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Gabbani’s karma batte Hillary Mannoia. Nel modo giusto

Su Francesco Gabbani e Carrara avevo scritto tutto un anno fa: l’ho ripubblicato l’altra sera e ha portato bene, così mo’ ve lo beccate di nuovo.
Cosa aggiungere? Stanotte, nonostante una giornata particolarmente lunga, ho aspettato la fine dell’estenuante finale. Ero quasi sicura che avrei dovuto votare di nuovo per Francesco dopo mezzanotte, e sapevo che poteva vincere (sì, sono un po’ il Messori della canzonetta: in segreto l’avevo previsto). L’ho seguito poco: era un festival particolarmente noioso e insincero, un po’ disorientato e senza quid (che il Festival è sempre specchio del paese, si sa). Livello delle canzoni, basso. Metà dei big francamente ignoti, penso non solo per colpa della mia anzianità. Quando l’altra sera sono usciti fuori il maglioncino arancione di Francesco, la scimmia e la loro danza leggera, furba e sorridente – e forse anche un po’ seria – come il loro testo, ci siamo tutti risvegliati sul divano. Non so se è per questo che ha vinto, ma Francesco Gabbani è un giovane, non uno che fa il giovane. È uno che sa sorridere con intelligenza, ancorché démodé (fatela voi la rima panta rei / e singing in the rain, se vi riesce). Ti lascia il dubbio di aver capito qualcosa che noi non sappiamo, su questi tempi. E comunque ha una marcia in più. Sa che la leggerezza non è per forza banalità, e viceversa.
È stato bello che abbia vinto contro Fiorella Mannoia. Ho letto tante scemenze, a me non frega niente di come vota la Mannoia. L’ho sempre trovata insopportabile così quando era l’emblema della sinistra settaria e moralmente superiore come adesso che si dichiara grillina, non so se pentita. Insopportabile su twitter (l’ho dovuta defolloware per non insultarla) e meravigliosa, intendiamoci, come cantante. La sua canzone, interpretata con la solita abbacinante perfezione, era appunto, banale e pesante. Era un sermone col ditino puntato, un distillato di politicamente corretto. Meritava di essere sconfitta da una scimmia che balla. Tutto qui. La Mannoia era la Hillary Clinton di questo Festival. E come accade spesso alle Hillary Clinton, era talmente perfetta e pronta per vincere che non ha vinto.
E però mi è piaciuto vederli aspettare il verdetto sottobraccio l’uno all’altra, come una zia col nipote. Mi è piaciuto vedere lui imbarazzato e poi inchinato al cospetto della regina sconfitta. È stato giusto. È così che dovrebbe essere. È così che il futuro dovrebbe abbracciare il passato: con questa allegria e con questa umiltà. E viceversa, l’ho già detto. Per questo ringrazio Francesco anche quest’anno, oltre che per tutto il resto: per la sua buona educazione, per il suo senso delle cose e delle loro proporzioni. Per la sua maturità.

Carrara pride. (Elaboriamo il lutto con un amen)

Ho una strana timeline stamattina su Facebook. I carrarini si emozionano difficilmente sapete. E quasi mai si emozionano tutti insieme. Carrara è anarchica, individualista e ruvida. Per trovarle il cuore devi faticare come per salire sulle sue montagne. Se vede che te le prendi troppo a cuore ti dice: “Ma non ti confondere”. Se pensa che ci stai credendo troppo scuote la testa: “Ma come sei convinto”. Carrara non si sente mai all’inizio, ma sempre alla fine di qualcosa. Sa di essere stata giovane e bellissima, ricorda quando c’era il palco della musica e si ballava in piazza e al Settimo cielo, ma conosce il rumore delle serrande che chiudono per non riaprire e delle sirene che annunciano un’altra tragedia alle cave. Si è abituata a pensare che piove sempre sul bagnato. E sa che a volte piove davvero, e il fiume si porta via le case e le strade, e si sente violentata come il suo paesaggio e il suo territorio mal tenuto. È arrabbiata, Carrara.

Ma una sera, all’improvviso, si muove la città. Galleggia e se ne va, proprio, lasciandosi rapire da un sogno condiviso. La gente nei bar canta. La gente si telefona e piange, mentre in tv Francesco piange. La gente mette una foto di Francesco su Facebook e ci scrive sopra: “Bel me cocòn, bel e fat ben”. E poi: “Tutta Massa è con te”, addirittura: robe da chiodi, avrebbe detto mio nonno (e c’è pure un massese a premiarlo, il carrarino: troppo bello).

E lui dice una cosa che quasi non sembra uno di Carrara, una cosa che di sicuro è poco contemporanea e poco sanremese, dice: ho lavorato tanto. Che vuol dire: ci ho sofferto, ci ho creduto, mi ci sono buttato dentro fino in fondo. “O ber, o affogar”. Ed eccolo lì, ha vinto. E la sua città incredibilmente si è convinta che qualcosa ora possa cambiare, forse tutto: “State attenti, perché Carrara dopo l’AMEN, ora MENA”, scrive qualcuno.

E in fondo perché no: siamo fatti anche così, anche Francesco che l’ha capito e l’ha detto meglio di tutti. E allora: e allora avanti popolo che spera in un miracolo, elaboriamo il lutto con un amen.