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Sul presidente cattolico

Non ho candidati presidenti da affossare o da difendere. Ho proprio un problema di orticaria agli argomenti disonesti. Accusare qualcuno di rivendicare posti al sole in virtù della propria fede religiosa è ignobile almeno quanto evocare lo slancio evangelico di papa Francesco per contrastarlo. Non si tratta, per nessuno nel Partito democratico, di voler andare al Quirinale per fare “il presidente dei cattolici” anziché quello di tutti gli italiani. La questione è un pochino più complessa, ed è che il cattolicesimo democratico è una delle maggiori e più ricche culture costituzionali di questo paese. È per esempio quella cultura che ha insegnato ai sindaci cattolici degli anni duemila a dare per scontato che il sindaco agisce nell’interesse di tutti e della libertà di tutte le religioni che sono professate nella sua città. È una delle culture che la Carta costituzionale, di cui il presidente della repubblica è il custode, l’hanno scritta e poi nei decenni preservata. Insieme ad altri, certo. Per cui è perfettamente legittimo dire che dopo un presidente azionista e un presidente socialdemocratico, al Colle potrebbe ora salire un presidente cattolico democratico. Oppure, naturalmente, no. Che mica siamo alle crociate. Però a leggere il pensiero di certi eredi, cadono le braccia. E viene da pensare che una certa cultura politica abbia più bisogno di altre di essere preservata e difesa, indipendentemente da chi salirà al Quirinale.

La Terza Repubblica dei democratici cattolici

(questo post è uscito sull’Huffington post italia)

Scrivo per riprendere e segnalare questo pezzo di Massimo D’Antoni per il sito Left Wing, che mi sembra davvero importante e condivisibile. E’ proprio il giorno giusto per aggiungere qualche considerazione, quello in cui da un lato come rivela l’Huffington Post la lista Monti mostra qualche imprevista difficoltà in quella che sembrava una corsa lanciata verso una nuova rappresentanza dei cattolici, e dall’altro il Pd annuncia la candidatura alle prossime elezioni di quattro figure rappresentative di quel mondo. (continua qui )

Attenzione a dare per morti i Popolari

Sul Foglio di oggi è uscito questo mio contributo al dibattito sui cattolici nel Pd. Nella stessa pagina, gli interventi di Enrico Letta, Roberto Reggi, Giuseppe Fioroni, Giorgio Tonini, Mario Adinolfi. Ve li consiglio (chi più, chi meno). 

È interessante riflettere su come la stampa, specie quella solitamente dedita al classico tema del “disagio dei cattolici nel Pd”, oggi scopra la notizia del “tramonto dei popolari”. Il vento rottamatorio non poteva lasciare certo immuni gli eredi di quello che è uno dei due antichi filoni culturali del Pd, e anzi forse i commentatori son stati fin troppo distratti finora, complice la zona d’ombra in cui la guida a sinistra di Bersani e l’arrembante scalata di Renzi hanno posto i vecchi dirigenti cresciuti a piazza del Gesù, poi colonna portante organizzativa e funzionale della Margherita dietro la leadership di Rutelli. Improvvisamente, invece, eccoli nel mirino dei nuovisti: ottusamente intransigenti nell’opposizione al renzismo, gaberianamente autorottamati dal “la mia generazione ha perso” del loro leader storico Castagnetti, tragicamente demodé nella diffidenza per gli entusiasmi partecipativi da gazebo. Continua a leggere

La Cosa bianca non c’entra col voto dei cattolici

Un’omelia del presidente della Cei invita i fedeli cattolici a impegnarsi di più in politica e i politici cattolici ad essere coerenti con la loro fede e subito sui giornali si scatena un dibattito tutto politologico: i movimenti al centro, le alleanze presenti e future, le personalità pronte a scendere in campo, addirittura la polemica sui matrimoni gay (stavolta nel Pdl, tanto per cambiare). Perfino il prossimo anniversario della morte di Alcide De Gasperi diventa argomento da retroscena. La confusione è grande, per cui forse giova ripetere qualcosa che si rischia, a furia di darlo per scontato, di dimenticare.  Continua a leggere

Non è a destra il posto dei cattolici (e alla Chiesa conviene il pluralismo)

La sensazione è che la chiesa pagherà: non per il silenzio di questi giorni, che sempre più insistentemente le viene rimproverato anche da pulpiti non titolatissimi, ma per la strategia di questo ventennio. Il lungo crollo del berlusconismo lascia veleni e macerie dai quali nessuno sarà risparmiato; e più sarà lungo, quel crollo, e più farà danni. Si logora l’opposizione, che proprio per aver visto e denunciato da anni – con accenti diversi e differenti ragioni – gli errori e le vergogne del sistema imperante, ora rischia paradossalmente, invece di raccogliere i frutti, di apparire una cassandra impotente e lagnosa. Si logora l’establishment economico, intellettuale, giornalistico che in questi anni non s’è guadagnato i titoli per dire adesso ciò che ha troppo a lungo taciuto. Si logora il senso civico e l’amor proprio degli italiani, perché alla fine puoi dare la colpa all’establishment e alla sinistra, ma devi ammettere che Berlusconi al potere ce l’abbiamo mandato, e così a lungo conservato, noi cittadini con il nostro voto, nella crescente incredulità del mondo. Continua a leggere

La Cei prima del ruinismo

C’è chi ai suoi tempi vestiva alla marinara, chi la sera andava in via Veneto, e c’è anche chi leggeva La Chiesa italiana e le prospettive del paese. Quella piccola citazione nella prolusione di monsignor Bagnasco (intervento di apertura dei lavori dell’assemblea permanente della Cei, pronunciato qualche giorno prima), il famoso discorso sull’«Italia che guarda sgomenta», ha fatto drizzare parecchie antenne. E non solo per la nettezza della frase prescelta, praticamente una sentenza sulla società contemporanea, e una sentenza con un preciso colpevole: «Il consumismo ha fiaccato tutti». Continua a leggere

Una generazione di cattolici impolitici

Antefatto: Lucetta Scaraffia, dalle colonne del Messaggero, si rivolge a Pier Luigi Bersani a proposito del suo libro intervista “Per una buona ragione”, in cui il segretario del Pd esprime contrarietà a sancire per legge il diritto alla procreazione per le coppie omosessuali, ma accetta poi di confrontarsi con il tema di come tutelare i diritti dei minori che “di fatto” vivono e crescono con due persone dello stesso sesso. È uno “slittamento etico”, secondo l’intellettuale cattolica. In nome dell’equità, sostiene Scaraffia, Bersani finisce per sostenere il contrario di quanto aveva detto di ritenere in via di principio. Ora (anche sorvolando sul non trascurabilissimo fatto che anche l’equità è un principio), sul punto ha già detto Bersani qualche giorno dopo sullo stesso quotidiano: della necessità di mediare tra i principi e la realtà come compito specifico della politica; e dell’obiettivo di una politica orgogliosa della propria autonomia e del proprio ruolo, consapevole del proprio limite, ma non priva di una bussola valoriale. Nel mezzo, sempre sul Messaggero, una bellissima riflessione di Domenico Rosati, già presidente delle Acli e senatore indipendente dc, figura autorevolissima del cattolicesimo democratico, sulla responsabilità dei laici nella mediazione tra i principi e le norme, e sul criterio di umanità come bussola per orientare le scelte di politici credenti e non credenti, quando dal campo delle enunciazioni astratte si scende a fare i conti con le persone concrete e i loro problemi.  Continua a leggere

Il partito dei cattolici democratici

Nostalgia di futuro. “Sarebbe bello se questo convegno lo avessimo fatto come Partito democratico”, si sono ripetuti per due giorni dal palco, citandosi l’un l’altro, vecchi e meno vecchi ma comunque reduci della sinistra Dc, del Partito popolare, della Margherita. Senza rendersi conto in pieno, forse, che era già il Pd, il partito che sembra sempre “da fare” – e non più solo gli ex popolari di Franco Marini, Dario Franceschini e Pierluigi Castagnetti – quello che si è riunito sotto l’insegna mazzolariana dell’associazione “Adesso”, al glorioso centro Cisl di Fiesole dove Marini imparò il mestiere all’inizio degli anni Cinquanta.
Marini, Franceschini, Castagnetti: loro. Reduci di molte battaglie, qualche volta anche tra loro, eppure tutto meno che nostalgici. Orgogliosamente ex, in tempi di nuovismo, eppure tutto meno che ripiegati sul proprio passato. Certo decisi a rivendicare la propria storia – quasi una bestemmia, nell’era della “contaminazione” – eppure da tutto tentati meno che dalla scorciatoia dell’autosufficienza. E soprattutto non soli. A discutere dell’impegno dei cristiani nella crisi della politica – vasto programma, mica roba da correntine o partitini – hanno chiamato lo storico della Chiesa Alberto Melloni, erede della scuola bolognese e degli studi sul Concilio del compianto Giuseppe Alberigo, un osservatore della Seconda Repubblica spietato quanto può esserlo un vero giornalista parlamentare (Claudio Sardo), il professor Giuseppe Tognon, autore con Pietro Scoppola del classico “La democrazia dei cristiani”, Edo Patriarca, l’organizzatore della Settimana sociale. E però c’era anche Beppe Vacca, che è venuto per fare una relazione e non se n‘è più andato finché il giorno dopo il convegno non è finito, “perché m’interessa”.
Pier Luigi Bersani ha mandato un messaggio da Atene: “Dalla vostra cultura politica ci viene un’eredità che oggi è preziosa per tutto il nostro partito, l’idea della responsabilità autonoma di chi fa politica, che è la condizione per non annacquare il vino delle convinzioni e dei valori, assumendosi il dovere della mediazione e delle scelte concrete che li traducono verso il bene comune”. Una “lezione di laicità”, ha scritto il segretario. Sulla stessa linea anche il messaggio di Piero Fassino, bloccato a Torino, e gli interventi fuori programma del presidente della Toscana Enrico Rossi, del segretario regionale Andrea Manciulli e di Stefano Fassina, responsabile economia e lavoro del partito (tutta gente che non era certo di casa a piazza del Gesù). E chi arrivava veniva invitato a dir la sua, ex di qualsiasi cosa fosse, e spesso anche gli ospiti dicevano così: “Sarebbe bello farla come Pd, questa discussione”.
Perché il Pd è un partito così fatto, capace di sopravvivere a se stesso, ai suoi errori e alle sue sconfitte e perfino alla convinzione di non esistere ancora. Il Pd è molto più avanti di dove crede di essere, anche se ogni tanto perde un po’ la strada. Così, quella che a uno sguardo superficiale potrebbe sembrare una scelta “regressiva” (proprio quelli di Area democratica, gli alfieri del Pd “mescolato”, che si riuniscono tra ex popolari), è stata esattamente il contrario, semplicemente perché non avrebbe potuto essere che quello che è stata.
E cioè il punto su una cultura politica che “è uno dei filoni del riformismo italiano”, e dopo cento anni forse si può cominciare a dirlo, come ha fatto Franceschini nelle conclusioni. Perché i cattolici democratici non sono né i cattolici in politica né gli ex democristiani, ma qualcosa di assai meno generico e banale, e non solo sanno che il Pd non si fa senza di loro, ma non ci pensano neanche a lasciare che il Pd si faccia senza di loro. E cioè la rottura dello stereotipo dei “cattolici a disagio”, perché a disagio semmai i riformisti e i democratici sono tutti, e ne hanno ben d’onde, ma nel Pd i cattolici democratici ci stanno a loro agio come forse in un partito non sono stati mai nell’ultimo secolo (e se pensate che stare nella Dc per questa gente fosse rose e fiori significa che dovete fare un ripassino di storia). E cioè un ceto politico che anche nel Pd è passato per vittorie e sconfitte, ha dimostrato di sapersi mettere alla guida, ha risolto (merito storico e rivendicato della segreteria Franceschini) l’annosa questione della collocazione europea in perfetto stile Pd: “Non accanto ai socialisti, ma insieme con i socialisti in qualcosa di più grande”. E che è stufo di difendersi e arrivarci un po’ per contrarietà, come nell’ultimo ventennio fece nel dire addio alla Dc, nel fare l’Ulivo, nel chiudere il Ppi per dar vita alla Margherita.
Adesso è il tempo del Pd, dell’Italia che va oltre Berlusconi, del secolo nuovo che comincia forse solo ora per davvero, sull’orlo della fine di un modello economico e sulle coste agitate del Mediterraneo. I cattolici democratici non guardano a un altrove, non sono a disagio, non hanno nostalgia. C‘è stato un tempo in cui per dimostrarlo hanno sentito il bisogno di annacquare, di nascondere anche un po’ quel che erano, e al Partito democratico questo non ha portato bene. Quel tempo però non è adesso. Per il Pd è certamente una buona notizia, e magari se ne accorgerà perfino.

(per il sito Left Wing, 6 marzo 2011)