Su Barca e i democristiani, per fatto personale (e politico)

Prima di tutto, la notizia: no, Fabrizio Barca non ha detto, alla festa dell’Unità di Roma, che la degenerazione del Pd romano è cominciata con l’arrivo dei democristiani (meno male!). Ha detto una cosa diversa, l’ha detta un po’ male, e successivamente, sorta la polemica, l’ha spiegata un po’ peggio. Mio malgrado la cosa mi ha un pochino riguardato, perché venerdì sera, lontana da Roma, visto qualche tweet risentito di amici conosciuti nel Partito popolare, mi ero allarmata e avevo approfittato di twitter per chiedere ai vertici del Pd romano e a Barca stesso cosa fosse realmente stato detto. Barca mi aveva gentilmente risposto, con frasi che il giorno dopo (senza che si ritenesse di citare le domande) sono finite su diversi giornali. Ma io, leggendo quelle risposte e quegli articoli, avevo capito anche meno, e avevo infine pubblicamente promesso che avrei ascoltato la registrazione; cosa che ho fatto immediatamente oggi, appena ripreso possesso del mio divano e di un wifi stabile.

Questa più o meno è stata la conversazione su twitter 

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Ecco dunque cosa ha detto Barca: nella parte finale della sua relazione, al minuto 38, ha individuato il momento del “fallimento del progetto politico del Pd romano” prima ancora della sua nascita, al 2006, anno della seconda elezione a sindaco di Walter Veltroni (che poi ne sarebbe stato, per paradosso, il primo leader). Ha detto che in quel momento, a Roma, c’è stata una “involuzione trasformista. Prima con l’entrata di figure della destra Dc che nulla avevano a che vedere con le straordinarie persone che avevano accompagnato Rutelli nella sua prima giunta e che portano dentro il partito esperienza e pratica di trasformismo, e poi con la nascita del Pd romano come giustapposizione di fazioni e senza un disegno“.

Più o meno le stesse parole che si leggono nel rapporto #mappailpd al punto 3, pagine 30 e 31. Un riferimento preciso, quindi, a scelte politiche e a episodi specificamente locali, niente a che vedere con la generalizzazione sui “democristiani” attribuita a Barca dai tweet che avevo letto.

Che dire? Innanzitutto che mi solleva e mi fa piacere. Secondo, che in un paese normale dovrebbero essere i giornalisti pagati per scrivere gli articoli in redazione, non quelli disoccupati e senza wifi durante i week end, a raccontare e chiarire cosa è stato detto e perché è sorta una polemica.

Ai miei amici ex popolari dico che difendere tutta la democristianeria allo stesso modo, confondere i riferimenti a Sbardella con quelli a Galloni, non è un modo di voler bene alla nostra storia, ma il suo contrario. A Fabrizio Barca, nel ringraziarlo ancora per la cortesia di avermi risposto, che gli raccomando di maneggiare con molta molta cura la materia che ha preso in mano. Sarebbe bastato dire che accanto a Rutelli, nelle sue due giunte (perché i popolari arrivarono dopo) non c’erano solo “straordinarie persone”, ma forze politiche che pagando un prezzo avevano fatto una scelta netta contro le destre arrembanti di allora e contro il trasformismo e l’opportunismo di tanti loro amici di partito. E che da queste scelte è nato il Pd, non solo dalla capacità dei comunisti di “guidare i processi” (cito un altro passaggio della relazione). Lo dico non per amore di polemica, ma proprio per il suo contrario. E perché per costruire questo partito un po’ di lavoro l’ho fatto anch’io, e sono sicura che Fabrizio Barca non è tra i tanti che lavorano per distruggerlo. Per questo gli dico guarda che non sono solo “i figli della destra Dc  a mistificare”.  

Ci sono stati anche figli della sinistra Dc e fondatori del Partito democratico che hanno capito male e che nessuno ha aiutato a capire meglio. Non sottovaluterei, perché siamo già abbastanza nei guai e perché a pagarla sarebbe, oltre al Pd, proprio il lavoro di Barca, sul quale – sono convinta – c’è molto da discutere e da capire.

 

AGGIORNAMENTO: Il domani d’Italia ripubblica questo post e lo commenta come riporto qui di seguito:

Barca è stato infelice nella esposizione. Chi era presente ha colto un attacco diretto ed esplicito alla componente di origine democristiana, confluita nel Pd con Veltroni. Il giorno dopo ha corretto il tiro parlando di “destra clericale” ingarbugliando ancor più la matassa della sua ricostruzione politica. Il tema sembra essere il trasformismo, ovvero il passaggio da destra a sinistra approfittando della nascita del nuovo partito.

Eppure già prima del Pd, quindi ai tempi dell’Ulivo, sotto la regia degli “ex comunisti” e in accordo con i massimi vertici dell’imprenditoria romana sono transitati a sinistra, anche assumendo ruoli importanti nelle istituzioni, figure di rilievo cresciute nell’area di centrodestra. Contro gli atteggiamenti di ordine trasformistico si espresse solo il Ppi quando, ad esempio, nel 1997 prese posizione contro l’allestimento a tavolino della “lista civica per Rutelli” (voluta naturalmente anche per comprimere lo spazio dei popolari).  

L’apertura ai “clericali di destra” non rientrava nella strategia dei popolari; anzi, come Chiara Geloni può ben testimoniare, dai popolari uscirono a più riprese quanti coltivavano prospettive di alleanza a destra. A Roma gli amici che provenivano dalla Dc di Sbardella erano in minoranza nel Ppi, ma compensavano la loro condizione di debolezza all’interno del partito attraverso il rapporto privilegiato con i vertici Pds-Ds e con lo stesso Rutelli. Intransigenza e trasformismo richiedono una classificazione diversa da quella evocata da Barca.

In ogni caso, è sbagliato concentrarsi sulla denuncia di fatti minori. La corruzione è nata, per qualche verso, da un modello di partito che aveva bisogno di molte risorse per sostenere il proprio apparato; come pure, del resto, proprio nell’esperienza di Roma, da un prolungato e totalizzante esercizio del potere. È mancato l’ossigeno che doveva assicurare il rispetto del pluralismo come regola di tolleranza e principio di autolimitazione. Quando infine ha prevalso il “pragmatismo avaloriale” di un gruppo dirigente organizzato attorno al potere locale, senza visione politica e senza dimensione morale, si è scesi agli inferi di quel “partito dannoso” che la relazione Barca descrive. E questa è colpa dei “clericali di destra”?

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