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Per chi vota D’Alema, e perché

La scena.
Prima o poi bisognerà scrivere un pezzo (non questo, un altro), sul genere giornalistico del retroscena. Penso che quella che è stata, qualche decennio fa, una modalità innovativa di raccontare la politica sia ormai gravemente degenerata. In questo contesto, io non sono stata tra quanti ieri hanno pensato – dico subito una cosa che forse non piacerà ai lettori di questo blog – che il pezzo, il primo, di Goffredo De Marchis su D’Alema fosse scorretto, o almeno più scorretto della media. Vedere su un giornale frasi virgolettate di qualcuno che con quel giornale non ha mai parlato capita (purtroppo?) tutti i giorni; e probabilmente il pensiero di D’Alema su Renzi e sul referendum costituzionale non è stato sostanzialmente travisato; inoltre De Marchis riportava frasi di “amici di D’Alema” che gli avrebbero sentito dire “voto la Raggi”, ma anche altre frasi di altri amici di D’Alema (Bray, Livia Turco) convinti che voterà Giachetti. Quello che era scorretto, secondo me, era l’operazione: quel pezzo non sembrava un retroscena ma un’intervista. Ricordo che un tempo i retroscena venivano pubblicati addirittura in corsivo, visibilmente separati dalla “scena”; ieri mattina invece, guardando la prima pagina di Repubblica e poi il titolo della pagina interna io stessa, finché non ho letto l’articolo, ho pensato che D’Alema avesse dato a Repubblica un’intervista in cui diceva “voto la Raggi” (ci torno). Temo che la collocazione del pezzo, la sua titolazione, il modo come veniva presentato configurino di fatto un’operazione giornalistica purtroppo non corretta, indipendentemente dalla veridicità dei virgolettati (la polemica successiva, l’editoriale serale di Calabresi e il nuovo articolo di De Marchis sono linkati in questo pezzo di Luca Sofri, il cui giudizio condivido). Se essa avesse dei mandanti non lo so, ma capisco che a D’Alema sia venuto, per così dire, il dubbio. I miei, di dubbi, sono aumentati quando ieri sera il senatore Quagliariello ha raccontato che si trattava di frasi dette alla fine di una riunione, non durante, e in modo “iperbolico” e scherzoso. Perché non descrivere da subito e più precisamente il contesto diciamo informale? Tuttavia, dopo tutta sta premessa, vorrei però paradossalmente parlare del caso sollevato dalle frasi di D’Alema indipendentemente dalla questione se sia vero che D’Alema ha detto quelle frasi o no. Continua a leggere

Lettera a Orfini sul complesso del caminetto

Caro presidente Orfini, leggo sul Fatto quotidiano che per la centesima volta, ieri sera da Floris, hai sostenuto che nel Pd di Bersani, quando tu stavi in segreteria, decidevano tutto in pochi “nei caminetti” dei capicorrente scavalcando la segreteria. A me dispiace, caro Matteo, che tu abbia introiettato questa idea di non contare niente nonostante fossi in segreteria nazionale. Peraltro all’epoca non mi sembrava che tu fossi particolarmente sfiduciato, remissivo e umile quando c’era da dire la tua.

Io tutti questi caffè alle otto di mattina di Bersani coi big delle correnti non me li ricordo, ma forse è perché noi giornalisti abbiamo il vizio di andare in ufficio tardi. Però sicuramente ce ne saranno stati eh. Perché vedi, tre o quattro anni fa, per i militanti del nostro partito, il parere di D’Alema, Franceschini, Bindi, Veltroni contava qualcosa (adesso non so, ma non darei per scontato niente: potrebbe essere imprudente). Il segretario lo sapeva, e ogni tanto, guarda un po’, li ascoltava. So che il concetto è difficile da afferrare: un segretario che ascolta gente che non fa parte del suo cerchio magico. Però si può dirigere un partito anche così, prendendosi qualche caffè ogni tanto con le personalità più autorevoli, anziché mandare i messaggini con scritto “li asfalto” ai giornalisti ed espellerle dalle commissioni parlamentari, le personalità più autorevoli, quando non sono d’accordo con te. Continua a leggere