Sindaci arancioni, bugie e battaglie da fare

Più che la lettera dei tre sindaci, mi hanno colpito le reazioni. Sintomi, gli ennesimi, della malattia di questi giorni bugiardi, di questa politica sempre più incapace di dire la verità agli altri e a se stessa. Cos’hanno detto Pisapia, Doria e Zedda, al di là di qualche riferimento forse un po’ superficiale alla Francia, al di là delle loro specifiche e legittime campagne elettorali? Che il centrosinistra per vincere – e le loro esperienze lo dimostrano – deve essere unito e aperto al civismo e alla partecipazione. Che in questo modo ha vinto in passato e può vincere in futuro.

Così avevo letto, e mi sembrava di non poter essere in disaccordo. Viste le prime reazioni, sono andata a rileggere: eppure c’era scritto proprio così, non avevo capito male. E però qualche amico “di sinistra” uscito dal Pd o tentato di farlo diceva che questo era un appello “al voto utile”, e che non ci sarebbe cascato; perché il Pd non si può più votare, perché non è più di sinistra. E all’opposto qualche altro amico “di sinistra” convertitosi al renzismo diceva che i tre sindaci avevano proprio ragione, che è così che si vince: uniti.

Non so se essere più stupita della prima o della seconda critica. Ai primi amici avrei voluto dire: ok, Renzi vuole il partito della nazione, Renzi non è di sinistra, anzi Renzi è di destra. Ma mettiamo che – come in parte, vedremo, sta succedendo a Milano – anche grazie a questi sindaci il Pd debba finire – malgrado Renzi – col presentarsi con alleanze di centrosinistra aperte al civismo e costruite nelle primarie in tutta Italia: non sarebbe una bella sconfitta per Renzi, se è come dite? Non sarebbe una bella battaglia vinta per chi non è d’accordo con Renzi? Allo stesso modo, dagli amici convertiti al renzismo mi sarei aspettata una conseguente e appassionata contestazione della strategia renziana (o dell’assenza di) per le amministrative, e oggi mi aspetterei una levata di scudi contro l’intervista del sindaco Nardella, che sul Corriere teorizza che non esistono più destra e sinistra e che c’è un nuovo bipolarismo – una specie di Matteo contro Resto del Mondo: una visione che non è solo provinciale e assurda, ma che apre praterie alla vittoria del Resto del Mondo (e qui davvero la Francia, e non solo, insegna). Oppure che qualcuno glielo contesti: ehi Orfini, ehi Serracchiani, ehi Renzi, sì pure tu, ma avete sentito che dice Nardella, siete d’accordo? Invece niente. Tutto tace.

Poi c’è la questione Sel. C’è Vendola che la mette un po’ come i primi amici, quelli in uscita dal Pd: la sinistra non può più essere unita per colpa di Renzi, dice Nichi respingendo l’appello al mittente. Ma ci sono anche altri amici, sempre tantissimo di sinistra, che dicono: i tre sindaci non hanno diritto a dire queste cose, perché a suo tempo vinsero contro Bersani che voleva il centrosinistra unito. Ora su Sel io penso questo: i suoi errori li ha fatti eccome. Non tanto quando ha portato legittimamente la sfida per la leadership a sinistra dentro primarie di coalizione che – anche grazie alla lungimiranza e alla generosità di Bersani che quelle sfide le ha accettate tutte, accettando anche di perderne qualcuna – sono servite appunto a costruire la coalizione; e mi riferisco ai sindaci arancioni ma anche a Vendola stesso. Semmai l’errore Sel l’ha fatto quando – per insicurezza, per massimalismo, per diffidenza – ha ritirato l’appoggio a Bersani rompendo la coalizione di centrosinistra al primo ostacolo, quello dell’elezione del presidente della Repubblica. Quando ha fornito l’alibi di sinistra a chi nel Pd lavorava contro il segretario di allora. Lì è stata aperta la strada prima al governo di larghe intese e poi alla leadership di Renzi. E non mi pare proprio che Vendola abbia meno colpe dei sindaci arancioni nel non aver capito di cosa Sel si faceva strumento, anzi.

In conclusione. A me la lettera dei sindaci arancioni ha messo questo pensiero: che ci sia una bella battaglia politica da fare, e che ci sia tutto lo spazio per farla. Anche perdendola al limite, anche decidendo alla fine di non votare comunque per il Pd o per loro, i sindaci. Perché ci sono battaglie che vale la pena di fare lo stesso, anche a futura memoria, perché la vita è lunga e le cose fanno presto a cambiare, perché se credi a qualcosa per quella cosa combatti. E poi che invece molti di noi non siano più disposti a farne, di battaglie. Che preferiscano avere ragione (sì, il Pd è morto, Renzi ha vinto e stravinto e vincerà per sempre e diventerà imperatore delle galassie e non c’è niente da fare) piuttosto che provare a cambiare le cose e riuscirci. Poi ci sono i bugiardi, ma quello si sa.

5 Responses to Sindaci arancioni, bugie e battaglie da fare

  1. Condivido l’analisi. Ma c’è una questione non affrontata ed ineludibile. Il PD può considerarsi un partito di sinistra? La mia risposta è no, con l’attuale dirigenza. Infatti le scelte politiche vanno nella direzione del liberismo (alla Thatcher per capjrci) e non credo che un partito di sinistra possa dirsi liberista, a meno che, come sostengono autorevoli piddini, destra e sinistra sono reliquie del secolo scorso. Preferisco allora rifugiarmi nelle ideologie piuttosto che assecondare politiche neo liberiste, che rendono più deboli chi già è debole.

    • No, la questione ineludibile è: l’attuale dirigenza del pd può essere sconfitta? Io dico: sì. E per questo non mi rifugio da nessuna parte

    • nonunacosaseria

      parlare di destra o di sinistra con renzi è fuori luogo.
      renzi non è né di destra, né di sinistra, né di centro. è, più semplicemente e banalmente, un opportunista. non fa le riforme sulla base di uno schema ideologico (es.: “abolisco la tassa sulla prima casa alle persone meno abbienti, ma la tengo per quelle più ricche”) o scientifico (es.: “se abolisco la tassa alle classi meno abbienti, in virtù del principio della propensione marginale al consumo questi soldi verranno spesi”). le riforme hanno come unico fine la coerenza alla narrazione di un governo cazzuto, energico, dinamico, innovatore. la riforma è importante in quanto tale, basta che sia riforma, non è importante “cosa” prevede. 500 euro di bonus, 80 euro… quel che conta è che sia facilmente comunicabile e comprensibile all’elettore medio e che si possa dire “noi facciamo le riforme, chi c’era prima no”.
      la comunicazione non è uno strumento della politica, ma il fine della politica; così come la vittoria elettorale non è uno strumento per il partito, ma il fine del partito stesso.
      perciò diventa difficile sconfiggere l’attuale dirigenza, soprattutto se cerchi di sconfiggerla ricorrendo a schemi classici quali “questo provvedimento non è di sinistra”.

  2. nonunacosaseria

    probabilmente vado fuori tema, ma visto che citi Nardella, mi ha incuriosito un passaggio della sua intervista: “l’importante è che sia un partito legato alla dimensione del governo, non della lotta”.
    ora, tutto si può dire del PD pre-Renzi tranne che non fosse legato alla dimensione del governo. tant’è che appoggiò un governo tecnico e per quell’appoggio perse parecchi consensi alle successive elezioni.
    ci stiamo avvitando in una serie di false rappresentazioni della nostra storia recente: il Paese immobile che non fa riforme da vent’anni (periodo nel quale di riforme ne sono state fatte fin troppe), il PD che non ha la dimensione del governo e altre cazzate.

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