Monthly Archives: December 2014

Il mio stipendio online? Ce l’avete già messo

Leggo sui giornali di oggi che come ritorsione contro il voto di alcuni esponenti del Pd che ha mandato sotto il governo in commissione alla camera sulla riforma del senato, qualcuno nel partito pensa, cito, di “mettere online il bilancio delle segreterie Bersani ed Epifani, con relative spese e stipendi degli staff”. Lascio a ciascuno il giudizio sulla qualità di questi argomenti e di questi metodi per gestire un dissenso politico. Chissà cosa c’entrano “gli stipendi degli staff” con le scelte di voto di alcuni parlamentari sulla costituzione. Sull’argomento però ho qualcosa da dire, anzi tre cose: per fatto personale.

1) i bilanci delle segreterie Bersani ed Epifani sono già online, sul sito del Pd. Sono stati messi in rete senza che nessuno ne facesse richiesta subito dopo l’approvazione, alla fine di ogni anno di mandato del tesoriere Antonio Misiani, persona sulla cui correttezza non ho mai avuto un attimo di dubbio e che forse dovrebbe reagire, oggi, a queste insinuazioni.

2) per quanto riguarda il mio stipendio da direttore di Youdem, anche quello è già online da quel dì. Venne infatti reso pubblico insieme a quelli di altre persone che lavoravano al Pd (e non di altre, guarda caso) in seguito a un vero e proprio lavoro di dossieraggio. Fu una pagina disgustosa. Non tanto per l’attacco a me, che bene o male ero una dirigente con un ruolo anche “pubblico”. Ma perché finirono alla gogna anche lavoratori e lavoratrici colpevoli solo di lavorare nella segreteria di un dirigente antipatico a qualcuno. Ricordo la messa alla berlina del fatto che al Pd la presidente del partito, Rosy Bindi, avesse una piccola segreteria di due persone, visto che ne aveva già un’altra alla camera come vicepresidente, e “di conseguenza” la critica alle persone alle quali era stato assegnato il compito di lavorare in quella segreteria. Allora i doppi carichi erano considerati una bruttissima cosa, da additare al pubblico ludibrio.
Il mio era uno stipendio molto alto, e contro di me vi fu una campagna violenta sui social network e su alcuni giornali. Repubblica mi inchiodò a un titolo facendomi dire che lo ritenevo uno stipendio “normale”, in realtà io avevo detto – e nell’intervista era riportato chiaramente – che alla luce di quanto sapevo lo ritenevo uno stipendio in media con quelli di altri direttori di una testata giornalistica, per quanto piccola, a diffusione nazionale. Aggiungo che avevo volontariamente lasciato un posto di lavoro a tempo indeterminato da vicedirettore del quotidiano Europa che, a differenza di altri casi analoghi al mio, chissà perché a me e non ad altri aveva negato la possibilità di andare in aspettativa per lavorare per qualche tempo con il segretario del partito. A causa di questa scelta rischiosa, che mi esponeva senza garanzie alle incertezze della politica avevo chiesto al Pd uno stipendio più alto di quello che percepivo in precedenza. Questo perché Pierluigi Bersani, a differenza di tutti i suoi predecessori alla segreteria del partito e degli altri partiti precedenti, si era impegnato a non lasciare in carico al Pd nessun dipendente “ereditato” dal suo staff. Verificare per credere se ha mantenuto la promessa e come si erano regolati gli altri segretari prima di lui.
Per cui mettetelo pure online il mio ex stipendio. L’avete già fatto, per provare a zittirmi, quando ancora lo prendevo, a meno di non pensare che le buste paga mie e di qualcun altro siano uscite dai cassetti da sole. Non ci siete riusciti allora, figuriamoci adesso. Ma se pensate di ricattare qualcuno con questo argomento e di renderlo più obbediente, temo che vi sbagliate.

3) aspettiamo sempre che mettiate online la lista dei finanziatori del partito alla cena dell’Eur, amici. Mica per polemica, solo per la trasparenza che tanto vi piace. E magari anche la lista dei finanziatori della fondazione Open, oggetto di una bella inchiesta della Stampa nei giorni della Leopolda, inchiesta poi caduta nel più totale oblio. Quando volete, amici. Tutto online, come piace a noi del Pd.

Se un partito va a cena con Buzzi

Se in questi giorni ho insistito sui social network sulla necessità che il Pd dica con trasparenza chi ha partecipato alla cena di finanziamento all’Eur del mese scorso non è per un riflesso giustizialista (che non mi appartiene) né per una cinica ritorsione di partito (sebbene forse sarebbe giusto ricordare in che modo l’argomento “trasparenza” e “gestione dei finanziamenti” sia stato usato nel mio partito, il Pd, anche in tempi piuttosto recenti. E mi fermo qui, per pudore).
Il motivo, dicevo, è un altro. Se verrà confermato, come scrive oggi il Fatto quotidiano, che Buzzi o qualche altro indagato nell’inchiesta Mafia Capitale era seduto a tavola alla cena di finanziamento del Pd, non lo considererei uno scandalo. Può capitare a qualunque personaggio pubblico di trovarsi a cena con la persona sbagliata, e del resto è difficile controllare i meccanismi di invito di un evento come quello, in cui si chiede a decine e decine di persone di “portare qualcuno”. La presenza di Buzzi o di altri a quella cena non dimostra niente contro nessuno, e chi è accusato di qualcosa non è certo accusato del reato di cena. Del resto, se le accuse ipotizzate verranno confermate nei processi, una commistione di alcuni esponenti del Pd con certi ambienti sarebbe dimostrata e quindi sarebbe inevitabile che di essa si trovasse un riflesso nella lista dei partecipanti alla cena. Insomma non è certo la cena a dover scandalizzare.

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In viaggio con Eugenio (anima da pirata)

Esce in questi giorni “Andarsene sognando – L’emigrazione nella canzone italiana”, di Eugenio Marino (Cosimo Iannone editore). Eugenio mi ha fatto il regalo di farmelo leggere in anteprima, quest’estate. Mi sono sdebitata con questa piccola nota, che lui ha inserito nel libro. Un libro davvero speciale.

Porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio
viaggiare

(Khorakhanè – A forza di essere vento
Fabrizio De André, 1996)

Quando Eugenio Marino, che conosce la mia passione dilettantesca e un po’ adolescenziale – a differenza della sua, che è dotta e pensata – per i cantautori, mi ha proposto di leggere le bozze del suo libro, pensavo che “l’emigrazione nella canzone italiana” fosse un tema di nicchia, uno tra i tanti argomenti di cui parlano le canzoni. Errore, gravissimo: l’emigrazione è tema fondamentale, fondante, imprescindibile, e questa è la prima cosa che si capisce leggendo queste pagine. Se poi la consideriamo in senso lato, insieme al suo compagno il viaggio – come si fa in questo saggio a mio avviso giustamente, e dirò perché – allora l’emigrazione è IL tema, è tutto. Non c’è da stupirsene del resto, a pensarci: la musica popolare accompagna la storia dei popoli, e l’emigrazione è la storia d’Italia. Così come il viaggio, in fondo, è la storia dell’umanità.
Non ce ne rendiamo conto, perché a pensare alle canzoni degli emigranti uno s’immagina i canti delle mondine, la nostalgia per Napoli, l’epopea dei bastimenti dalla nave Sirio al Titanic del capolavoro degregoriano: ci si sente in dovere di darsi un tono da specialisti, un approccio serioso, un po’ da storici un po’ da sociologi. E invece quando un giro di chitarra introduce “Paese mio che stai sulla collina” attorno a qualche falò distratto e stonato, o quando un karaoke brutalizza “Questa è la storia di uno di noi”, anche allora di emigrazione si canta, e non ci pensiamo. Così questo libro diventa uno strumento per andare avanti nell’avventura da soli, seguendo il viaggio e l’itinerario suggeriti dai propri gusti e dalle proprie passioni, e giocare a chiedersi se in altri frammenti – “per tutti quelli che hanno gli occhi e un cuore che non basta agli occhi, e per la tranquillità di chi va per mare” – non siano per caso nascosti altri pezzi di questa lunga storia. Inconsapevoli, forse: che siamo tutti “viaggiatori viaggianti da salvare”, e figli e nipoti di gente che “parlava un’altra lingua però sapeva amare”. Continua a leggere