Monthly Archives: March 2014

In bocca al lupo Debora, ma non è una buona soluzione

(questo post è uscito su Huffington post Italia)

Debora Serracchiani vicesegretario non è una buona soluzione per il Partito democratico. Non è un giudizio su di lei come dirigente politico, è un giudizio politico sulla scelta di Matteo Renzi. Il segretario ieri in direzione ha detto molte cose giuste, non scontate e condivisibili riguardo alla situazione che si è creata nel partito dopo la nascita del governo da lui guidato. Ha detto che serve una riflessione approfondita su questa situazione, che per la prima volta vede inverarsi il caposaldo dello statuto: la coincidenza tra la figura del segretario e quella del primo ministro.

Per la verità lo statuto, pudico, si limita a dire che il segretario del Pd è il “candidato” premier, quasi non osando prospettare che quell’ambizione diventi realtà. Eppure, sebbene per vie che difficilmente sarebbe stato possibile immaginare all’epoca in cui quelle righe furono pensate e scritte, alla fine è successo. (continua qui)

Lo strano caso dei nemici del bonus Letta

“Un partito normale ci farebbe i manifesti”, ho pensato stamattina vedendo questa pagina di Repubblica

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Insomma, la notizia c’è tutta no? Grazie a un amico con più memoria di me, più tardi, mi sono ricordata anche un fatto curioso. Questo decreto, infatti, era partito malissimo.
Addirittura con una lettera ai giornali che ne svelava un lato oscuro, odioso direi. Ecco la denuncia di una professoressa, pubblicata dai principali quotidiani il 27 giugno 2013, appena dopo che il decreto era stato varato.

Gentile redazione,
Insegno italiano in un istituto tecnico romano e sono commissario interno agli esami di maturità dei miei studenti.

In venti anni di servizio sono tante le cose che mi hanno dato soddisfazione, tanti gli studenti che imparando mi hanno insegnato delle cose. Tanti i sorrisi dopo le promozioni. Qualche più raro, ma impagabile, ringraziamento postumo.

Sono queste le cose che mi hanno dato la forza di continuare questo bellissimo mestiere anche di fronte alla scarsa considerazione professionale ed economica che segna la mia vita come quella di tutti i miei colleghi.

In questo periodo dell’anno è normale ricevere le telefonate da parte dei genitori dei ragazzi. È in gioco il loro futuro dei loro figli e capisco la preoccupazione di ogni genitore di far avere un voto migliore oppure evitare al ragazzo un ulteriore anno scolastico anche quando ce ne sarebbe il bisogno. A seconda del tono dei genitori alcune volte ho sorriso, altre volte mi sono arrabbiata perché sentivo invasa e violata la mia etica educativa. Ho sempre pensato di dover fornire ai miei studenti gli strumenti per affrontare la vita da adulto, per risolvere i problemi o le piccole e grandi complicazioni a cui sarebbero andati incontro una volta usciti da qui.

Ma stamattina ho ricevuto una telefonata che mi ha sconvolto.

Il padre di uno dei miei maturandi, che chiamerò Andrea, mi ha chiesto di bocciare il ragazzo. Andrea è stato uno studente molto volenteroso durante tutto l’anno e non è tra quelli che rischiano in alcun modo la bocciatura. Figlio di una famiglia dignitosa della periferia romana si è barcamenato con caparbia tra lo studio e il lavoro a nero in una pizzeria per aiutare la famiglia.

Non conoscevo il padre del ragazzo e inizialmente pensavo stesse scherzando. Solo dopo le sue insistenze accorate ho capito che diceva sul serio. Mi ha spiegato che i proprietari del ristorante dove Andrea lavora gli hanno assicurato che potevano finalmente assumerlo in maniera stabile grazie alla nuova legge sul lavoro in cui le agevolazioni sono però riservate unicamente a ragazzi senza diploma.

Non sono stata in grado di rispondere, per la prima volta in vita mia mi sono fermata a riflettere sulla mia funzione di educatrice. Un dilemma che non riesco a sciogliere: devo continuare a svolgere il mio ruolo con serietà o non è più giusto assicurare al ragazzo un lavoro stabile e bocciarlo? In fondo come mi ha spiegato il padre, Andrea si può tranquillamente diplomare il prossimo anno avendo però la fortuna di avere già un lavoro.

Io non so davvero cosa fare e spero di essere incappata in un caso limite. Mi chiedo però come sia stato possibile concepire una legge che premiando i giovani privi di diploma rischia di incentivare l’abbandono scolastico. È l’ennesima umiliazione del mio lavoro come di quello di tanti colleghi che nonostante tutto buttano il cuore e l’anima oltre le carenze strutturali della pubblica istruzione. Mi domando a questo punto quale senso abbia il mio lavoro.

27 giugno 2013

Brutta storia no? Un vero marchio d’infamia, per di più certificato da una contrita professoressa. Il giorno dopo, però, colpo di scena: non c’è nessun Andrea.

Ieri Repubblica -come altri quotidiani – ha ricevuto questa lettera, che ha oggi pubblicato e sottoposto sul sito al commento dei lettori. Prima, il nostro giornale ha fatto controlli sul mittente – come si fa in questi casi – e si è fidato delle risposte avute. Nel pomeriggio il comunicato di un’agenzia di comunicazione che rivela di aver inventato tutto. E se ne vanta anche.

Sportivamente, anche Massimo Gramellini, che al triste caso di Andrea e della sua professoressa aveva dedicato addirittura un Buongiorno sulla prima pagina della Stampa, confessa l’abbaglio, dando conto anche della lettera di smentita:

«Ciao, la lettera sul pizzaiolo costretto a scegliere fra posto fisso e diploma di maturità (pubblicata da alcuni giornali e da cui è stato tratto il Buongiorno di ieri, ndr) non è stata una professoressa a scriverla. E’ opera della nostra agenzia. Abbiamo confezionato una storia da dare in pasto ai media, creato un indirizzo di posta ad hoc e inviato la mail ai tre principali quotidiani italiani con preghiera di non pubblicare il nome dell’autrice. Era l’unico modo per sollevare una riflessione sull’assenza di politiche economiche del governo. Sono certa che Gramellini saprà cogliere il senso di questa operazione che non è pubblicitaria, ma è una denuncia della situazione in cui versano le microimprese come la nostra». Chiara Ioele (Kook Artgency).

Ciao Chiara, sono Gramellini della Pirla Agency. Mi sono fidato di un’identità posticcia, che anche ieri mattina hai confermato con dovizia di particolari alla collega incaricata di intervistarti. Se nella lettera della falsa professoressa ci fossero stati riferimenti offensivi ad altre persone, avrei fatto controlli ulteriori. Invece ti ho creduto. Perché sollevavi un tema che mi sta a cuore: il divorzio, tutto italiano, fra lavoro e cultura. E perché la storia che raccontavi aveva il sapore della vita vera. Sono stato un ingenuo, ma se non mi fidassi – entro certi limiti – della buona fede di chi mi scrive, magari ci saremmo persi la storia di Gabriele Francesco – il neonato abbandonato sotto un traliccio – e quella di Pasquale, il pensionato a cui non aveva mai scritto nessuno. Continuerò a coltivare la mia ingenuità: fa comunque meno danni del cinismo.

Eppazienza, direte voi. Cose che capitano, appunto, anche ai migliori. E tuttavia a ripensarci, che storia eh. Doveva averne di nemici il governo Letta. Perché mo’ a ripensarci, absit il cinismo per carità, ma sarà stata davvero tutta un’iniziativa autonoma di questa Kook Artgency? Che va bene essere specialisti di “comunicazione non convenzionale”, ma per quanto anticonvenzionale vuoi essere: mica lavori gratis.

No Matteo, D’Alema e Fassino non sono tuoi predecessori

Non è per fare la guastafeste in questa che giustamente Matteo Renzi ha definito una “giornata speciale”, quella in cui finalmente il Partito democratico va ad abitare in quella che è giusto che sia la sua casa in Europa, e nemmeno per polemizzare come al solito. Il perché è un altro, ma ve lo spiego alla fine.

Penso – e mi dispiace – che Matteo Renzi, all’inizio di questo discorso, nel pur generoso ringraziamento “ai suoi predecessori”, abbia commesso una gaffe

No Matteo D’Alema e Fassino, a differenza di Pierluigi Bersani, non sono tuoi predecessori alla guida del Pd. Non è una cosa dicibile questa nel nostro partito. E sai perché? Perché altrimenti ha ragione Castagnetti, e ha ragione Fioroni che ha votato in direzione contro l’ingresso del Pd nel Pse. E siccome io penso di no, che non abbiano ragione, e siccome lo penso probabilmente da prima di te (perché qualche tua dichiarazione contro l’ingresso del Pd nel Pse, non ti credere, in giro si trova (mie no), allora mi preoccupo, e mi arrabbio anche. Io conosco benissimo i meriti di D’Alema e Fassino nel percorso che abbiamo fatto: straordinari, come quelli di Bersani negli ultimi anni. Ma definire D’Alema e Fassino tuoi predecessori alla guida del partito è una mancanza di rispetto verso molti di noi. E purtroppo è una gaffe autolesionista, che dà argomenti all’unica critica possibile a questa (sacrosanta) operazione del Pd nel Pse, una critica che molti dei tuoi amici, gente vicinissima a te molto più che a me nel partito, sta infatti facendo alla nostra scelta di oggi: cioè di aver ammaccato la nostra originalità culturale, di aver ridotto le nostre ambizioni e di essere in totale continuità con la storia Pci-Pds-Ds. In pratica, l’argomento principale usato in questi anni contro di noi da Berlusconi: ecco un altro a cui, mannaggia, dai ragione.

Se volevi citare i tuoi predecessori, Matteo, cosa che è sempre bella, allora semmai dovevi nominare anche Dario Franceschini, uno che viene dalla nostra stessa storia (in questo caso per nostra intendo mia e tua) e che da segretario decise, cinque anni fa, che gli eletti del Pd in questa legislatura europea si sarebbero iscritti al gruppo del Pse. Una decisione non scontata e non facile, specialmente per un segretario di provenienza non diessina, e una tappa fondamentale di questo percorso.

Ecco perché mi sono arrabbiata. E se ho deciso di scriverlo è perché oggi al congresso c’è stato quest’altro momento molto bello, e io sono d’accordo con Zita Gurmai, la presidente delle donne socialiste: se non rispettiamo il passato (anche il nostro), non abbiamo futuro.