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Buoni amici come noi. Il Pd dopo l’accordo sulle riforme

(24 settembre 2015)

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

E qualcosa rimane dunque, tra le pagine chiare e le pagine scure del Pd. Dato spesso per irrimediabilmente diviso dagli antirenziani più accesi, per la seconda volta, dopo l’elezione di Sergio Mattarella, il partito del premier ritrova all’ultimo minuto utile il filo dell’unità interna in un momento decisivo. Data ripetutamente per asfaltata dagli ultrarenziani più convinti, la minoranza Pd segna un punto sostanziale, e ancora una volta il paragone con i giorni dell’elezione del presidente della repubblica non stona.
Non ha molto senso mettersi a discutere su chi ha vinto e chi ha perso, perché è evidente che queste cose avvengono per volontà di entrambe le parti: Renzi ha fatto un’importante concessione sulla questione decisiva, cioè che a scegliere i senatori rappresentanti delle autonomie saranno i cittadini, senza però mollare sul punto che a eleggerli formalmente saranno i consigli regionali. Il risultato è un po’ bizantino, e non contribuirà a rendere più elegante né lineare la nuova versione della nostra Carta, che del resto già non brillava rispetto al testo del 48; ma in politica ci vuole anche realismo e diversamente da così, a meno di rotture, non poteva finire. Curiosamente – senza voler fare paragoni impropri – la soluzione assomiglia proprio al modo con cui il partito democratico elegge il suo segretario: che è scelto dai cittadini con le primarie ma poi non è formalmente tale finché l’assemblea nazionale non ne ratifica l’elezione. Continua a leggere

Torna il partito solido, ma decido tutto io

“L’offerta del premier alla minoranza Pd”, dice il titolo di Stefano Folli in prima pagina su Repubblica. Orsù, precipitiamoci a leggere. Scrive dunque Folli che siccome, è noto, il patto del Nazareno non c’è più, Renzi avrà pur bisogno di disinnescare qualche mina, per cui gli sarà indispensabile aprire alla minoranza del suo partito. È la tesi storica di Repubblica, sovente smentita dai fatti. Ma stavolta sarà diverso: Renzi, racconta Folli, ha spiegato all’Espresso cosa intende fare: se “da un lato annuncia l’intenzione di andare avanti senza tentennamenti, cioè senza concedere alcuna correzione sulla riforma elettorale, dall’altro apre a una diversa organizzazione del Pd”. Insomma, il Pd tornerà a essere, ammesso che lo sia mai stato, un partito solido (anche se – non si pensi – un partito solido non tradizionale) e non più, com’è diventato adesso, un comitato elettorale del leader. La ditta insomma sopravvive, annuncia lieta Repubblica agli oppositori di Renzi “che vogliono collaborare”. Insomma: Renzi decide tutto con Verdini e nessuno deve osare non essere d’accordo, tanto casomai lui si appella al popolo e chiede il plebiscito, però nel Pd “ci sarà spazio” per gli oppositori tesserati.

La domanda, come si dice, sorge spontanea: non sarà mica, per caso, che uno dei due, o Renzi o Folli, pensa che ccà qualcun è fess?

Riformare la costituzione secondo la costituzione

Ieri avevo scritto questo, oggi qualcuno dice che plebiscito è una parola troppo grossa. Allora segnalo due interviste: Giovanni Maria Flick sull’Unità e Piero Alberto Capotosti su Avvenire.

Due costituzionalisti, di cultura e formazione diverse, che dicono la stessa cosa: per riformare la costituzione serve uno spirito costituente, bisogna abbandonare sia la strada dell’ostruzionismo che quella delle prove di forza e delle tagliole. Questo è il senso dell’articolo 138, che chiede di cercare in parlamento le intese più larghe possibili e non intende il referendum come la concessione di un governo o di una maggioranza o la materia di uno scambio tra partecipazione e velocità.

Sarebbe bello se ci fosse ancora tempo per riformare la costituzione con il metodo previsto dalla costituzione. E con la politica, magari.