Monthly Archives: January 2015

Rassegna Quirinale/6: la lista

Vi giuro che va avanti così per un’intera pagina:

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Deputati e senatori del Pd, da A di Agostini a Z di Zoggia, da A di Albano a Z di Zavoli, schedati come polli da batteria con la loro brava etichetta, “bersaniano”, “civatiano”, “giovani turchi”, “renziano”, e accanto “ok”, “no”, oppure “a rischio”, a seconda del grado di fedeltà al “Patto” e quindi della disponibilità a votare il candidato del suddetto. Non importa chi sia, capite? Come non importa che il Pd sia (sarebbe) un partito. Il candidato sarà “del Patto”, vero dominus della politica contemporanea, e sarà un prendere o lasciare: siete “fedeli” o no?
La lista, si legge nel pezzo di accompagnamento a firma Claudio Cerasa, lascia poco spazio alle chiacchiere: “Sui nomi si potrà ancora fantasticare, sui numeri meno”. Capito, voi che state lì ad arrovellarvi su quale potrebbe essere il nome giusto? Non perdete tempo. Guardate la “lista” dei “fedeli” al “Patto“.

Ps: Claudio Cerasa sarà presto direttore del Foglio. Nessuno più di lui è la persona giusta per raccontare questi tempi politici. Auguri di cuore.

Rassegna Quirinale/5: la lingua in bocca

Con una cinquantina di voti, determinanti, come ricorda Paolo Romani, di Forza Italia, respinti gli emendamenti dei “parassiti” del Pd (quelli che “restano ribelli”, per citare una frase cara al capo, e si giocano così presumibilmente il posto buono al prossimo giro, mentre chi, da elettore di Gianni Cuperlo al congresso, si presta a presentare emendamenti trappola ammazza minoranza e pro liste bloccate è evidentemente un eroe e un esempio di come ci si comporta nella Ditta) e si mette in banca l’Italicum.
In tutto questo passaggio parlamentare, il leader del Pd non ha mai concesso ascolto a nessuna delle istanze presentate dalla minoranza, che pur a partire da un giudizio molto negativo sulla legge, aveva limitato a pochi circoscritti emendamenti la materia su cui dare una battaglia da settimane e mesi annunciata come dirimente. La minoranza Pd in questi mesi ha votato sempre sostanzialmente tutto, anche provvedimenti che dichiaratamente non condivideva. Ha accettato qualunque mediazione, anzi spesso (vedi Damiano sul jobs act) se m’è fatta carico in proprio. Continua a leggere

Il premio al partito ammazzando il partito

Quindi – grande vittoria – abbiamo strappato a Berlusconi il sì al premio alla lista e non più alla coalizione. Io sono d’accordo. Per chi ha creduto nel Partito democratico, poter finalmente votare direttamente per il proprio partito, e poter puntare a vincere col proprio partito, è una soddisfazione grande, in un paese nel quale per anni per essere cool bisognava parlare male dei partiti, e per avere chances di vittoria alle elezioni bisognava nascondere il partito in qualche calderone indistinto, e per essere leader era meglio se rinnegavi la tua storia di partito. L’avevo anche scritto – altri tempi – qui.
E tuttavia, proprio oggi, mi chiedo: cos’è un partito? Un posto dove io ci sto, ma se io non sono d’accordo si va da Verdini e ci si mette d’accordo con lui per fare quello su cui io non sono d’accordo. E se poi anche un pezzo del partito di Verdini non è d’accordo, chi se ne frega tanto i numeri ci sono. È questo, un partito? Che partito è? Cosa lo voto a fare?

Rassegna Quirinale/4: la domanda che nessuno fa

Niente, davvero niente di interessante. Spin, spin e ancora spin. Incontri interlocutori e pilotatissime voci secondo cui Tizio “avrebbe proposto” Caio, come se l’onere di proporre un nome, aprendo la partita, non spettasse soltanto a chi in questa tornata quirinalizia assomma le cariche di segretario del partito di maggioranza relativa e presidente del consiglio. Ma niente, tutti son lì che “propongono” questo e quello, scrivono i giornali. Vogliono farci credere che, ex premier, vecchie volpi, leader storici, capi politici, sono tutti ragazzini deficienti con una scatola di cerini in mano, che giocano a bruciare i loro preferiti dandoli in pasto ai giornalisti.
Si vedrà col tempo dove vuole portarci chi organizza questo giochino, contando sulla vanità di chi ogni sera deve pur tornare in redazione con in tasca una “notizia”. Intanto nessuno – nessuno – pone a Matteo Renzi una piccola, semplice domanda: perché, a pochi giorni dall’inizio delle votazioni, il leader del Pd non fa niente – niente – per pacificare il suo partito, e anzi drammatizza i dissensi (“Vogliono pugnalarmi alle spalle!”), lancia ultimatum (legge elettorale), provoca strappi (Cofferati), dà platealmente e pubblicamente argomenti a chi lo accusa di essersi messo in mano a Berlusconi contro un pezzo di Pd (incontro con Berlusconi)? Che interesse ha a fare questo? Che messaggio sta trasmettendo, non alla minoranza Pd, ma all’Italia? Perché lo fa? Non sa fare altrimenti? Non può fare altrimenti? Non vuole fare altrimenti?
Ma le domande, si sa, non vanno di moda. Meglio giocare al Totoquirinale, vuoi mettere? Chi propone oggi la Bindi? Interessante, no?

Rassegna Quirinale/3: tutto chiaro

È lunedì, oggi poca roba. Ma per avere un’idea chiara su cosa sta succedendo, basta scorrere i titoli dei due principali quotidiani. Dopo lo strappo di Cofferati, questa è dunque la situazione nel Pd a dieci giorni dal primo voto per il Colle:

Corriere della Sera: “Renzi preoccupato, ma non dà spazio alla minoranza”.
Repubblica: “Renzi – Bersani, patto a due per scegliere il candidato”.

E con questo, direi che per oggi siamo a posto. (Vabbè).

Rassegna Quirinale/2: essere Amato

Nella primavera del 2013 Giuliano Amato (persona che, simpatica o meno, qui si ritiene fra le più dotate dei requisiti necessari per fare il presidente della Repubblica tra quelle su piazza) era, non solo a sinistra, il nemico pubblico numero uno. Il simbolo vivente dell’Inciucio. L’emblema insopportabile della Kasta. Sull’ipotesi di vederlo al Colle si vomitavano odio e disgusto. Sul suo nome giornali di tendenza e popolo della rete erano sul punto di scatenare la rivolta.
Oggi, 18 gennaio 2015, Amato, senza che si scatenino particolari reazioni, è addirittura “La carta segreta per chiudere al primo voto” (Andrea Cuomo, Il Giornale). La carta segreta dell’uomo del cambiamento, s’intende. Del premier più smart della storia della repubblica. Del politico che ha rottamato un sistema. Titoli analoghi abbiamo letto nei giorni scorsi, su giornali di varie tendenze, senza che ancora nessun rottamatore abbia minacciato di darsi fuoco in piazza Montecitorio e senza che nessun giornale abbia lanciato indignate campagne, senza che nessun esponente della nuova politica abbia twittato in stampatello: “FERMATEVI!!!”
Il candidato spieghi se in questi due anni:
A) Il paese sia diventato più maturo
B) Il paese sia diventato più rimbecillito
C) Il paese sia rimasto ugualmente rimbecillito
D) Il paese sia rimasto ugualmente maturo (vabbè).

Rassegna Quirinale: la dottrina Formica

(Inauguro oggi una serie di articoli che se mi andrà proseguirò. E se no, no)

In un colloquio con Fabio Martini della Stampa, e più esplicitamente in un’intervista a Francesco Romanetti del Mattino, Rino Formica non si limita a sponsorizzare per la presidenza della repubblica Giuliano Amato, “non certo” (vabbè) perché è un suo amico e un ex socialista come lui, ma perché ha tutte le caratteristiche e i requisiti a suo avviso richiesti.
Formica afferma con sicurezza e quasi tra le righe una cosa che messa così è una notizia non da poco: e cioè che il patto del Nazareno è finito. Una fase chiusa. “Un rottame”. Così sul Mattino:
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Ma perché al quarto voto? (Storia di una bugia, o di un imbroglio)

(Questo post è stato scritto per Huffington post Italia)

Matteo Renzi ha detto più volte che il nuovo presidente della repubblica sarà eletto alla quarta votazione, la prima in cui il quorum richiesto scende da due terzi a metà dell’assemblea dei grandi elettori. Un modo per impegnarsi a fare (relativamente) presto, e anche un modo, si dice, per tenere sotto pressione i grandi elettori: come dire non fate scherzi, non puntate alla palude, perché se non ce la facciamo in pochi giorni mi arrabbio e andiamo a casa tutti.
Tuttavia questa impostazione metodologica non ha alcun senso logico, e stupisce che nessuno, nelle numerose interviste e conferenze stampa del premier, glie ne abbia ancora chiesto conto. Come ha ricordato qualche giorno fa sul Foglio Giuliano Cazzola evocando il precedente dell’elezione di Francesco Cossiga nel 1985 alla prima votazione, se davvero si vuole eleggere il presidente coi voti dell’opposizione politica non si può che puntare a eleggerlo nelle prime tre votazioni: semplicemente perché, dopo, i voti dell’opposizione non servono più. È dunque interesse innanzitutto di Silvio Berlusconi e del “Patto del Nazareno”, cioè anche di Renzi, che il presidente venga eletto con la maggioranza dei due terzi e quindi col necessario apporto di Forza Italia. È certamente questo l’obiettivo di Berlusconi (come di Alessandro Natta nell’85 e di Berlusconi stesso due anni fa), se vuole che i suoi voti siano determinanti. Continua a leggere

Ossessionati da Berlusconi a chi?

(Questo post è stato pubblicato su Huffington post Italia)

No però scusate, ma ossessionati da Berlusconi a chi? Io non ce l’ho mai avuta, l’ossessione. Io mi definivo una cattolica di sinistra da prima che Berlusconi scendesse in campo, sebbene fossi molto giovane, e tale mi definisco ancora adesso, vent’anni dopo, e intendo restare tale per i prossimi vent’anni almeno. Non c’entra niente Berlusconi con quello che sono.
Io in questo ventennio non ho mandato i post it, non mi sono fatta le foto col bavaglio, non sono andata in piazza con la Guzzanti e con Travaglio.
Io ho criticato, se non le condividevo, le decisioni dei magistrati.
Ho scritto articoli in difesa di Ottaviano Del Turco, arrestato da presidente della regione in carica perché uno indagato per corruzione si era fatto una foto con un sacco pieno di non si sa cosa davanti alla porta di casa sua.
Ho sostenuto che regolamentare le intercettazioni telefoniche fosse necessario e non fosse necessariamente una legge bavaglio.
Ho detto e pensato che probabilmente le inchieste e i processi sulla vita privata di Silvio Berlusconi non sarebbero andati lontano, e che comunque non avevo bisogno di quelle inchieste e di quei processi per confermare la mia opinione politica e anche morale sulla persona pubblica di Silvio Berlusconi.
Ho cercato di ragionare su questioni come la fine della vita come su questioni complesse e drammatiche, quali sono, indipendentemente dalle posizioni strumentali che via via assumeva il Cavaliere.
Ho sostenuto che sulle riforme costituzionali si dovesse dialogare con tutti, soprattutto con chi rappresentava l’altra metà del paese.
Ho apprezzato anche il patto della crostata e la Bicamerale, come il tentativo, forse ingenuo nella modalità, di trovare una mediazione, perché la cultura della mediazione è la mia cultura politica e non è l’inciucio, è Aldo Moro. Continua a leggere