Lo strano nuovismo dei popolari

Che cosa sta succedendo ai popolari del Partito democratico? “Malumori”, “sofferenze” e “malesseri”: la presenza nel Pd della fazione più consistente degli ex democristiani – quella, per intenderci, di osservanza non bindiana né lettiana – viene ormai raccontata con i termini di una diagnosi infausta. È una vecchia tattica da animali politici: si prende un tema del tutto marginale (le infiltrazioni della massoneria), o già risolto e archiviato (il nome delle feste del partito), o palesemente pretestuoso (se sia meglio manifestare contro la manovra in una piazza o in un palasport, se sia meglio fare proposte o limitarsi alla protesta). E non importa se il primo spunto viene offerto da due-casi-due di assessori (forse) affiliati a società segrete, di cui uno, si noti bene, assessore in un comune di 3600 anime; non importa se il secondo spunto è una non-notizia, perché il nome della festa di Roma, vera passerella del potere veltronian-bettiniano e di ciò che restava del rutellismo, in questi anni, non era mai cambiato: festa dell’Unità, e nessuno si era fin qui sognato di contestarlo; non importa se è evidente che non si possono portare decine di migliaia di persone in piazza del Popolo alle tre del pomeriggio alla fine di giugno. Niente: si passa parola, si comincia a martellare, se ne fa una questione identitaria di importanza decisiva. Il successo è assicurato con poca spesa: se chi comanda reagisce, posso dire che ho vinto. Se tutto tace, posso continuare a fare la vittima, con più visibilità. 
Ma non tutti gli ex popolari possono trovarsi a loro agio con questi tatticismi, e infatti oggi un articolo del Corriere della sera – l’ennesimo – sulla “sofferenza” dei cattolici, cambia in modo assai interessante il piano del discorso. Il problema vero starebbe non tanto nelle questioni fin qui dibattute ma in un dato di fondo: la colpa di Pier Luigi Bersani sarebbe, testualmente, quella di “dire che noi veniamo da 150 anni di storia”. Con questa affermazione sconvolgente, il segretario si assumerebbe nientemeno che la responsabilità di “recuperare identità del secolo scorso”, cioè “la tradizione socialista e comunista”.
Ecco, questa è proprio bella. Quando un segretario di partito dice “noi”, infatti, non possono esserci dubbi: si riferisce al partito, a tutto il partito. Ora, per quale ragione gli ex popolari debbano sentirsi esclusi dal riferimento a quei “centocinquant’anni” di storia, davvero non si capisce. Non è forse nei decenni dall’Unità d’Italia a oggi che sono nate e si sono sviluppate, spesso in rapporto le une con le altre, quelle forme di cooperazione e di mutua assistenza – rosse sì, ma anche bianche – che hanno dato vita al movimento cooperativo e sindacale? Non è forse negli anni del Non expedit, mentre altrove venivano posti i fondamenti del pensiero socialista e comunista, che è maturata la cultura politica dei cattolici democratici come affermazione dell’autonomia dei laici cristiani nel campo delle scienze umane e in particolare della politica? Non è forse all’inizio del ‘900, quasi in contemporanea con l’affermarsi della Rivoluzione d’ottobre, che un prete siciliano imbevuto della dottrina sociale della Chiesa scriveva l’Appello ai Liberi e forti? E così via, sorvolando su altri più spesso citati dettagli quali la Resistenza e la Costituzione.
Ora, si può perdere un congresso e rimanerci male: capita. Ma per quale motivo i popolari, anziché sfidare Bersani acconciandosi a giocare la partita sul terreno che il segretario offre a loro e al Pd, un terreno su cui davvero oggi nel partito solo gli ex popolari possono giocare alla pari con gli ex comunisti (ammesso che non sia troppo semplicistico dire che sono gli ex comunisti ad aver vinto le primarie di ottobre), per quale motivo gli rivolgono invece a causa proprio di quelle parole l’accusa di volerli escludere? C’è una sola spiegazione: che negli ultimi due anni i popolari del Pd si siano convinti, per vie misteriose, che la loro cultura politica affondi le sue più autentiche radici non nella Rerum novarum o nei precursori del Concilio, bensì nei Big talk della Margherita e nel discorso del Lingotto. Ma se è così, poveri popolari. E povero partito.

(per il sito Left Wing, 14 giugno 2010)

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