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Rassegna Quirinale/2: essere Amato

Nella primavera del 2013 Giuliano Amato (persona che, simpatica o meno, qui si ritiene fra le più dotate dei requisiti necessari per fare il presidente della Repubblica tra quelle su piazza) era, non solo a sinistra, il nemico pubblico numero uno. Il simbolo vivente dell’Inciucio. L’emblema insopportabile della Kasta. Sull’ipotesi di vederlo al Colle si vomitavano odio e disgusto. Sul suo nome giornali di tendenza e popolo della rete erano sul punto di scatenare la rivolta.
Oggi, 18 gennaio 2015, Amato, senza che si scatenino particolari reazioni, è addirittura “La carta segreta per chiudere al primo voto” (Andrea Cuomo, Il Giornale). La carta segreta dell’uomo del cambiamento, s’intende. Del premier più smart della storia della repubblica. Del politico che ha rottamato un sistema. Titoli analoghi abbiamo letto nei giorni scorsi, su giornali di varie tendenze, senza che ancora nessun rottamatore abbia minacciato di darsi fuoco in piazza Montecitorio e senza che nessun giornale abbia lanciato indignate campagne, senza che nessun esponente della nuova politica abbia twittato in stampatello: “FERMATEVI!!!”
Il candidato spieghi se in questi due anni:
A) Il paese sia diventato più maturo
B) Il paese sia diventato più rimbecillito
C) Il paese sia rimasto ugualmente rimbecillito
D) Il paese sia rimasto ugualmente maturo (vabbè).

Ossessionati da Berlusconi a chi?

(Questo post è stato pubblicato su Huffington post Italia)

No però scusate, ma ossessionati da Berlusconi a chi? Io non ce l’ho mai avuta, l’ossessione. Io mi definivo una cattolica di sinistra da prima che Berlusconi scendesse in campo, sebbene fossi molto giovane, e tale mi definisco ancora adesso, vent’anni dopo, e intendo restare tale per i prossimi vent’anni almeno. Non c’entra niente Berlusconi con quello che sono.
Io in questo ventennio non ho mandato i post it, non mi sono fatta le foto col bavaglio, non sono andata in piazza con la Guzzanti e con Travaglio.
Io ho criticato, se non le condividevo, le decisioni dei magistrati.
Ho scritto articoli in difesa di Ottaviano Del Turco, arrestato da presidente della regione in carica perché uno indagato per corruzione si era fatto una foto con un sacco pieno di non si sa cosa davanti alla porta di casa sua.
Ho sostenuto che regolamentare le intercettazioni telefoniche fosse necessario e non fosse necessariamente una legge bavaglio.
Ho detto e pensato che probabilmente le inchieste e i processi sulla vita privata di Silvio Berlusconi non sarebbero andati lontano, e che comunque non avevo bisogno di quelle inchieste e di quei processi per confermare la mia opinione politica e anche morale sulla persona pubblica di Silvio Berlusconi.
Ho cercato di ragionare su questioni come la fine della vita come su questioni complesse e drammatiche, quali sono, indipendentemente dalle posizioni strumentali che via via assumeva il Cavaliere.
Ho sostenuto che sulle riforme costituzionali si dovesse dialogare con tutti, soprattutto con chi rappresentava l’altra metà del paese.
Ho apprezzato anche il patto della crostata e la Bicamerale, come il tentativo, forse ingenuo nella modalità, di trovare una mediazione, perché la cultura della mediazione è la mia cultura politica e non è l’inciucio, è Aldo Moro. Continua a leggere

Lo straniero

Lui sa fare tutto, ogni tanto lo chiamiamo per qualche lavoretto qui nel condominio. Ma di solito non è lui a chiamare, poi a quest’ora, boh. Tra il suo italiano e la sua timidezza mi ci è voluto almeno un quarto d’ora per capire cosa voleva. Dice che ha trovato una borsa e un portafoglio con dentro documenti di qualcuno, uno straniero. Dice che c’è anche un “biglietto per partire”, insomma: lui pensa che bisogna cercare subito questa persona perché forse deve prendere un treno. Capisco che si risparmierebbe di occuparsene lui, ma “c’è un biglietto”: è urgente. Mi chiede cosa deve fare. Dico ma non c’è un numero di telefono? Dice che non capisce cosa c’è scritto su quelle carte nella borsa, è la borsa di uno straniero che deve andare da qualche parte. Dico senti ma tu sei a posto? Ce li hai i documenti? Dice sì sì, a posto. Dico allora devi andare alla polizia o dai carabinieri. Sai dove andare? Ce ne sono tanti, non so dove sei adesso. Vedi le macchine parcheggiate fuori, c’è scritto polizia o carabinieri. Mi spiega che è dalle parti della stazione Termini. Dico allora vai alla polizia della stazione, o ferma un poliziotto qualsiasi dentro la stazione, ce ne sono sempre. Dice sì, ma per questo io ti ho telefonato. Dice io no italiano, paura che pensano che ho rubato io. Gli spiego che non deve avere paura, perché se avesse rubato o fatto qualcosa di male non andrebbe a cercare un poliziotto, cerco di convincerlo, dico che il poliziotto penserà come ho detto io. Ma lui finalmente riesce a dirmi quello che mi voleva dire: per questo ti ho chiamato. Perché se il poliziotto non mi crede, posso fargli vedere il tuo numero sul mio telefono e dirgli di telefonare a te. Io posso?

Ha richiamato. Dice tutto a posto, mi hanno solo fatto qualche domanda, ma tutto a posto. E dice anche: grazie. Dico hai fatto una cosa giusta, era uno straniero come te, magari poteva trovarsi in difficoltà. Dice: io quello ho pensato. Sei stato bravo, gli dico. Grazie.

Persino

«Fonti di Palazzo Chigi sottolineano, contrariamente a quanto riportato oggi da notizie di stampa, come il voto di oggi sulla fiducia riguardi evidentemente l’articolo 18. Lo si è spiegato per mesi ovunque, persino nelle sedi di partito. La delega attribuisce al governo il dovere di superare l’attuale sistema e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza la direzione. Chi vota la fiducia vota la fiducia al presidente del Consiglio e al governo che sostengono la necessità di riformare l’intero mercato del lavoro, come esplicitato dalla delega. Che essendo delega non può che avere la portata definita dal testo normato.»

Ecco, di questo affannoso, propagandistico e burocratico comunicato, teso a convincerci che sì, oggi il senato vota sull’articolo 18 (ma che problema c’è? Non basta scriverlo nell’emendamento?) io sono colpita soprattutto da una parola, proprio non riesco a smettere di guardarla. “Persino”.

Roberto, alla stazione

Oggi ho incontrato il mio amico barbone. L’avevo già visto altre volte, per strada e alla stazione, ma al mio “ciao” non aveva mai risposto. Così l’ho guardato, mi ha guardato, e non ho detto niente. Dopo un po’ però era lì: “Io voglio dire una cosa, se viene viene, se no è lo stesso: te sei la Chiara?”. Mi sono alzata in piedi: “Ciao, Roberto”.
Il mio giovane parroco, ai tempi, gli faceva lavare le scale, pulire la chiesa. Così gli dava qualcosa, e se lo teneva intorno. Roberto era diventato un po’ il beniamino dei ragazzi, ma anche di tante mamme della parrocchia. A volte si presentava a casa di qualcuno, verso sera, “scusate se sturbo”, diceva. E così lo invitavano a cena. Era un po’ così, ma era buono. Non ha dato mai fastidio a nessuno, che io sappia. Ora non c’è più niente di uguale a prima. A un certo punto è sparito, poi l’ho cominciato a rivedere. “Come va Roberto?”.
“Non è più come prima eh. Mio babbo e mia mamma non ci sono più. Anche la casa non c’è più”.
“Non era dei tuoi genitori la casa eh?”.
“Nooo. La signora voleva tanti soldi”.
“E adesso?”.
“Adesso dormo qui, alla stazione”.
“E mangiare?”.
“Quelli del bar mi danno qualcosa”.
“Ma c’è la mensa qui vicino eh”.
“Ma c’è sempre una confusione, nooo”.
“Ma qualcosa di caldo, magari”.
“Ma quelli del bar mi danno qualcosa di caldo a volte. Io di lavoro aiuto a caricare, ora”.
“A caricare?”.
“Le valigie”.
“Eh ma ora viene l’inverno Roberto”.
“Eh, lo so”.
Si ricorda tutti. Anche gente che io non mi ricordo. “Campa ancora il babbo di Mario?”. Sì, l’ho visto quest’estate. “Bruno”. Sì, Bruno. “La Marina ha due gemelli”. Due gemelli sì. “Era bello, a quei tempi”. Io sono andata a vivere a Roma sai. “Sì, lo so, è da tanto”.
“Roberto senti, non devi bere eh”.
“No, io non bevo. Bevo l’aranciata”.
“Bravo, poi un giorno per volta, speriamo bene”.
“Sì. Le mie cose me le tiene una signora”.
“Così se un giorno avrai di nuovo una casa hai le tue cose”.
“Sì”.
“Ecco, vedi? Speriamo dai. Arriva il treno Roberto”.
“Ti aiuto a caricare?”.
“Ma no grazie, ce la faccio”.
“Sono contento”.
Anch’io.

Intervista sul Pd

Un paio di giorni fa il sito Intelligonews.it mi ha fatto un’intervista. La metto qua, per non perderla. La firma è di Marta Moriconi.

Chiara Geloni è una donna che spegne per sempre i tanti pregiudizi sulle bionde. Su IntelligoNews l’ex direttore di YouDem, da sempre fedelissima di Bersani ma da gennaio disoccupata, con sagacia e lucidità evita polemiche personali ma non si tira indietro alle critiche politiche. Perché “la coerenza per me è un valore” ci dice, ma “ognuno fa le sue scelte”. Chi è più adatto di lei per commentare quello che sembra il riaccendersi di uno scontro interno al Pd che vede (di nuovo) protagonisti consapevoli o meno Bersani, Renzi e D’Alema? Ecco il suo parere sul Pd post-vacanziero.
Sul problema del segretario-premier, Bersani dà ragione a Civati (come ci ha detto) o è il contrario?

“Io rispetto molto Civati che ha fatto una bella campagna alle primarie e secondo me ha assunto un posizionamento politico intelligente dopo. Era difficile perché gestisce un’area faticosa da un piede fuori e uno dentro. Spesso e volentieri lo condivido, però non deve dimenticarsi che se ci troviamo in questa situazione è anche per colpa sua. Il vostro titolo era un po’ malizioso, ma la mia battuta taggata al vostro indirizzo significava che, se ci fosse stata una valutazione maggiore sulle conseguenze del voto dei 101 ma anche sulla scelta di non votare Marini, oggi si sarebbe affermata un’idea di partito un po’ diversa… e che piacerebbe di più anche a Civati”.

Perché è un problema Renzi segretario-premier e perché proprio ora? Continua a leggere

Meglio di Beautiful

Inizia che lei è su una spiaggia un pomeriggio d’agosto con tre bambini nervosi e annoiati. Lei ha iniziato questo libro, la sera prima. Allora dice ai bambini: dai che vi racconto la storia di Ulisse. E loro sbuffano no, la sappiamo la storia, è Ulisse quello del cavallo, e poi è una storia da grandi. Lei comincia lo stesso, proprio come ha letto nel libro: Ulisse era il re di Itaca, che era un’isoletta piccolissima bianca, piena di sassi e di capre, dentro un mare blu, e un giorno partì perché tutti i re a quel tempo partivano per provare a sposare la donna più bella del mondo, che si chiamava Elena. Succede che una dei tre bambini nervosi si chiami Elena, ed è fatta: racconta!
Succede che quando lei ha raccontato tutto quello che ha letto nel libro, e anche quel poco che inoltre si ricordava della storia, i tre bambini seduti sull’asciugamano ancora insistono: racconta! Vent’anni in mare, e poi cos’è successo? Racconta! Non vogliamo sapere solo Polifemo, vogliamo tutte le storie! Vent’anni! Succede che anche dagli asciugamani vicini diverse signore dicono: non le dispiace vero, se ascoltiamo. Racconta! E lei capisce Omero, dev’essere andata più o meno così, allora. Uno che racconta, e gli altri: racconta! Continua a leggere

Per Federico Orlando, senza cerimonie

So che tu avresti voluto più discrezione, ma lo sai come siamo fatti, noi giornalisti. Scriviamo. Come facevi tu, sempre, fino a tre o quattro giorni fa. Venivi in redazione tutti i giorni, con l’impegno e l’entusiasmo di un praticante, quando fino a pochi anni fa stavamo insieme, a Europa. Leggevi tutto. Chiamavi per commentare e per complimentare. Citavi nei tuoi articoli noi, colleghi giovani e sconosciuti. Una volta, nelle riunioni per il numero zero, qualcuno propose che facessimo come si usava allora al Foglio, un giornale di pezzi non firmati. Ti sei arrabbiato. “No, questi colleghi devono potersi far conoscere! La firma è un valore, e loro firme saranno un valore aggiunto per il giornale!”.
Eri stato il vice di Montanelli, ma non ne parlavi quasi mai. Solo qualche volta, se in riunione veniva fuori qualche volo pindarico di troppo che ci faceva progettare articoli confusi, dicevi con la tua mitezza qualche frase come “eh no, Montanelli diceva: un argomento, un pezzo”. Quante volte l’ho ridetta, quante volte l’ho ripensata.
Ti fece piacere, quando ti chiesi se volevi essere uno degli Highlander della mia trasmissione, poi diventata anche un libro. Avevo intervistato tanti comunisti e democristiani, eri contento di rendere più completo il mio catalogo di testimoni della nostra repubblica “rappresentando” quella che chiamavi con orgoglio “la terza cultura dell’Assemblea costituente”. Sono venuta a casa tua e ho visto la tua vetrina piena di premi giornalistici, ma la telecamera non ce l’hai lasciata neanche avvicinare. Ho visto i ritagli ingialliti dei tuoi primi articoli per giornali che si chiamavano il Molise liberale o il Molise nuovo, catalogati e incollati in un album dalla tua mamma.
Ti chiesi com’era aver passato tutta la vita da moderato ed essersi ritrovato con una fama di eretico e di estremista, un po’ come Oscar Luigi Scalfaro. Hai detto: “Io sono un moderato, come lo era Montanelli. Però abbiamo sempre avuto un principio: che con i comunisti, con i quali non avevamo nulla in comune, avevamo fatto la Resistenza al fascismo, mentre con la destra non avevamo nulla in comune, perché la destra è il fascismo. Questo significa essere estremisti? Io la chiamo coerenza, ma può darsi che sia difficile spiegarlo”.
So che non vuoi cerimonie e non vuoi preghiere. Non so se rispetterò il secondo desiderio, mi fermo qui per rispettare almeno il primo. È stata una vera fortuna lavorare con te.

Caro Matteo, come facciamo a riaprire l’Unità?

(questo articolo è uscito anche su Huffington post)

Caro Matteo Renzi, tu sei contro il finanziamento pubblico. Quando lo abbiamo dimezzato e tu eri ancora una voce critica nel Pd, i tuoi amici, per tuo conto, strillavano in parlamento che dimezzarlo non era abbastanza e andava abolito subito; quando lo abbiamo abolito e tu eri il candidato favorito alla segreteria, i tuoi amici, per tuo conto, e tu stesso, strillavate che il décalage previsto dalla legge per arrivare in qualche anno a finanziamenti zero era troppo lento. Ci furono trattative, per arrivare a una mediazione che fosse per voi accettabile e votabile, ma voi ci teneste a dire che avreste fatto di più e più in fretta. Io non la penso come te, ma ovviamente conta quello che pensi tu, ora che sei segretario del Pd e presidente del consiglio soprattutto.

Tu, caro Matteo Renzi, pensi anche, dicono, non so se è vero, non l’hai smentito, che non te ne frega niente se chiudono i giornali. Cioè, al di là del linguaggio che usi in una discussione con un tuo amico, ammesso che tu l’abbia usato, ritieni che se i giornali non hanno i soldi per campare è giusto che non campino, che in generale, o forse in questo momento, non sia il caso di aiutare finanziariamente il settore dell’editoria, sebbene esso sia in grave crisi, e sebbene i casi di aiuto a settori in crisi esistano e siano esistiti, sotto forme di ammortizzatori straordinari o di idee come per esempio quel meccanismo che a suo tempo venne battezzato con un termine che dev’esserti molto piaciuto, rottamazione. Preferirei che tu la pensassi diversamente, perché questa crisi coinvolge me e tanti colleghi e amici, e anche perché per me se chiude un giornale, di partito o di opinione in questo caso non fa differenza, è grave, e non si può trattare la libertà di stampa come un settore economico come gli altri, dove o reggi alle regole del mercato o chiudi e amen, ma non ha importanza. So che la maggioranza degli italiani non la pensa come me, e un governo deve pensare all’interesse generale, mica posso pretendere che pensi a me, e ovviamente ha le sue priorità e le comunica ai cittadini come crede.

Io però vorrei capire una cosa.

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La morte della politica

Visto che qui non si capisce più chi ci è e chi ci fa, chi non capisce più i fondamentali e chi fa finta: lo so anch’io, grazie, che in un partito la maggioranza decide. Il fatto è che di solito in un partito la maggioranza non dice “alla faccia vostra rosiconi che volevate sabotare, io i voti li ho trovati da un’altra parte e dei vostri me ne frego”. Altrimenti, diciamo, siamo andati un tantino oltre l’idea stessa di essere un partito. E adesso ditemi: volete il disegnino?