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Critiche agli assenti e accuse agli avversari: ma il Pd vuole davvero cambiare?

Pubblicato su The post internazionale

Il dibattito nella direzione Pd, con alcune pregevoli eccezioni, ha dimostrato che dopo il dramma dei primi giorni post voto il partito sta perdendo di vista la dimensione della sua sconfitta e del suo problema. Le ironie della batteria social renziana sulla percentuale del risultato del Pd di Letta, in fondo simile a quello di Renzi, sono totalmente fuori luogo: l’affondamento del partito della sinistra di governo nasce dallo smarrimento della sua identità e delle sue ragioni che toccò il suo culmine negli anni del Giglio magico, e continua oggi. Tuttavia non è affatto vero che quel risultato sia “non catastrofico” come lo ha definito ieri il segretario. Così come è grottesco il giudizio che dopo la costernazione dei primi giorni sta emergendo a sinistra sul risultato dei 5 Stelle, che in fondo “hanno perso punti rispetto al 2018” e “sono tornati alle percentuali dei tempi del Conte 2”, per cui in fondo in fondo avrebbero perso le elezioni anche loro.

Vincere o perdere infatti è questione di obiettivi. Il Movimento 5 Stelle aveva l’obiettivo di dimostrare di essere ancora vivo, e l’ha centrato. Il Pd aveva l’obiettivo di contendere alla destra il governo del paese, e l’ha mancato. In questo senso, la separazione di luglio, al di là delle rotture anche personali, è stata molto più consensuale di quanto Letta e Conte abbiano confessato anche a se stessi. Entrambi hanno fatto, come è normale e legittimo, una valutazione strategica: Conte ha valutato che la sopravvivenza dei 5 Stelle si ottenesse con un ritorno all’identità e con una corsa solitaria centrata sulla sua personale popolarità. Letta ha valutato che la strada giusta per il Pd fosse rivendicare il sostegno a Draghi e l’affidabilità del “primo partito”. Entrambi hanno, come è stato detto, “proporzionalizzato” il Rosatellum, decidendo di non puntare sulla coalizione e rinunciando così a una vittoria possibile in buona parte dei collegi. Una catastrofe, se volete una catastrofe con due colpevoli, dal punto di vista di chi si augurava che la vittoria non andasse alla destra. Ma con questa strategia uno dei due leader ha raggiunto il suo obiettivo, l’altro lo ha mancato in pieno.

E non si dica, come si dice e si è detto anche ieri, che c’è chi ha pensato al paese e chi a se stesso: tutti i partiti, quando arrivano alle elezioni, pensano al paese e a loro stessi. Ogni partito pensa che bene del paese sia la propria sopravvivenza e il proprio successo, altrimenti non sarebbe tale. Fare la morale agli altri perché si sono permessi di avere una strategia migliore della tua è indice di un’arroganza falsamente consolatoria e fin troppo nota.

Ma c’è un’altra ragione per cui il risultato del Pd è tutt’altro che “non catastrofico”: a causa del successo della strategia di Conte e dell’affermazione, per quanto inferiore alle loro attese, del “Non-Terzo” polo calendiano, il Pd per la prima volta si trova a non essere più circondato dai sette nani, ma ad avere competitor realmente consistenti e insidiosi sia a destra che a sinistra. È una situazione pericolosa, che senza una reazione può innescare, come è stato detto, un fenomeno “francese”, e cioè quello che è il prosciugamento (ai limiti dell’azzeramento) dei consensi del Partito socialista. Un processo che, attenzione, può essere molto veloce. Guardare all’estero può servire: anche il Psoe spagnolo si è trovato in una situazione simile, stretto tra Ciudadanos e Podemos. Pedro Sanchez ha scelto l’alleanza con Podemos, e governa la Spagna. In Francia, invece, il presidente è Macron. Lo ha detto ieri Andrea Orlando: ci schiacciamo fino a perdere noi stessi su qualunque formula di governo o leadership esterna perché non abbiamo scelto la nostra identità, il nostro punto di vista sul grande tema sociale (salvo poi non riuscire nemmeno a rivendicare i risultati perché siamo già schiacciati su un’altra cosa, come ha aggiunto Peppe Provenzano). Ma il Pd è in grado di scegliere? Come? Quanto risentimento, quanta chiusura retorica sulle critiche alle primarie, quando la domanda da farsi sarebbe una sola: funzionano?

Infine c’è un tema di credibilità, messo in evidenza ma forse non abbastanza spiegato dal giovane neo deputato napoletano Marco Sarracino. Un tema perfino stucchevole, e però qui mi viene un esempio. Uno dei messaggi forti di ieri è stato: mai più governi tecnici e istituzionali, se cade il governo si va al voto. Benissimo, anche qui non tanto per moralismo quanto perché in questa legislatura “governo tecnico” vorrebbe dire per il Pd fare maggioranza con Fratelli d’Italia, mica coi 5 Stelle, e forse (speriamo) sarebbe un po’ più complicato. Tuttavia come fai a lanciare questo messaggio con un segretario che è stato premier di un governo di larghe intese e che ha fatto tutta la campagna elettorale maledicendo chi aveva interrotto l’esperienza di un governo “senza formula politica”? Le parole hanno ancora un peso? E sorvolo sulle critiche feroci sentite ieri alla legge elettorale in vigore e anche a chi “non ha voluto cambiarla”, tutte fatte da gente che quella legge l’aveva scritta e votata, anche con una discreta forzatura parlamentare: basta dire che Rosato non è più nel Pd per scagliarsi liberamente contro il Rosatellum? E sono tutti argomenti sentiti in campagna elettorale. È dubbio che fossero (e siano) argomenti efficaci.

Detto questo il Pd farà una grande chiamata, e sarà giusto ascoltarla e partecipare. Non c’è altra salvezza per la sinistra, è doveroso provarci. Anche qui però, e sarebbe bello che venisse detto con l’equilibrio, il buonsenso e la soavità con cui lo ha detto ieri il sindaco di Bologna Matteo Lepore: sia una chiamata e un’apertura vera, interessata all’ascolto e al cambiamento, che metta in gioco qualcosa. Perché ieri in certi momenti sentendo quella sfilza di scatti d’orgoglio, critiche agli assenti, condanne a chi se n’è andato (in qualunque direzione e per qualsiasi motivo, evidentemente tutti uguali), no a suggerimenti, sentiti ringraziamenti, difesa di ogni scelta, accuse agli avversari e anche ai possibili alleati, la domanda sorgeva spontanea: ma a chi vi volete aprire?

Se per sbaglio al congresso del Pd si parlasse di politica

Nessuno sa veramente cosa dirà tra qualche ora Matteo Renzi, ma è probabile che la direzione di oggi apra per il Pd il percorso del congresso. Se così sarà, due narrazioni sembrano prepararsi per accompagnare la lunga procedura di rinnovo della leadership democratica: da un lato quella classica della “Babele”, di un partito litigioso e sfarinato dall’eterno scontro correntizio, e dall’altro quella della “vendetta”, della “resa dei conti” che prepari il ritorno di un Matteo Renzi rilegittimato dal “suo” popolo: “Ci divertiremo”, filtrano già le gazzette più informate sul Palazzo, rendendo il tipico approccio tra irridente e minaccioso al quale ci ha abituati la leadership uscente. “E chi perde rispetti chi ha vinto”, come se in un partito non fosse altrettanto necessario, se non più importante, anche il contrario.

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Non ce ne andiamo, se no vince Renzi. (Da Huffington post)

Su Huffington post, ieri, Alessandro De Angelis mi ha fatto questa intervista (ancora grazie). La ripubblico qui, per i lettori di questo blog e per ritrovarla in caso ci serva.

L’amarezza ha il volto della pasionaria Chiara Geloni, giornalista, già direttore della tv del Pd in epoca Bersani: “È un periodo in cui è difficile sentirsi capiti”.

A che ti riferisci?
Ho appena visto l’apertura del vostro sito, con le parole di Saviano. Lui dice: inconcludenti, ricordate Ecce bombo. Un’altra delle amarezze di questi giorni.

Parliamo di questa amarezza che, immagino, sia di fondo per come è diventato il Pd.
Ho letto questo grandioso e tragico pezzo di Ezio Mauro. Dice che Renzi ha snaturato il Pd, che il partito è senza identità, disarmato, che ha abbandonato i suoi valori e c’è una montante marea di destra. Ora, se questo il punto, dico: si potrà riconoscere che chi lo critica ha qualche ragione? Chi ha tenuto fermo un punto di vista, in questa fase di conformismo, di marcia trionfante del renzismo, forse, non è da disprezzare. C’è nel Pd una posizione che in condizioni difficilissime cerca di salvare un’esperienza, un’esperienza in grave pericolo come dice Ezio Mauro.

Da giornalista a giornalista, andiamo al punto. Tu hai la sensazione o la convinzione che, in fondo, Renzi vi vuole cacciare?
Beh… Accadono cose che sono oggettivamente umilianti. Prova a immaginare, durante altre segreterie, il sito del giornale di partito che ospita articoli dove c’è scritto che Bersani vuole solo far cadere Renzi e di tutto il resto non gli importa nulla, gli account di parlamentari e dirigenti che fanno tweet con offese personali o minacce di non ricandidatura. Io quando tweettavo durante le primarie venivo accusata perché non ero imparziale, ma dal mio account né da direttore di Youdem né dopo ho mai offeso né minacciato nessuno.

Ce l’hai con Rondolino?
L’hai detto tu, io non faccio nomi. Ma questo è il clima. Ma l’hai sentito l’intervento di Renzi di ieri? Aveva il tono di sfida di uno che non è lì per dire: abbiamo un problema, risolviamolo. Ma di uno che diceva: vi ho dato questo, quello, ora vi do anche questo così vi tolgo gli alibi e vediamo che fate. Non è il modo di pacificare un partito diviso. E mi ha colpito che prima della riunione nessuno avesse la minima idea di cosa avrebbe detto il segretario, nemmeno i suoi. Una mediazione non si fa così. In un partito ci sono canali aperti, ci si ascolta, si crea un clima, si cerca un punto di caduta. E il partito che accetta questo metodo? Orfini dopo la relazione ha detto “non ho nessun iscritto a parlare”. Sai perché? Non sapendo fino all’ultimo cosa avrebbe detto Renzi nessuno, neanche i suoi, sapeva che tono prendere, che parte recitare…

Concordo nell’analisi. Renzi ha preso a schiaffi la sua sinistra. E c’è un conformismo devastante. Però ti aggiungo. Su queste premesse, uno che dissente, si alza e gli dice: bello mio, ti voto contro, faccio i comitati del no e il 5 dicembre vediamo chi dei due sta in piedi. Invece la minoranza crede ancora in un accordo. O no?
Per come sono andate le cose avanti, una ricomposizione è difficile. Certo Cuperlo e Speranza, che pure sono andati al cuore del problema senza fare sconti, hanno lasciato aperto un filo di comunicazione. Però a questo punto… Io vedo che molte persone sul territorio hanno già deciso e non è facile che tornino indietro.

Stefano Di Traglia, l’ex portavoce di Bersani, ha fatto il comitato del no.
Democratici per il no non è un comitato, è una rete. Stefano mi ha invitato e c’ero anch’io a quella riunione. C’erano molti iscritti ed ex iscritti al Pd.

A me questo travaglio pare un po’ inconcludenza. Vivaddio, D’Alema almeno l’ha letta da subito, dicendo “quello non cambia l’Italicum, l’Italicum si abbatte con il no” e gira l’Italia organizzando il no.
La differenza è che D’Alema non ha votato la riforma, non è parlamentare, è un cittadino che esprime liberamente le sue opinioni. Come me.

Un cittadino che però fa imbestialire il premier. Ma il punto è che ormai nel Pd ci sono due mondi, segnati da sfiducia, una diffidenza direi quasi antropologica. Renzi è il nemico in casa che snatura il Pd, gli altri sono dei ferri vecchi da rottamare. Questa rappresentazione la condividi?
Seguo il Pd da 20 anni, e da sempre è un partito plurale. Quello che c’è di nuovo è che ora non c’è la volontà di tenerlo insieme. Si procede per strappi e c’è un problema di rispetto: il “lanciafiamme”, il “certi voti non servono”, “c’è Verdini”, “se non ci siete voi c’è chi mi vota”. C’è stato un momento in cui tutto poteva cambiare, una grande occasione. Quando eleggemmo Mattarella, Renzi capì che su un candidato “Nazareno” il Pd si sarebbe spaccato, chiamò la minoranza e cercò una proposta condivisa di tutto il Pd. E la minoranza mica ha detto ok per finta, mica ha organizzato la vendetta per i 101. Da quel momento, dopo quella prova di lealtà, Renzi poteva davvero diventare il leader di tutto il Pd, rappresentarlo tutto nonostante le asprezze precedenti. Invece dopo 15 giorni ha buttato fuori i parlamentari che non erano d’accordo sull’Italicum dalla commissione affari Costituzionali.

Mi dai ragione. Renzi capisce solo i rapporti di forza. Lì andava sotto e ha mediato. Gli si poteva votare contro altre volte: jobs act, riforme. Invece è prevalso il riflesso unitario.
La fai facile tu. È che se decidi di stare in un partito… Il mio non è un riflesso da centralismo democratico, è una convinzione profonda che il Pd sia la risposta giusta per l’Italia. Secondo te è un’alternativa uscire dal Pd? Per fare cosa? Secondo me se esci fai un doppio danno. Gli regali il 100 per cento del partito e affondi un progetto, il Pd, che con tutti il limiti serve ancora al paese.

Il problema è che, sui territori, il Pd è diventato un’altra cosa. È già il partito della Nazione. O sbaglio?
Si fa fatica a riconoscerlo, ma io non lo do per perso.

Dunque, tutti dentro anche il 5 dicembre. Cuperlo ha detto che se vota no si dimette.
Lucido e amaro. Spero che non dia corso al suo annuncio. Che non si dimetta da deputato. Tanti democratici per il no devono essere rappresentati, io voglio essere rappresentata nel Pd.

Che cosa c’è di sinistra in questo Pd?
C’è Cuperlo no? Lui, Speranza, le nostre idee. La rottamazione vince se lasciamo il Pd, non se restiamo.

E se vince il sì?
Renzi potrebbe essere tentato di capitalizzare la vittoria e portarci al voto in primavera. Poi, sai, dipende da come vince. Se vince 52 a 48 magari poi perde le elezioni, sarebbe un azzardo. C’è una questione di fondo che lui sottovaluta: le amministrative dimostrano che tutti questi voti di destra non arrivano a compensare i voti di sinistra che il Pd lascia per strada. Non ne parla nessuno, però il Pd ha perso parecchi milioni di voti.

Secondo te Bersani andrà in giro a fare campagne e comizi per il no?
Comizi non credo, farà dibattiti e dirà la sua.

Tu hai scritto il libro Giorni bugiardi. Sono ancora bugiardi i giorni che si vivono nel Pd?
Sì, i Giorni bugiardi continuano. Quel clima l’ho rivissuto più volte, almeno altre due: quando è caduto Letta, poi in piccolo quando è caduto Marino. Di nuovoun partito che non riesce mai a comporre i conflitti rimanendo comunità. Deve sempre uscire umiliato qualcuno: Marini, Prodi, Bersani, Letta, Marino…

Chi sarà la prossima vittima della bugia?
Prima o poi la vittima sarà lui.

Renzi?
Sì, quando vai avanti per prove di forza ci può essere il momento in cui la vittima sei tu. Fatti un giro a Montecitorio: la situazione è mossa rispetto a qualche mese fa. Molti si guardano intorno, si interrogano su che succederà. C’è molto conformismo di facciata verso il capo ma non senti l’amore per il leader.

Che senti?
Timore. Renzi ha una certa presa sul partito. Sai, da palazzo Chigi hai argomenti per far valere le tue ragioni che altri segretari non hanno avuto…

Quando lo vedi in tv, che pensi?
Che è sempre lì… Prima dice “sbaglio a personalizzare”, poi tutti i giorni è in tv o in radio… Ma forse sbaglio io, quello è il vero punto di forza.

Da pasionaria a pasionaria: dai un consiglio alla Boschi.
Essere più spontanea, trasmette una certa rigidità.

Ci andresti a cena con Lotti?
Se non c’è Verdini volentieri.

L’ultimo: a Renzi.
Di rilassarsi. Lo vedo un po’ ansiogeno ultimamente. Dovrebbe essere un po’ più…

Un po’ più?
C’è una parola… Ecco: sereno. No?

La sindrome di Pellè e il Pd accecato dal suo storytelling

Oggi sul quotidiano Il Dubbio

Tutti i partiti finiscono per somigliare al loro leader. Il Pd è diventato prigioniero, come il suo segretario, dello strumento che ha imparato a maneggiare con tanta abilità, la comunicazione. Drogato di storytelling, non riesce più a pensare ad altro; invece di leggere la realtà, si chiede come raccontarla; ma soprattutto – dramma vero – non riesce a percepire l’effetto che fa il modo in cui si rappresenta, la distanza tra le parole che usa e l’effetto che fanno. La sconfitta del Pd avviene così, paradossalmente, proprio sul terreno della comunicazione. Qualche esempio.  Continua a leggere

La sinistra torni a fare la sinistra (anche perché ha vinto la destra)

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri).

“Perché qua è vero che il centrodestra non c’è più: e però attenzione, ci sono ancora gli elettori”. Così ragionava in privato, qualche mese fa, una vecchia volpe che ha attraversato prima e seconda repubblica. La vecchia volpe si chiama Clemente Mastella, e guarda caso da un paio di settimane fa il sindaco di Benevento. Per il centrodestra, naturalmente. Eh già, forse a mente fredda dovremmo smetterla di ripetere come pappagalli che gli elettori hanno premiato “i volti giovani” e guardarlo un po’ più in profondità un voto che non è stato solo il trionfo delle “ragazze” grilline. Aiuterebbe il Pd ad esempio, nella sua prossima direzione, fare un’analisi un po’ più seria.

L’“Italia di mezzo”, a guardarla bene, dice più cose di quattro o cinque grandi città. E se è certamente vero che dal voto esce chiaro il segnale di una crisi del Pd iperrenzizzato da un lato e dell’inizio degli esami di maturità per un Movimento 5 stelle almeno parzialmente degrillizzato dall’altro, nessuno dovrebbe dimenticare l’esistenza di un terzo incomodo da non sottovalutare. Continua a leggere

Armistizio, anzi guerra totale. Pd tra Lenin e storytelling

Oggi, sul quotidiano Il Dubbio

Questa idea che la politica è solo comunicazione, c’è da temere, ci sta un tantino prendendo la mano. Perché poi la realtà si prende i suoi diritti, “i fatti hanno la testa dura” diceva quello (ok, era Lenin), e l’effetto grottesco-comico è dietro l’angolo. C’è di buono che se sei dentro la bolla non te ne accorgi, se riesci a star fuori però ti diverti da matti. Tutto sta a vedere dove siano gli italiani adesso, se fuori o dentro la bolla: bella scommessa, elettorale. Continua a leggere

Buridano e altri asini

  • Deplora il presidente Enrico Rossi che “il Pd rischia di diventare come l’asino di Buridano“. Colpevoli, Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, rei di aver convocato la loro area politica il 12 dicembre, stesso giorno della Leopolda. Cosicché “un elettore che volesse un po’ annusare la vita del partito” sarà costretto a scegliere, quel giorno: o Firenze, o Roma. Ne conoscete voi di elettori Pd indecisi tra la Leopolda e Cuperlo&Speranza? Io pochissimi, anzi forse pensandoci bene solo Enrico Rossi. L’asino di Buridano, temo, è lui.
  • Solo per amor del vero, però, va detto che Cuperlo e Speranza hanno rinviato la loro riunione, già convocata per il 5 dicembre, dopo che l’iniùs del segretario (ok, l’e-news, ok) ci ha informato che il 5 e 6 dicembre ci sarà una mobilitazione nazionale, coi banchetti, di tutto il Pd. Non so se, come dice qualcuno, lo spostamento di data sia stato quindi “concordato con la segreteria”. Non mi importa molto, e anzi preferirei di no: ognuno convoca la sua corrente quando vuole, Renzi come Cuperlo e Speranza che in questo pari sono. Le iniziative unitarie di partito, invece, prevalgono, che fossero state convocate prima o meno (in questo caso, convocata dopo). Questa per me è la regola, e valeva anche quando la Leopolda era ancora una riunione di scapigliati rottamatori in netta minoranza, mica una passerella di sottosegretari con la pancetta come adesso, e pretendeva di far saltare le iniziative Pd. Altro che rinviare di una settimana per spirito unitario.
  • Infine, pare che alla direzione pd convocata per oggi, ordine del giorno la lotta al terrorismo, si discuterà di una norma anti Bassolino. Bassolisis, oh yeah, il terrore attraversa l’Europa. Dice l’impavida vicesegretaria che “non si può candidare chi è già stato sindaco due volte“, cosa che “varrebbe anche per Renzi a Firenze e Delrio a Reggio Emilia”, mica è una norma ad personam. Varrebbe anche per La Pira, per dire: il Pd non guarda in faccia nessuno. Solo che La Pira, dettaglio, non ha annunciato due giorni fa l’intenzione di candidarsi (come del resto Renzi e Delrio). Anzi, secondo il solitamente ben informato Corriere la norma sarebbe ancora più cogente, così da valere anche per Ignazio Marino: non può ricandidarsi “chi ha già fatto il sindaco”, punto. Tranne gli uscenti eh, tranquillo Fassino: perché in effetti il buon Ignazio non è uscente, è uscito. Ora, premesso che non si capisce perché un ex sindaco che può candidarsi alle elezioni vere non dovrebbe potersi candidare alle primarie. Premesso che Enzo Bianco o Leoluca Orlando dovrebbero decadere immediatamente, e che la candidatura di Rutelli nel 2008 va considerata a questo punto irregolare. Premesso che i renziani al tempo della scapigliatura sarebbero scesi in piazza contro chi, “da Roma”, avesse preteso di “cambiare le regole in corsa”. Premesso tutto questo, ma voi come la definireste della gente che pensa di governare un partito così, cambiando le regole a capocchia a mezzo interviste a Repubblica, col probabile risultato di far candidare Bassolino e Marino lo stesso, però da martiri e contro il Pd? Ogni riferimento al titolo di questo post è, naturalmente, casuale.

Ma la sinistra non è stata asfaltata

Sulla direzione Pd, oggi ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso

Matteo Renzi non ha ceduto di un millimetro sull’Italicum, la minoranza Pd però non è “asfaltata”. Se è vero, come hanno scritto i giornali, che il segretario puntava – con l’improvvisa convocazione della direzione del Pd – a fotografare la spaccatura nel fronte dei suoi oppositori, a isolare i “seniores” (Bersani, D’Alema, Bindi) e gli “irriducibili” (Fassina, Cuperlo) incorporando il grosso degli ultimi quarantenni che ancora non si erano renzizzati, la missione del segretario non è riuscita. La direzione ha approvato, coi numeri larghi che Renzi si è guadagnato alle primarie, la blindatura e l’accelerazione sulla riforma; ma la minoranza Pd, dopo giorni durissimi in cui il grosso degli osservatori le aveva già cantato il requiem, ha trovato per una volta la forza di non dividersi e di insistere sulle modifiche che il segretario nega. I prossimi venti giorni, quelli che mancano all’arrivo in aula dell’Italicum il 27 aprile, apriranno a questo punto, comunque vada, una fase nuova, al momento non facile da immaginare.  Continua a leggere

Non solo te la racconto. Ma ti racconto che te la racconto

Ho trovato su Facebook (lo postava, entusiasta di un leader che “comprende il nostro tempo”, il mio amico Mario Rodriguez) questo video, così ho riascoltato questo pezzo della relazione di Matteo Renzi in direzione. Anche nel risentirlo, ho pensato la stessa cosa di quando lo avevo sentito in diretta. Cioè: ma quale popolo contemporaneo accetterebbe di sentirsi dire dal proprio presidente del consiglio che un politico non deve mettere al centro i contenuti, ma la comunicazione?


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In quale direzione

Leggo che alla direzione del Pd di stasera, convocata d’urgenza con un sms e due giorni di preavviso in orario notturno, così da venire incontro – immagino – alle esigenze del territorio, si voterà su: Jobs act, legge elettorale, legge di stabilità e riforme costituzionali. Leggo che bisogna correre, correre, correre.
Speriamo che ci spieghino anche perché corriamo, con l’occasione. Perché con le aziende che chiudono, gli argini che crollano e il governo stabile fino al 2018 si debba correre tanto per fare subito subito la legge elettorale ad esempio.
Perché se “il patto scricchiola” e siamo pronti a proseguire senza Berlusconi non possiamo fare, come abbiamo sempre detto di voler fare, i collegi uninominali, invece di quella cosa delle liste un po’ bloccate è un po’ no, anche.
Perché se abbassiamo le soglie per far contenti i “piccoli” e anche i minuscoli, andiamo avanti con una riforma dichiaratamente pensata per rendere il nostro “un sistema fondato su due grandi partiti” (che poi non ho mai capito qual era il secondo grande partito, visto che Forza Italia è il terzo).
Cosa vuole fare insomma Matteo Renzi, a parte correre e dare titoli ad effetto ai giornali? Verso dove stiamo correndo, presidente? Se ce lo spiega in modo convincente, sarebbe importante. Se magari qualcuno stasera glielo chiede, ci fa un favore. Che noi possiamo solo guardare lo streaming, e comunque abbiamo già il fiatone. Grazie.