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Riflessioni su un “voto locale”. E un segretario in vacanza

Insomma, “è un voto locale”. Sarebbe bello rileggersi i commenti dei renziani quando nel 2012 il Pd vinse pressoché dappertutto ma perse Parma. “Parma oscura tutto il resto”, dettò la linea Debora Serracchiani. E Matteo Renzi ne approfittò per ribadire che bisognava assolutamente fare le primarie per scalzare Bersani prima della fine del mandato, perché Bersani “ci fa perdere”. Cinque anni dopo, invece, il voto è locale. Anche Genova, anche l’astensionismo da record, anche la destra in rimonta: è tutto locale. E chi dice il contrario, si capisce “vuole usare il voto contro di me”, l’infingardo. Mentre lui, Matteo, sta meritatamente in vacanza. Mica si vota a Firenze, è un voto locale. E poi, astuto, sa bene una cosa: che vedere lui in piazza a far campagna rischierebbe di motivare gli elettori dei partiti avversari. Un concetto che sfuggiva a un ingenuo come De Gasperi, a un Mitterrand, a un Barack Obama: tutta gente che, stolidamente, passava le campagne elettorali a far comizi. Senza rendersi conto del rischio che correva. E solo per un caso inspiegabile questi ultimi, ciononostante, qualche volta hanno vinto. Continua a leggere

Comunicazione Pd, la grillizzazione è completa. Autocitazioni varie e qualche altra domanda

Diversi colleghi nonché, a loro spese (e mi dispiace), parecchi militanti del Pd stanno prendendo dolorosamente atto che ormai la comunicazione del Pd non si distingue praticamente più da quella grillina: né nelle forme né nei contenuti, e nemmeno nel disinvolto ricorso alle tanto esecrate fake news. Perfino la mitica app Bob, la risposta renziankennedyana alla piattaforma grillina (e ti pareva) Rousseau, non è immune a quanto pare dal contagio. Continua a leggere

Una domanda, da qui fuori dal tunnel

Non ho visto il confronto, sono fuori dal tunnel. So che quei serenissimi e distaccati utenti del web che ad ogni mio tweet sul Pd scattano come Bolt per venirmi ad avvertire che (io!) sono “ossessionata da Renzi” non ci crederanno mai, ma non ho nemmeno (ancora) letto bene i giornali. A dire il vero la maggior parte di quello che ho intravisto nei titoli e sui social mi sembra un po’ triste e un po’ lunare. Tuttavia, siccome le agenzie un po’ per dovere professionale le guardo, volevo sapere: ma seriamente qualcuno pensa che Renzi, dopo aver ottenuto nelle primarie una sorta di mandato plebiscitario in bianco, concederà ai perdenti un referendum tra gli iscritti per decidere su quali alleanze dovrà fare il Pd in futuro?

E perché dovrebbe, scusate?

Se per sbaglio al congresso del Pd si parlasse di politica

Nessuno sa veramente cosa dirà tra qualche ora Matteo Renzi, ma è probabile che la direzione di oggi apra per il Pd il percorso del congresso. Se così sarà, due narrazioni sembrano prepararsi per accompagnare la lunga procedura di rinnovo della leadership democratica: da un lato quella classica della “Babele”, di un partito litigioso e sfarinato dall’eterno scontro correntizio, e dall’altro quella della “vendetta”, della “resa dei conti” che prepari il ritorno di un Matteo Renzi rilegittimato dal “suo” popolo: “Ci divertiremo”, filtrano già le gazzette più informate sul Palazzo, rendendo il tipico approccio tra irridente e minaccioso al quale ci ha abituati la leadership uscente. “E chi perde rispetti chi ha vinto”, come se in un partito non fosse altrettanto necessario, se non più importante, anche il contrario.

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Rottamare il telefono: un caso di psicopolitica

Scrive sul Foglio* l’ottimo David Allegranti – ed è uno scooppettino divertente, perché molto si è parlato nei giorni scorsi di messaggi e mail a cui l’ex premier non risponde – che Matteo Renzi, dopo le dimissioni, ha cambiato telefono. Nel senso di numero, ovviamente. Allegranti, che è giornalista accurato e attento, riporta anche il commento della sua fonte, un anonimo senatore renziano: “È normale – dice dunque il parlamentare – dopo una sconfitta”.

Ecco, io penso che su queste cinque righe di articolo bisognerebbe scrivere diversi tomi scientifici. Non ho ancora deciso però la materia: di psicologia o di politica. Sono incerta, per dire, tra la valutazione comportamentale di un individuo adulto che, dopo aver subito una plateale smentita, decide di rendersi irrintracciabile a tutti coloro a cui non ha voglia di parlare e quella di chi, chissà se richiesto del suo parere, si affretta a definire questa reazione “normale”. Continua a leggere

Sulla post verità, sulle bufale, sul giornalismo

Sono stata da tutt’e due le parti della barricata. Sono una giornalista e ho lavorato nella comunicazione politica. Ho fatto la portavoce e l’ufficio stampa, e la vicedirettrice di un giornale e la direttrice di un’anomalissima tv di partito che faceva ottimo giornalismo e ottima comunicazione politica. Me lo dico da sola, sì. Perché so di essere stata nel mezzo di una guerra, in cui nessuno è disposto a riconoscere niente a nessuno. Però forse ho qualche titolo a dire la mia su questa storia del dibattito sulla post verità e poi delle minacce di giuria popolare sulle bufale dei giornali e relative reazioni indignate. Che non mi convincono, né le une né le altre.

Molte cose le ha scritte Michele Fusco, su Gli stati generali. Ne aggiungo qualcuna, in modo molto poco organico perché meglio non mi viene.  Continua a leggere

Gli errori compresi in ritardo. Perché il renzismo è finito

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Libertà, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia e altri).

“Abbiamo straperso”. Matteo Renzi ha puntato a presentarsi come uno che ha capito: niente “lanciafiamme” – congresso subito, primarie domani – e un’analisi anche severa, da leader consapevole e pronto a ripartire. Ma a ben vedere la sua autocritica – sulla personalizzazione, sugli errori nel rapporto col Sud, le periferie, i giovani, il web – non è stata mai sulla sostanza, ma solo sulla comunicazione. È convinto anzi che la storia renderà giustizia alle sue riforme. Ma davvero Renzi può tornare? Forse, ma le cose dette ieri non bastano. Perché dopo il 4 dicembre del renzismo non resta niente: non c’è più una linea politica e non c’è più un racconto che parli all’Italia, a questa Italia che il 4 dicembre ha svelato. Continua a leggere

Che cosa succede, adesso, nel Pd

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Libertà, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia e altri).

Venerdì sera, mentre piazza della Signoria sfavillava dei riflettori delle dirette tv sul comizio in cui il premier annunciava la “rimonta bestiale” del Sì, nella Casa del popolo di Pontassieve, a pochi passi dalla strada in cui vive la famiglia Renzi, un centinaio di persone discuteva delle ragioni del No. Gente che ha pagato prezzi politici e professionali anche alti negli ultimi tre anni, e ha scelto di essere “contro” nonostante qualcosa da perdere e una pressione quasi minacciosa. Usciti dal partito o con un piede fuori ma che volevano ritrovarsi, ricostruire: “Siete stati eletti insieme, non come avversari”, dicevano a Filippo Fossati e Giovanni Paglia, deputati di Pd e di Sinistra italiana. Più lo sguardo al futuro che l’ansia per il risultato: “È vero che noi siamo pochi e in trincea nel partito. Ma io quando parlo con le persone normali, coi miei colleghi, al supermercato, trovo solo gente che vota No. E No convinto eh?”. E insieme, data la situazione, una certa passionale serenità: “Ma perché dicono che è stata una campagna brutta? È stata bella. A me piacciono sempre le campagne elettorali”. Continua a leggere

Referendum: ma siamo sicuri che sia la vittoria del Sì a garantire stabilità? (No)

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Libertà, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia e altri).

Aveva destato qualche stupore il fatto che ultimamente Matteo Renzi avesse cominciato ad alludere agli scenari successivi a un’eventuale vittoria del No. È bastato attendere e il motivo è diventato chiaro: gli ultimi sondaggi consentiti prima del silenzio preelettorale rendono quella della bocciatura della riforma Boschi un’eventualità non ignorabile, ed è assai verosimile che il premier quei sondaggi li conoscesse da qualche giorno. Tuttavia la drammatizzazione dello scenario post vittoria del No, da parte di Renzi, è indubbiamente anche una tattica per recuperare il consenso che in queste ore sembra sfuggirgli. Evocare un quadro di instabilità può servire a parlare alla “maggioranza silenziosa”, quella massa di indecisi poco politicizzati e poco interessati ad approfondire il merito della riforma che, pur non disposti ad arruolarsi in un plebiscito pro-Renzi potrebbero temere le incertezze di un eventuale e imminente post-Renzi.
Ma è proprio vero che la vittoria del No porterebbe instabilità? Continua a leggere

Manca qualcuno nell’improbabile campagna anticasta del Sì

Guardavo questo tweet, e qualcosa non mi tornava.

No, non è come pensate. Non è perché questo volantino, uno dei tanti di #bastaunsì contro la “casta”, non si capisce se è un manifesto dei grillini per il No o un manifesto dei renziani per il SìContinua a leggere