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Non ce ne andiamo, se no vince Renzi. (Da Huffington post)

Su Huffington post, ieri, Alessandro De Angelis mi ha fatto questa intervista (ancora grazie). La ripubblico qui, per i lettori di questo blog e per ritrovarla in caso ci serva.

L’amarezza ha il volto della pasionaria Chiara Geloni, giornalista, già direttore della tv del Pd in epoca Bersani: “È un periodo in cui è difficile sentirsi capiti”.

A che ti riferisci?
Ho appena visto l’apertura del vostro sito, con le parole di Saviano. Lui dice: inconcludenti, ricordate Ecce bombo. Un’altra delle amarezze di questi giorni.

Parliamo di questa amarezza che, immagino, sia di fondo per come è diventato il Pd.
Ho letto questo grandioso e tragico pezzo di Ezio Mauro. Dice che Renzi ha snaturato il Pd, che il partito è senza identità, disarmato, che ha abbandonato i suoi valori e c’è una montante marea di destra. Ora, se questo il punto, dico: si potrà riconoscere che chi lo critica ha qualche ragione? Chi ha tenuto fermo un punto di vista, in questa fase di conformismo, di marcia trionfante del renzismo, forse, non è da disprezzare. C’è nel Pd una posizione che in condizioni difficilissime cerca di salvare un’esperienza, un’esperienza in grave pericolo come dice Ezio Mauro.

Da giornalista a giornalista, andiamo al punto. Tu hai la sensazione o la convinzione che, in fondo, Renzi vi vuole cacciare?
Beh… Accadono cose che sono oggettivamente umilianti. Prova a immaginare, durante altre segreterie, il sito del giornale di partito che ospita articoli dove c’è scritto che Bersani vuole solo far cadere Renzi e di tutto il resto non gli importa nulla, gli account di parlamentari e dirigenti che fanno tweet con offese personali o minacce di non ricandidatura. Io quando tweettavo durante le primarie venivo accusata perché non ero imparziale, ma dal mio account né da direttore di Youdem né dopo ho mai offeso né minacciato nessuno.

Ce l’hai con Rondolino?
L’hai detto tu, io non faccio nomi. Ma questo è il clima. Ma l’hai sentito l’intervento di Renzi di ieri? Aveva il tono di sfida di uno che non è lì per dire: abbiamo un problema, risolviamolo. Ma di uno che diceva: vi ho dato questo, quello, ora vi do anche questo così vi tolgo gli alibi e vediamo che fate. Non è il modo di pacificare un partito diviso. E mi ha colpito che prima della riunione nessuno avesse la minima idea di cosa avrebbe detto il segretario, nemmeno i suoi. Una mediazione non si fa così. In un partito ci sono canali aperti, ci si ascolta, si crea un clima, si cerca un punto di caduta. E il partito che accetta questo metodo? Orfini dopo la relazione ha detto “non ho nessun iscritto a parlare”. Sai perché? Non sapendo fino all’ultimo cosa avrebbe detto Renzi nessuno, neanche i suoi, sapeva che tono prendere, che parte recitare…

Concordo nell’analisi. Renzi ha preso a schiaffi la sua sinistra. E c’è un conformismo devastante. Però ti aggiungo. Su queste premesse, uno che dissente, si alza e gli dice: bello mio, ti voto contro, faccio i comitati del no e il 5 dicembre vediamo chi dei due sta in piedi. Invece la minoranza crede ancora in un accordo. O no?
Per come sono andate le cose avanti, una ricomposizione è difficile. Certo Cuperlo e Speranza, che pure sono andati al cuore del problema senza fare sconti, hanno lasciato aperto un filo di comunicazione. Però a questo punto… Io vedo che molte persone sul territorio hanno già deciso e non è facile che tornino indietro.

Stefano Di Traglia, l’ex portavoce di Bersani, ha fatto il comitato del no.
Democratici per il no non è un comitato, è una rete. Stefano mi ha invitato e c’ero anch’io a quella riunione. C’erano molti iscritti ed ex iscritti al Pd.

A me questo travaglio pare un po’ inconcludenza. Vivaddio, D’Alema almeno l’ha letta da subito, dicendo “quello non cambia l’Italicum, l’Italicum si abbatte con il no” e gira l’Italia organizzando il no.
La differenza è che D’Alema non ha votato la riforma, non è parlamentare, è un cittadino che esprime liberamente le sue opinioni. Come me.

Un cittadino che però fa imbestialire il premier. Ma il punto è che ormai nel Pd ci sono due mondi, segnati da sfiducia, una diffidenza direi quasi antropologica. Renzi è il nemico in casa che snatura il Pd, gli altri sono dei ferri vecchi da rottamare. Questa rappresentazione la condividi?
Seguo il Pd da 20 anni, e da sempre è un partito plurale. Quello che c’è di nuovo è che ora non c’è la volontà di tenerlo insieme. Si procede per strappi e c’è un problema di rispetto: il “lanciafiamme”, il “certi voti non servono”, “c’è Verdini”, “se non ci siete voi c’è chi mi vota”. C’è stato un momento in cui tutto poteva cambiare, una grande occasione. Quando eleggemmo Mattarella, Renzi capì che su un candidato “Nazareno” il Pd si sarebbe spaccato, chiamò la minoranza e cercò una proposta condivisa di tutto il Pd. E la minoranza mica ha detto ok per finta, mica ha organizzato la vendetta per i 101. Da quel momento, dopo quella prova di lealtà, Renzi poteva davvero diventare il leader di tutto il Pd, rappresentarlo tutto nonostante le asprezze precedenti. Invece dopo 15 giorni ha buttato fuori i parlamentari che non erano d’accordo sull’Italicum dalla commissione affari Costituzionali.

Mi dai ragione. Renzi capisce solo i rapporti di forza. Lì andava sotto e ha mediato. Gli si poteva votare contro altre volte: jobs act, riforme. Invece è prevalso il riflesso unitario.
La fai facile tu. È che se decidi di stare in un partito… Il mio non è un riflesso da centralismo democratico, è una convinzione profonda che il Pd sia la risposta giusta per l’Italia. Secondo te è un’alternativa uscire dal Pd? Per fare cosa? Secondo me se esci fai un doppio danno. Gli regali il 100 per cento del partito e affondi un progetto, il Pd, che con tutti il limiti serve ancora al paese.

Il problema è che, sui territori, il Pd è diventato un’altra cosa. È già il partito della Nazione. O sbaglio?
Si fa fatica a riconoscerlo, ma io non lo do per perso.

Dunque, tutti dentro anche il 5 dicembre. Cuperlo ha detto che se vota no si dimette.
Lucido e amaro. Spero che non dia corso al suo annuncio. Che non si dimetta da deputato. Tanti democratici per il no devono essere rappresentati, io voglio essere rappresentata nel Pd.

Che cosa c’è di sinistra in questo Pd?
C’è Cuperlo no? Lui, Speranza, le nostre idee. La rottamazione vince se lasciamo il Pd, non se restiamo.

E se vince il sì?
Renzi potrebbe essere tentato di capitalizzare la vittoria e portarci al voto in primavera. Poi, sai, dipende da come vince. Se vince 52 a 48 magari poi perde le elezioni, sarebbe un azzardo. C’è una questione di fondo che lui sottovaluta: le amministrative dimostrano che tutti questi voti di destra non arrivano a compensare i voti di sinistra che il Pd lascia per strada. Non ne parla nessuno, però il Pd ha perso parecchi milioni di voti.

Secondo te Bersani andrà in giro a fare campagne e comizi per il no?
Comizi non credo, farà dibattiti e dirà la sua.

Tu hai scritto il libro Giorni bugiardi. Sono ancora bugiardi i giorni che si vivono nel Pd?
Sì, i Giorni bugiardi continuano. Quel clima l’ho rivissuto più volte, almeno altre due: quando è caduto Letta, poi in piccolo quando è caduto Marino. Di nuovoun partito che non riesce mai a comporre i conflitti rimanendo comunità. Deve sempre uscire umiliato qualcuno: Marini, Prodi, Bersani, Letta, Marino…

Chi sarà la prossima vittima della bugia?
Prima o poi la vittima sarà lui.

Renzi?
Sì, quando vai avanti per prove di forza ci può essere il momento in cui la vittima sei tu. Fatti un giro a Montecitorio: la situazione è mossa rispetto a qualche mese fa. Molti si guardano intorno, si interrogano su che succederà. C’è molto conformismo di facciata verso il capo ma non senti l’amore per il leader.

Che senti?
Timore. Renzi ha una certa presa sul partito. Sai, da palazzo Chigi hai argomenti per far valere le tue ragioni che altri segretari non hanno avuto…

Quando lo vedi in tv, che pensi?
Che è sempre lì… Prima dice “sbaglio a personalizzare”, poi tutti i giorni è in tv o in radio… Ma forse sbaglio io, quello è il vero punto di forza.

Da pasionaria a pasionaria: dai un consiglio alla Boschi.
Essere più spontanea, trasmette una certa rigidità.

Ci andresti a cena con Lotti?
Se non c’è Verdini volentieri.

L’ultimo: a Renzi.
Di rilassarsi. Lo vedo un po’ ansiogeno ultimamente. Dovrebbe essere un po’ più…

Un po’ più?
C’è una parola… Ecco: sereno. No?

Ai compagni della mozione “Bersani incomprensibile”

Post cosmico: ai compagni della mozione “Bersani incomprensibile” ricordo che Bersani ha risposto a una domanda, e ha risposto ribadendo quella che è la linea di tutta la minoranza Pd, già espressa da tutti i suoi esponenti oltre che da lui stesso: votare sì al referendum costituzionale a determinate condizioni (innanzitutto ovviamente il rispetto dell’accordo nel Pd sull’elettività dei senatori) e a patto che non diventi un plebiscito su Renzi. Del resto la minoranza Pd in parlamento questa riforma l’ha votata: può non piacere ma è così. A chi dice “ma lo è già”, un referendum su Renzi: a ottobre manca molto tempo, vedremo. Può darsi che la minoranza Pd prenda atto che la sua posizione e gli accordi con Renzi non vengono rispettati e cambi idea, oppure può darsi di no. Io non lo so. Adesso comunque conta il parere dei cittadini, non quello dei parlamentari. Quello che so è che se vi aspettate che Bersani annunci un cambio di linea politica facendo il figo da solo davanti a un microfono a margine della presentazione di un libro sulla musica popolare, vuol dire che proprio non conoscete Bersani.

Post scriptum: a questo proposito, di cosa è una notizia e cosa no, proprio ieri avevo avuto un amichevole scambio di idee con Gaia Tortora del Tg di La7, che (il tg) aveva appena detto che la minoranza Pd avrebbe votato no, e quindi se Renzi troverà al suo fianco nel comitato del Sì il solito Verdini, Speranza e gli altri staranno con Brunetta. Un bell’esempio di cosa vuol dire essere cornuti e mazziati, non c’è che dire.

Post-post scriptum: qui c’è l’intervista di Giovanni Floris a Bersani che mi pare aiuti a capire il senso del “cosmico”. Segnalo inoltre un bel post di Peppino Caldarola.

Renziani, quell’intervista di Bersani sull’astensione però leggetela

Nel tentativo di screditare il no della minoranza Pd alla scelta astensionista imposta senza dibattito dai vicesegretari del Pd, i renziani fanno girare questa intervista di Bersani all’Unità rilasciata nel 2003, cioè successiva al fallimento (nel senso di mancato quorum) del referendum sull’articolo 18. Finalmente ho avuto modo di leggerla con un po’ di calma. Ecco, consiglio a tutti di fare altrettanto. Fa capire molto bene cosa significa lasciarsi guidare dal popolo e non boicottare la sua volontà di esprimersi. Cosa significa affrontare i problemi in un’ottica di governo, rifiutando di semplificarli e di ridurli a tifoseria, dentro una visione plurale (i sindacati, gli enti locali!) e partecipata della democrazia e in una prospettiva limpidamente di centrosinistra: l’Ulivo insomma. Un altro mondo, proprio, rispetto al dibattito a cui assistiamo oggi. Si può perfino invitare all’astensione “come elemento di riflessione e non di disciplina” (magari quando stai all’opposizione, meno quando stai al governo e il referendum è stato chiesto da amministratori locali in maggioranza del tuo partito) ma senza fare trucchetti, sapendo che poi non rivendicherai il mancato quorum come una vittoria, ma assumendolo come un impegno a risolvere per via politica e senza slogan un problema difficile. (E comunque credo che Bersani avesse votato anche quella volta).

Chi ha distrutto l’Ulivo, chi ha fatto l’Ulivo

Sono io, oppure sei tu
chi ha sbagliato più forte

Tra un mese, il 21 aprile, saranno vent’anni davvero da quella notte. Io vivevo a Roma da pochi mesi, non conoscevo quasi nessuno in città, e quella domenica sera guardavo incredula in un minuscolo televisore nella mia stanzetta da studente David Sassoli, allora ancora giornalista del Tg3, raccontarmi che avevamo vinto, da una piazza che dietro di lui si riempiva e si colorava. Non sapevo ancora che quella piazza, quelle bandiere, sarebbero diventate la culla della mia formazione professionale e politica. Pochi mesi dopo, insieme al mio amico Gianmarco, avrei salito i gradini di piazza del Gesù, sì proprio quel posto lì, col batticuore di una ragazza di Carrara che pensa “oddio dove sono”, e avremmo chiesto a chi stava organizzando il congresso del Ppi: “Serve una mano per l’ufficio stampa?”. Continua a leggere

La politica come parodia della politica

Questo week end ho fatto un sacco di chilometri e tantissime cose, mo’ non ve le sto a raccontare tutte ma per brevità vi dirò: guardate Gazebo. Dovreste guardarlo sempre eh, ma domenica sera Gazebo era folgorante. Non perché fosse la puntata più bella che hanno fatto, assolutamente. Ma perché era una fotografia dell’Italia. Della politica e del giornalismo politico in Italia oggi. La cui parola chiave, quella che spiega tutto, è: parodia.

Pensate alle Gazebarie. Già dal nome è una parodia delle primarie no? Una cosa da ridere, via. E infatti quello erano le Gazebarie di Bertolaso: una consultazione su un solo candidato (“volete voi confermare”, eccetera eccetera), oltretutto un candidato manco tanto sicuro di esserlo (la sera stessa ne è venuto fuori un altro, anzi un’altra); un’iniziativa propagandistica che simula un meccanismo elettorale; un set per leader politici che mimano il gesto di votare; un plebiscito in favore di telecamere. Ecco, le telecamere. Guardate Gazebo anche per questo, per il circo mediatico. Una bolgia infernale e urlante che rischia l’osso del collo per un frame di Berlusconi che mette la finta scheda nella finta urna; uno strillare domande a casaccio cercando di scansare il telefonino di Gasparri che fa le foto per twitter; un riportare i dati farlocchissimi sull’affluenza “già altissima alle 9 e 30 a Mezzocamino”, quando è evidente che ai seggi c’è solo mezzo gruppo parlamentare di Forza Italia che si sposta per fare da set agli arrivi del macchinone di Berlusconi. “Hanno votato in cinquantamila!”, ha sparato la propaganda forzista alla fine di due giorni di “votazioni” senza competizione, senza registrazione dei votanti, senza osservatori, senza richiesta di documenti. Hanno votato in cinquantamila, hanno riportato i mass media, al massimo strizzando l’occhio per far capire tra le righe che sì, vabbè, mica ci crediamo, ma questo è il dato che ci comunicano. Continua a leggere

E va bene, razionalizzatelo sto Pd. Però diteci la verità

I numeri sono numeri, e quelli sugli iscritti e i circoli del Pd che riporta Tommaso Ciriaco su Repubblica di oggi, in un articolo precipitato rapidissimamente nella parte bassissima del sito del giornale, lasciano poco spazio ai dubbi: sono numeri da allarme rosso. Quando nell’autunno dell’anno scorso Goffredo De Marchis sullo stesso giornale aveva pubblicato dati allarmanti sul tesseramento del 2014, la segreteria del Pd aveva smentito con sdegno, affermando che non c’era nessun calo. Un anno dopo, la strategia è cambiata. Nessuna smentita stavolta, bensì una rivendicazione: “Stiamo razionalizzando il quadro”, dice Guerini.

Va bene allora, razionalizzatelo sto partito. Puntando, s’intende, “su una struttura più light”, che fa fino e non impegna, e poi c’è sempre la società civile o un bel prefetto che spunterà fuori al momento buono. Basta che però alla prossima discussione – sapete, quando si parla di cazzate su facebook come dice il nostro presidente – non ci venite a rispondere come rispondete di solito: che in fondo è sempre stato così, gli iscritti sono sempre diminuiti e l’organizzazione di partito in stile anni 50 non ha più senso. Continua a leggere

Non siamo guariti. Un romanzo su Bersani e la malattia del Pd

Qualche giorno fa, a Padova, ho presentato insieme a Flavio Zanonato e all’autore il libro di Antonio Martini La Guarigione (Alba edizioni, 14 euro). Da un po’ volevo parlarvi qui sul blog di questo libro, che nel frattempo è stato recensito sul Corriere del Veneto e che è piaciuto molto a Gad Lerner. Si tratta di un romanzo, ispirato però ai fatti (veri)  avvenuti all’inizio del 2014: la malattia di Bersani, ma anche la caduta del governo Letta e le varie vicende (anche precedenti) del Pd. Se ve ne parlo oggi non è solo perché il libro è finalmente disponibile (per i romani) alla libreria Arion Montecitorio (si può comunque richiederlo direttamente alla casa editrice), ma anche perché in questi giorni mi capita di pensare spesso a quello che ho detto anche l’altra sera: non siamo guariti. Bersani sì, per fortuna. La malattia del Pd però è ancora lì. Anche perché non è stata curata.

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Lettera a Orfini sul complesso del caminetto

Caro presidente Orfini, leggo sul Fatto quotidiano che per la centesima volta, ieri sera da Floris, hai sostenuto che nel Pd di Bersani, quando tu stavi in segreteria, decidevano tutto in pochi “nei caminetti” dei capicorrente scavalcando la segreteria. A me dispiace, caro Matteo, che tu abbia introiettato questa idea di non contare niente nonostante fossi in segreteria nazionale. Peraltro all’epoca non mi sembrava che tu fossi particolarmente sfiduciato, remissivo e umile quando c’era da dire la tua.

Io tutti questi caffè alle otto di mattina di Bersani coi big delle correnti non me li ricordo, ma forse è perché noi giornalisti abbiamo il vizio di andare in ufficio tardi. Però sicuramente ce ne saranno stati eh. Perché vedi, tre o quattro anni fa, per i militanti del nostro partito, il parere di D’Alema, Franceschini, Bindi, Veltroni contava qualcosa (adesso non so, ma non darei per scontato niente: potrebbe essere imprudente). Il segretario lo sapeva, e ogni tanto, guarda un po’, li ascoltava. So che il concetto è difficile da afferrare: un segretario che ascolta gente che non fa parte del suo cerchio magico. Però si può dirigere un partito anche così, prendendosi qualche caffè ogni tanto con le personalità più autorevoli, anziché mandare i messaggini con scritto “li asfalto” ai giornalisti ed espellerle dalle commissioni parlamentari, le personalità più autorevoli, quando non sono d’accordo con te. Continua a leggere

Fassina confonde Bersani con Guerini, oppure fa finta

Sinistra italiana è piena di miei amici, e sono contenta che ci fosse tanta gente oggi al Quirino. Io penso che la questione se uscire dal Pd o no vada un po’ relativizzata. Penso che il partito che nasce e la minoranza Pd avranno bisogno l’uno dell’altra. Avranno più forza se entrambi saranno più forti. Penso anche che alla fine ci si ritroverà. Penso che al Quirino ci fossero molti che vogliono capire, insieme ai tanti convinti ad aderire. Penso che molti di noi non sappiano ancora come voteranno la prossima primavera, figuriamoci nel 2018. Per cui davvero penso che questa vicenda vada gestita con molta intelligenza e apertura mentale, e ho fiducia che così sarà. Continua a leggere

Il ponte sullo Stretto si farà? Boh, ma ecco perché Renzi l’ha detto

Andrea Iannuzzi, amico e collega, mi fa riflettere con un post su facebook. La domanda (di Andrea) è:

Come interpretare la strategia di comunicazione renziana che annuncia “il ponte sullo Stretto di Messina si farà” nel giorno in cui il CdM annuncia lo stato di emergenza perché la città è senz’acqua? Dico sul serio, non può essere casuale e non può non aver messo in conto l’alto rischio pernacchia. 

Ne nasce una bella discussione, in cui ci si interroga se sia davvero Renzi ad aver voluto uscire con queste dichiarazioni (che sono anticipazioni della sua intervista per il libro natalizio di Bruno Vespa) proprio oggi, se sia possibile che invece sia tutto avvenuto per caso, e in cui Tommaso Ederoclite, che conosco dai social come fervente renziano, si affanna a spiegare che “la notizia è ben diversa“, che Renzi in realtà ha detto a Vespa che “dopo, dopo, dopo, dopo e solo dopo si può pensare” di fare il ponte e che insomma il premier ha detto il contrario di quello che i titoli e i social gli stanno attribuendo, e cioè insomma che il ponte sullo Stretto non si farà praticamente mai.

Allora, io penso tre cose. Continua a leggere