice che “Renzi ha portato il Pd nel Pse”. La stessa cosa avevo sentito dire due sere fa in tv, da Fazio, da Massimo Giannini. Sono giornalisti importanti, persone serie, uomini colti. Per questo dico: ma ci credono davvero?
Io quella vicenda la conosco bene, l’ho raccontata da giornalista, ma non penso di avere più elementi per capirla di Giannini e Mauro. Per questo vorrei ricordare brevemente e molto superficialmente alcuni fatti. Fatti, non opinioni mie. I fatti sono questi: che il congresso del Pse a Roma, che si è svolto il primo marzo scorso, era stato convocato già durante la segreteria Bersani, ed era stato annunciato e organizzato durante la segreteria Epifani. Anche se qualcuno, non certo Mauro e Giannini, pensasse che una cosa del genere si decida e si organizzi in una settimana, ci sono le agenzie e gli archivi a dimostrare il contrario.
Il percorso lungo e difficile del Pd verso il Pse era iniziato già da tempo. Piero Fassino da segretario ancora dei Ds, si era adoperato al congresso di Oporto (dicembre 2006) per spiegare ai compagni del suo partito l’imminente costituzione di un nuovo partito di centrosinistra in Italia. In quel congresso, accolto come una star e invitato con un entusiasmo che creò in Italia anche qualche imbarazzo (“Join us, Romano!”) a unirsi alla famiglia socialista dal segretario Rasmussen, era intervenuto il presidente del consiglio italiano Romano Prodi.
Un altro passo importante lo fece un segretario non socialista, Dario Franceschini, dopo le elezioni europee del 2009, tagliando la testa al toro del “dove vi siederete in Europa” e decidendo, non senza dover fare qualche coraggiosa forzatura nel partito, che tutti i deputati europei del Pd si sarebbero iscritti, senza aderire al partito, al gruppo del Pse. La componente italiana venne affidata alla guida di un altro non socialista, David Sassoli, che si è adoperato per costruire un percorso comune.
Durante la segreteria Bersani, Sigmar Gabriel e Francois Hollande, (i leader socialisti dei due principali paesi europei) hanno fatto comizi nelle piazze del Pd e i vertici socialisti europei hanno partecipato ogni anno alle feste democratiche. Ci sono state centinaia di viaggi e di riunioni in tutto il mondo, organizzati da Lapo Pistelli e Giacomo Filibeck. Roma ha ospitato due volte i progressisti di tutto il mondo – democratici americani compresi – che insieme ai socialisti europei hanno dato vita alla Progressive Alliance, la conferenza mondiale dei progressisti, socialisti e non. In questo contesto si sono create le condizioni per superare anche le ultime obiezioni all’adesione del Pd al Pse, o comunque per portare tutto il partito verso quell’esito.
Quando dico “ultime obiezioni” intendo riferirmi agli ex Margherita e soprattutto all’area rutelliana, e cioè ai renziani. Mentre infatti personalità come Franceschini, Pistelli e Sassoli hanno lavorato per avvicinare il Pd al Pse, nel mondo renziano (e in un altro pezzo di ex Ppi, quello vicino a Beppe Fioroni) si sono accumulate sempre le resistenze più forti. Che poi, a congresso Pse convocato e deciso, il post ideologico Matteo Renzi abbia dichiarato, da candidato alle primarie, di non avere obiezioni all’adesione al Pse e che poi, divenuto segretario, non abbia rimesso in discussione le decisioni prese, va benissimo e per quanto mi riguarda è un suo merito. Che gli ultimi resistenti, tutti renziani, a parte un paio di eccezioni, abbiano poi votato in direzione a favore di un passo che, gliel’avesse chiesto un altro segretario, avrebbe provocato minacce di scissione e suicidi di massa, affari loro.
Tuttavia i fatti sono stati questi. È così che è andata. Ripeto non per amore di polemica. Ma solo per amore di verità: lo sanno tutti i giornalisti seri, ed è così che la dovrebbero raccontare.