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Non ci canzonate: quattro cose su Verdini

Dopo la fantastica performance televisiva di Denis Verdini sento il bisogno di confutare, serenamente e pacatamente, alcune affermazioni che oggi vanno per la maggiore sui giornali, oltre che – naturalmente – nei peggiori bar di Caracas.

“Verdini canzona la minoranza Pd”. Avrà pure irriso Gotor e Migliavacca, l’amico Denis. Ma io se fossi Luca Lotti, e se Verdini mi cantasse al telefono “La maggioranza sai, è come il vento”, tanto sereno non starei. Maria Latella non aveva chiesto al suo ospite di cantare proprio questa canzone: la scelta, rapida e solo affettatamente riluttante, in un repertorio che immagino ampio, non può essere casuale. Comunque l’immagine di Luca e Denis che ridacchiano al telefono cantando canzoncine su Migliavacca è una fotografia perfetta del momento, grazie Verdini e grazie Latella per avergli chiesto di cantare. Fate girare.  Continua a leggere

Mattarelliani da prima

Queste sono le cose che ho detto introducendo la presentazione del libro di Pio Cerocchi “Il presidente – Un ritratto” (Editori internazionali riuniti, 10 euro) che si è svolta ieri alla libreria Arion Montecitorio alla presenza di Pierluigi Bersani, David Sassoli e molti amici, in un’aria di “casa” che è difficile da raccontare, per cui non ve la racconterò. 

Questo libro nasce da una delle epiche, viscerali, spettacolari incazzature di Pio Cerocchi. Pio è un puro, e chiunque abbia avuto a che fare con lui, per lavoro, amicizia o entrambe le cose, conosce benissimo il meccanismo esplosivo, sanguigno, popolare di queste incazzature (la parola “popolare”, qui, gli farà piacere, credo). In questo caso, l’incazzatura scatta il giorno dell’elezione del presidente, quando cominciano le telefonate dei colleghi, che sanno che Pio è stato molto vicino a Mattarella: il direttore responsabile quando il presidente era direttore politico del Popolo. È un momento di grande eccitazione e commozione, nonostante questo tu rispondi (è successo anche a me in quelle ore) e tutti i giornalisti politici d’Italia ti rivolgono la stessa domanda, ovvero: di che squadra è tifoso?  Continua a leggere

Strategie social (per gente con dei princìpi)

Oggi tra i supporter renziani della nota “community”, dopo che Pierluigi Bersani aveva fatto queste dichiarazioni, è girata la dritta: “Urgente. Vittimismo. Accusare Bersani di avere offeso migliaia di giovani militanti del partito quando ha detto, parlando di Roberto Speranza, che nel Pd ci sono anche giovani che hanno dei princìpi”.

Per un po’ sono andati avanti: ah che frase infelice, ah non è da lui, ah che caduta di stile. Poi devono aver capito che offendersi a nome dei giovani senza princìpi non era una grandissima idea.

Né del resto lo è rosicare così evidentemente quando dicono (a un altro): sei coerente.

Solidarietà agli strateghi communytari, comunque. Può sempre capitare una giornataccia.

Ma io non ci sto più, caro Fassina

L’intervista di Stefano Fassina a Repubblica mi addolora molto sul piano personale, ma il problema non è questo. Il problema è che è sbagliata, per due motivi. Politici.

1) Finché il nostro problema sono D’Alema e Bersani ha ragione Renzi. Punto. Questo è il suo terreno di gioco, questo è il suo “noi e loro”, non è il nostro. Quelle due pagine di Repubblica fanno impressione. Ci sono tre titoli, uno su Orfini, uno su Richetti e uno su Fassina: dicono tutti e tre la stessa cosa. Che D’Alema e Bersani sono un problema e devono fare un passo indietro (da che?). Nei partiti normali non è così, e nemmeno tra persone mature. Non è che quando arriva Gonzales a una riunione del Psoe la gente pensa “oddio vorrà mica parlare, e se poi va nei titoli?”. Nei partiti normali c’è rispetto per la propria storia, personale e collettiva, e per chi la rappresenta. Anche se ovviamente ci sono nuovi tempi, nuove scelte, nuovi protagonisti. Nei partiti normali “la nostra storia fa schifo e vi spieghiamo perché” non è considerato un messaggio vincente. Il resto è Italia, è rottamazione, è Renzi. È il suo storytelling, e noi lo aiutiamo a raccontarlo. Complimentoni.

2) Pure questa storia di “D’Alema e Bersani” è una bugia, subalterna e funzionale alla narrazione dei rottamatori. Non è che gli anni 90 sono finiti ieri. Non è che all’improvviso è arrivata una generazione nuova che ha capito che i vecchi sbagliavano. E i vecchi non hanno fatto tutti le stesse scelte. C’è chi ha avuto la fase liberista e chi no. C’è chi ha avuto la fase renzista e chi no. C’è chi ha avuto come consigliere economico Nicola Rossi e chi ha avuto come consigliere economico Stefano Fassina, per esempio. 

Infine, faccio una proposta: questa nuova classe dirigente faccia il favore, invece di chiedere passi indietro diriga (che mi pare sia precisamente quello che aveva detto D’Alema sabato peraltro). Perché finora non è che si veda proprio benissimo la loro strategia per superare Bersani e D’Alema, lo dice una che comprende tutta la difficoltà del compito e che fin qui ha sempre cercato di dare una mano. D’ora in avanti, non so. 

Se vi interessa, ne parliamo ancora stasera a Otto e mezzo su La7.

Rassegna Quirinale/16: epilogo

Sergio Mattarella è un uomo mite, determinato, colto, saggio e una persona di grande rigore e umanità. Sapere che è il nostro presidente della repubblica è pura felicità. Ultime cose da dire, su quanto abbiamo raccontato e letto, dopo qualche giorno di silenzio autoimposto e scaramantico. Sono parecchie, quindi le dirò rapidamente e con scarsa diplomazia.

1) Tra prima e seconda repubblica. Li hanno intervistati tutti, i campioni della prima repubblica, ma io non sono mica tanto d’accordo con questa narrazione di Mattarella come campione della prima repubblica. Nella prima repubblica Mattarella c’era e faceva il ministro, per carità, ma è della nascita della seconda repubblica che Mattarella diventa un protagonista. Continua a leggere

Rassegna Quirinale/15: Bersani

C’è un colloquio di Bersani con Aldo Cazzullo sul Corriere della sera. Ci sentiamo poi per l’epilogo (spero). Con le dita incrociate è scomodo scrivere

Rassegna Quirinale/10: Aristotele si rivolta nella tomba

Comincia la settimana decisiva, ma i giornali sono fiacchi. Il borsino di chi sale e di chi scende inizia a dare il mal di mare anche agli stomaci più forti. Le ricostruzioni su cosa successe e come andò le altre volte cominciano a richiedere sforzi di fantasia piuttosto arditi, il povero Fabio Martini sulla Stampa è costretto a inventarsi che anche Bersani fu tra i colpevoli dell’affossamento di Prodi nel 2013, e sono sfide alla logica non alla portata di chiunque; ma almeno oggi possiamo fare qualche tweet contro Fassina (che aveva parlato di responsabilità di Renzi nella vicenda dei 101) accusandolo di essere un bugiardo spudorato. Fu Bersani a guidare il complotto. Lo fece apposta, per farsi fuori.
A palazzo Chigi sembrano preoccupati di sfoltire lentamente la rosa ma senza prendersi la colpa di aver fatto fuori nessun candidato autorevole. Così, dopo aver fatto sapere che Amato è il candidato di un complotto tra Berlusconi e D’Alema contro Renzi (altra sfida alla razionalità e all’evidenza), oggi è la volta di un presunto “veto” di Berlusconi su Sergio Mattarella. Il Pd, naturalmente – si sa – non accetta veti da nessuno. Tuttavia, casualmente o per una coincidenza, si prende atto e si comincia a ragionare su altri nomi, tenendosi pronti a “cambiare gioco all’improvviso”. Tutto assolutamente lineare e consequenziale, come vedete.
Speriamo bene.

PS/1: Leggo che il Pd voterà scheda bianca alle prime tre votazioni. Una scelta non elegantissima alla luce dell’articolo 83 della costituzione, che non dice che il presidente della repubblica si può eleggere in due modi, o alla prima o alla quarta con due maggioranze diverse, bensì, testualmente:
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.
Sembrano sfumature, ma le sfumature contano.

PS/2: Leggo che Civati manda una lettera al Pd in cui dice che candida Prodi invece di partecipare all’assemblea del Pd e chiedere la parola per candidare Prodi. Il che gli guadagnerà molti consensi, immagino, nell’assemblea del Pd. Benedetto ragazzo.

Rassegna Quirinale/3: tutto chiaro

È lunedì, oggi poca roba. Ma per avere un’idea chiara su cosa sta succedendo, basta scorrere i titoli dei due principali quotidiani. Dopo lo strappo di Cofferati, questa è dunque la situazione nel Pd a dieci giorni dal primo voto per il Colle:

Corriere della Sera: “Renzi preoccupato, ma non dà spazio alla minoranza”.
Repubblica: “Renzi – Bersani, patto a due per scegliere il candidato”.

E con questo, direi che per oggi siamo a posto. (Vabbè).

Un anno (bellissimo) di Giorni bugiardi

Un anno fa, il sei novembre, è uscito il nostro libro, Giorni bugiardi. Senza un complice come Stefano Di Traglia io da sola non avrei mai avuto il coraggio, per cui va a lui, oggi, il primo grazie.
Il secondo va a Pier Luigi Bersani, per la sua “non contrarietà” iniziale e poi per la sua guardinga e divertita disponibilità. E per le birre del pomeriggio, che aiutano a chiacchierare.
Il terzo ad Alessio Aringoli e agli Editori internazionali riuniti che ci hanno creduto insieme a noi.
Il quarto a Ivano Fossati che ci ha scritto la colonna sonora a sua totale insaputa.
Ma oggi volevo dirvi che in questo anno siamo stati, Giorni bugiardi e noi:
su tutti i giornali, grazie fra gli altri a Fabio Martini, Stefano Folli, Aldo Cazzullo, Pietro Spataro, Mariantonietta Colimberti, Wanda Marra, Tommaso Ciriaco
a Che tempo che fa grazie a Massimo Gramellini
a Roma, col presidente del consiglio Enrico Letta (grazie!) e la diretta Sky Continua a leggere

Leggende metropolitane: Renzi che portò il Pd nel Pse

Guardate è un dettaglio, lo dico io per prima. Infatti la maggior parte delle volte ormai faccio finta di niente anch’io. Tuttavia esiste anche l’amore di verità, alla fine. Il punto è questo: anche Ezio Mauro, nel suo bell’editoriale che tutti dovremmo leggere e discutere, oggi dice che “Renzi ha portato il Pd nel Pse”. La stessa cosa avevo sentito dire due sere fa in tv, da Fazio, da Massimo Giannini. Sono giornalisti importanti, persone serie, uomini colti. Per questo dico: ma ci credono davvero?
Io quella vicenda la conosco bene, l’ho raccontata da giornalista, ma non penso di avere più elementi per capirla di Giannini e Mauro. Per questo vorrei ricordare brevemente e molto superficialmente alcuni fatti. Fatti, non opinioni mie. I fatti sono questi: che il congresso del Pse a Roma, che si è svolto il primo marzo scorso, era stato convocato già durante la segreteria Bersani, ed era stato annunciato e organizzato durante la segreteria Epifani. Anche se qualcuno, non certo Mauro e Giannini, pensasse che una cosa del genere si decida e si organizzi in una settimana, ci sono le agenzie e gli archivi a dimostrare il contrario.
Il percorso lungo e difficile del Pd verso il Pse era iniziato già da tempo. Piero Fassino da segretario ancora dei Ds, si era adoperato al congresso di Oporto (dicembre 2006) per spiegare ai compagni del suo partito l’imminente costituzione di un nuovo partito di centrosinistra in Italia. In quel congresso, accolto come una star e invitato con un entusiasmo che creò in Italia anche qualche imbarazzo (“Join us, Romano!”) a unirsi alla famiglia socialista dal segretario Rasmussen, era intervenuto il presidente del consiglio italiano Romano Prodi.
Un altro passo importante lo fece un segretario non socialista, Dario Franceschini, dopo le elezioni europee del 2009, tagliando la testa al toro del “dove vi siederete in Europa” e decidendo, non senza dover fare qualche coraggiosa forzatura nel partito, che tutti i deputati europei del Pd si sarebbero iscritti, senza aderire al partito, al gruppo del Pse. La componente italiana venne affidata alla guida di un altro non socialista, David Sassoli, che si è adoperato per costruire un percorso comune.
Durante la segreteria Bersani, Sigmar Gabriel e Francois Hollande, (i leader socialisti dei due principali paesi europei) hanno fatto comizi nelle piazze del Pd e i vertici socialisti europei hanno partecipato ogni anno alle feste democratiche. Ci sono state centinaia di viaggi e di riunioni in tutto il mondo, organizzati da Lapo Pistelli e Giacomo Filibeck. Roma ha ospitato due volte i progressisti di tutto il mondo – democratici americani compresi – che insieme ai socialisti europei hanno dato vita alla Progressive Alliance, la conferenza mondiale dei progressisti, socialisti e non. In questo contesto si sono create le condizioni per superare anche le ultime obiezioni all’adesione del Pd al Pse, o comunque per portare tutto il partito verso quell’esito.
Quando dico “ultime obiezioni” intendo riferirmi agli ex Margherita e soprattutto all’area rutelliana, e cioè ai renziani. Mentre infatti personalità come Franceschini, Pistelli e Sassoli hanno lavorato per avvicinare il Pd al Pse, nel mondo renziano (e in un altro pezzo di ex Ppi, quello vicino a Beppe Fioroni) si sono accumulate sempre le resistenze più forti. Che poi, a congresso Pse convocato e deciso, il post ideologico Matteo Renzi abbia dichiarato, da candidato alle primarie, di non avere obiezioni all’adesione al Pse e che poi, divenuto segretario, non abbia rimesso in discussione le decisioni prese, va benissimo e per quanto mi riguarda è un suo merito. Che gli ultimi resistenti, tutti renziani, a parte un paio di eccezioni, abbiano poi votato in direzione a favore di un passo che, gliel’avesse chiesto un altro segretario, avrebbe provocato minacce di scissione e suicidi di massa, affari loro.
Tuttavia i fatti sono stati questi. È così che è andata. Ripeto non per amore di polemica. Ma solo per amore di verità: lo sanno tutti i giornalisti seri, ed è così che la dovrebbero raccontare.