Chi ha distrutto l’Ulivo, chi ha fatto l’Ulivo

Sono io, oppure sei tu
chi ha sbagliato più forte

Tra un mese, il 21 aprile, saranno vent’anni davvero da quella notte. Io vivevo a Roma da pochi mesi, non conoscevo quasi nessuno in città, e quella domenica sera guardavo incredula in un minuscolo televisore nella mia stanzetta da studente David Sassoli, allora ancora giornalista del Tg3, raccontarmi che avevamo vinto, da una piazza che dietro di lui si riempiva e si colorava. Non sapevo ancora che quella piazza, quelle bandiere, sarebbero diventate la culla della mia formazione professionale e politica. Pochi mesi dopo, insieme al mio amico Gianmarco, avrei salito i gradini di piazza del Gesù, sì proprio quel posto lì, col batticuore di una ragazza di Carrara che pensa “oddio dove sono”, e avremmo chiesto a chi stava organizzando il congresso del Ppi: “Serve una mano per l’ufficio stampa?”.

Mi considero abbastanza nativa. Ho votato Ulivo e poi Pd sempre, tranne che nel mio primissimo voto alle politiche del 94 quando l’Ulivo non c’era ancora ma già non c’erano più i partiti di prima. Ho votato Ulivo senza essere ulivista se volete: lavoravo per il Ppi di Franco Marini, quindi stavo coi “partitisti”, per semplificare. Per me voleva dire che si stava insieme ma con la nostra cultura politica, la nostra autonomia, l’orgoglio delle nostre memorie: cattolici democratici, democristiani di sinistra, “un pezzo della sinistra del paese”, come dicevano di se stessi quelli della sinistra Dc quando la Dc c’era ancora. Sinceramente penso che sia per questi stessi motivi che molti anni dopo ho avuto fiducia nella candidatura a segretario di Pierluigi Bersani, che pure ha una cultura politica diversa dalla mia d’origine. Ognuno col suo vino e senza annacquarlo, direbbe lui in bersanese. Mai, né allora né dopo, per me non essere ulivista ha significato pensare, o accettare di lavorare per qualcuno che pensasse, di tornare indietro rispetto all’Ulivo e al cammino di unificazione intrapreso con l’Ulivo.

Inoltre, non sono mai stata dalemiana. Nemmeno antidalemiana a dire il vero. Proprio perché – come penso di aver spiegato – la mia storia è un’altra, mi considero una dei pochi adalemiani viventi. Umanamente trovo il presidente simpaticissimo, professionalmente stimolante come forse nessuno, politicamente uno che ha fatto cose giuste e altre sbagliate, come quasi tutti.

E siamo al punto. Perché tutta sta premessa era per provare poi a dire la mia su chi ha distrutto l’Ulivo e chi lo ha fatto. Come scrivevo ieri, due ulivisti doc – Arturo Parisi e Franco Monaco – dicono adesso due cose opposte sull’Ulivo sul Pd, e la discriminante, per entrambi, è l’intervista di D’Alema al Corriere di qualche giorno fa. Penso che abbiano torto entrambi, e provo a spiegarmi.

In vent’anni se ne fanno di errori, nessuno è immune dallo sbagliare in un periodo così lungo. Penso che volere bene a noi stessi e alla nostra storia significhi soprattutto riconoscere questo. Mi è capitato di scrivere in passato che il Pd è stato fatto troppo tardi e troppo in fretta: due errori insieme allo stesso tempo, ma per fare una cosa giusta. Non abbiamo chiarito tante cose, abbiamo agito per paura oltre che per convinzione, ci siamo fidati poco gli uni degli altri: ma l’abbiamo fatto, finalmente. So che c’è una narrazione secondo la quale è D’Alema il cattivo di questa storia: una volta un amico mi disse che quello della fine del governo Prodi era stato l’unico caso al mondo in cui la storia è stata scritta dagli sconfitti, invece che dai vincitori. Cosa che dovrebbe far riflettere, sia sui primi che sui secondi. Senza arrivare a sposare in toto quello che scrive oggi Peppino Caldarola, che essendo dalemiano è per definizione brutto e cattivo, anch’io però penso – come lui – che la vicenda dei rapporti tra la dirigenza Ds e Prodi sia stata un po’ più complessa.

Dal mio punto di osservazione, che allora era la Margherita, alle domande di Caldarola potrei aggiungerne qualche altra: quando per esempio nel 2006 il partito aveva deciso di andare da solo alle elezioni, non è forse vero che il candidato premier, attraverso i suoi uomini, provocò una spaccatura drammatica per opporsi a una decisione già assunta, cercando di umiliare Rutelli e ottenere la lista unica dell’Ulivo, che di fatto avrebbe messo fine all’esperienza della Margherita? Giusto o sbagliato, fu solo grazie alla mediazione di Fassino e dei Ds che si trovò un compromesso (lista unica alla camera, liste separate al senato e primarie per rafforzare Prodi) salvando la coalizione. Furono mesi di battaglia durissima, a colpi di “bello guaglione” e di “pane e cicoria”, e i torti non erano da una parte sola, lo dico senza essere mai stata rutelliana, anzi. E dieci anni prima, non aveva forse Prodi rifiutato le offerte reiterate di Andreatta e altri perché si mettesse lui alla guida dei Popolari, in modo da evitare tutte le successive frizioni tra governo e partito?

Per questo io non sono d’accordo con Parisi. Per questo, che è il passato, e anche per il presente però. L’avevo già scritto qui, un giorno che ero molto arrabbiata: io penso che Renzi e il partito della nazione siano la negazione dell’Ulivo, della sua ispirazione originaria. Mi stupisce anzi che la contraddizione politica sia colta da Bersani e sottaciuta da certi custodi dell’ortodossia dell’ulivismo. E che il professore, Parisi dico, si accontenti di affermazioni renziane come “le primarie non si toccano perché senza le primarie decidono i capibastone”. Perché, chi ha deciso l’esito delle primarie a Napoli? Come mai Parisi sorvola sul fatto che il Pd napoletano un candidato che metteva d’accordo tutti l’aveva trovato, ed era pure della società civile, e che è stato solo “a causa di equilibri politici” – virgolettati testuali e non smentiti – che da Roma è stata imposta una candidata vicina all’area turca, essendo dell’area gigliata i candidati predestinati per Roma e per Milano, in modo che il “patto di sindacato” che governa il partito al Nazareno fosse rappresentato in modo equilibrato? Davvero a fronte dei ricorsi, e dei precedenti modi in cui sono stati trattati i casi in cui c’erano stati dei ricorsi, gli basta l’affermazione che “non ci sono state irregolarità”, fatta propria a maggioranza dalla commissione di garanzia? È questo il cambiamento? È questo il partito figlio delle primarie, affidato a una nuova generazione figlia dell’Ulivo? Davvero il professor Parisi, sempre critico degli unanimismi di facciata, vede una “mescolanza originale e nuova” nel conformismo plaudente dei renziani della prima, seconda, terza, quarta, quinta, sesta, settima ora? Davvero trova nel premio di maggioranza dell’Italicum una continuità con la legge elettorale maggioritaria e bipolare che favorì la nascita dell’Ulivo?

E tuttavia purtroppo non sono d’accordo nemmeno con Monaco. E non solo perché anche lui ricostruisce troppo schematicamente questi vent’anni di storia comune. Ma perché anche a fronte della “mutazione genetica del Pd” della quale faccio anch’io tutti i giorni dolorosamente esperienza, non riesco a capire come uno come lui possa ritenere accettabile la strada della “separazione amichevole”: dividersi da Renzi per poi allearsi di nuovo. Il ritorno del trattino di cossighiana memoria, insomma, e non è un paradosso ma la paradossale realtà. Ma se noi diamo per perso il partito di Renzi alla sua deriva nazional-verdiniana, chiedo a Monaco, come possiamo pensare di allearci con un partito del genere? Io non voglio essere alleata del partito della nazione. Forse Monaco pensa che possiamo fare come Pds e Popolari perché un Denis Verdini vale un Franco Marini: io no. Mi dispiace ma non tutto fa brodo. I Popolari di vent’anni fa non erano gente che aveva passato vent’anni a fianco di Berlusconi. Erano stati nel partito di centro che muove a sinistra, non in Forza Italia. Avevano tagliato i ponti col loro passato a caro prezzo, rischiando la carriera, in nome della Costituzione e di una prospettiva politica nuova, non si erano proposti come “taxi” per tutti i trasformisti del parlamento. Se si dovesse, e io non voglio, arrivare a rompere col Pd, io sarei disposta a farlo solo per questo: per un altro Ulivo e per un altro Pd, migliore di come ci è riuscito. Non certo per fare la sinistra-col-trattino di un centro che con me non ha nulla a che vedere.

E prendiamola tra le braccia
questa vita danzante
questi pezzi di amore caro
quest’esistenza tremante
che sono io e che sei anche tu
che sono io e che sei anche tu

(Ad Arturo Parisi e Franco Monaco, con amicizia e stima)

3 Responses to Chi ha distrutto l’Ulivo, chi ha fatto l’Ulivo

  1. carlo viscardi

    UN PICCOLO CONTRIBUTO …PER NON STARE NEL MONDO RENZIANO FATTO DI Mediocrità E SUPERFICIALITA’ :
    http://www.avvenire.it/Politica/Pagine/Sto-con-Renzi-DAlema-ha-soffocato-lUlivo-.aspx
    NON FERMIAMOCI AL TITOLO!!
    …..”Se qualcuno ha una proposta alternativa per l’Italia e non solo per il Pd….è il momento di alzare la mano e di cominciare a girare l’Italia per illustrarla. È la democrazia. A chi mi dice che la leadership di Renzi non è contendibile rispondo che chi dice così mi vuol solo dire che non intende contenderla….”
    …E NOI PROFESSORE ALZEREMO LA MANO CON I CITTADINI…

    http://www.corriere.it/politica/16_marzo_11/d-alema-il-partito-nazione-gia-c-ma-perdera-malessere-puo-creare-nuova-forza-2805f89a-e6fd-11e5-877d-6f0788106330.shtml

    Associazione Arcipelago

    12 marzo alle ore 8:28 ·
    .

    Un veccho proverbio recita ..” chi è causa del suo mal pianga se stesso “ .Questo probabilmente non è noto a Massimo D’Alema.
    Il PD che “ versa in una condizione gravissima” e la cui “classe dirigente reagisce insultando e calunniando con metodi staliniani” ha precise paternità non solo generazionali ma anche e soprattutto “personali” che ci riportano alla nascita di un PD mai nato..che, non va dimenticato, aveva tra i suoi padri fondatori cani e porci ( senza offesa ad alcuno ..) meno che il suo ispiratore; che si defilo’ delegando ad una fusione a freddo il progetto di un Partito Nuovo , non di un nuovo Partito, come in effetti avvenne.
    Di cosa si lamenta dunque il nostro skipper di Gallipoli?
    Forse del fatto che una renziana mediocrità lo abbia rottamato?
    Stentiamo a credere che Massimo Dalema non fosse a conoscenza della genesi di un Tancredi /Renzi creato da un Tomasi di Lampedusa ; ergo il gruppo di pressione mirabilmente rappresentato da quella plastica immagine del matrimonio dell’”amico Carrai”.
    Un tancredi fiorentino che abbracciando furbescamente la spinta antipolitica-garibaldina della rottamazione si proponeva di cambiare tutto per non cambiare niente!
    Ma “baffino” tradisce la sua cultura ( meglio sarebbe definirla “forma mentis”) quando afferma che “ Roma merita un sindaco di alto livello a prescindere dalla appartenenza di Partito”
    Personalizzando così la politica infatti non si pone minimamente il problema che vuole la politica essere compito di quei corpi intermedi che si chiamano “Partiti politici” e che il nostro rignanese ha inserito , in un assordante silenzio, in un programma di disintermediazione nell’ultima Leopolda.
    Non si pone minimamente il problema che la rappresentanza in questo paese è virtuale e con questa la Democrazia fallisce.
    Come tutti i perdenti si trastulla con scenari impossibili e improbabili, con alchimie di tempi medievali senza porsi alcun respiro di tipo culturale per capire ed affrontare un mondo del terzo millennio.
    Importante per Lui è vincere, non cambiare questo paese, la politica in questo paese!
    Importante per lui è governare; sin dai tempi in cui salì a Milano sul camper dell’Ansaldo ( i più giovani perdoneranno questo cenno storico ..) per affermare , imporre , con un avversario politico il suo ruolo a discapito del suo segretario politico.
    Non era ancora di moda il “stai sereno” ma il risultato fu più o meno lo stesso..
    Non ci permettiamo di dare consigli ma facciamo osservare che persone che ebbero un ruolo non certo marginale nella costruzione del Partito Democratico stanno osservando con umiltà ed uno struggente silenzio il disastro che dal lontano 2007 si sta realizzando

  2. paolo maghero

    Cara Chiara ho letto tutto il tuo articolo, lo trovo interessante come si possa arrivare a partecipare per un partito con altri compagni-amici attraverso esperienze e radici diverse, questo è molto bello se ci unisce certi valori e visioni nostre della giustizia intesa come sociale, un minimo di uguaglianza , il lavoro, la sanità, ecc. ecco queste sono le cose aggreganti anche fra persone di estrazione diversa fra loro. La rinascita dell’Ulivo l’ho prospettata anche io in un mio commento da cittadino comune. non si può stare in un Pd con Renzi un comportamento cosi è inaccettabile per una persona che si sente di sinistra, stare a ricostruire tutti i passaggi è inutile ne saprai certamente più di noi . Dico noi perchè un forte segnale di malcontento è venuto dalle regionali ,vediamo ora con le amministrative, e poi ci sarà il referendum c’è ancora molto tempo. E’ inutile nascondersi dietro un dito Il Pd è una roccaforte renziana , salvo clamorose sconfitte elettorali ma sarà difficile lo stesso anche per la capacità di aggregare forze di centro destra che ha l’abile e scaltro Renzi. A me sembra che siamo senza opposizione il M5s, Fi e il resto ti sembrano forze per fare un esempio che possano smuovere milioni di persone per una manifestazione? Il sindacato messo all’angolo come la sinistra Pd ! E’ quello che manca oggi ! Gli sforzi di Bersani se pur lodevoli di tenere un popolo in un partito che non c’è più li condivido solo perchè non può fare nulla di più, vuole continuare a essere una spina nel fianco a questo Pd. Con l’Ulivo potrebbe veramente rinascere un partito che aggreghi tutto il mondo degli scontenti di questo Pd siano di sinistra che cattolici di sinistra. Tanti aggettivi vengono spesi contro questo pd arroganza dittatorello ecc. ecco io non ci sto. Guardiamo indietro ma andiamo avanti vediamo se si smuove qualcosa di buono.

  3. nonunacosaseria

    analisi interessante.
    tre considerazioni, al volo.
    1. io, a differenza di te, sono sempre stato antidalemiano. riconosco in d’alema capacità politiche eccetera eccetera, ma non ho mai sopportato e condiviso certi modi d’azione. vederli riproporre oggi da renzi e dalla sua combriccola fiorentina mi fa star male, perché mi chiedo: perché ho combattuto d’alema? per farlo sostituire da gente che fa uguale se non peggio?
    2. sono invece d’accordo con te sul fatto che i rapporti tra ds, ppi e prodi furono molto più complessi di quanto una certa narrazione superficiale e banalizzante vorrebbe trasmetterci.
    3. anch’io penso che il PD renziano sia perso alla causa ulivista. ormai è qualcosa d’altro. la vocazione maggioritaria non è più intesa come “siano un partito che compete in un sistema elettorale maggioritario”, ma come “il nostro fine è conquistare la maggioranza dei voti”. la vittoria elettorale nel PD di oggi non è lo strumento, ma il fine dell’esistenza del partito.

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