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“A che ora nasce quest’anno Gesù bambino?”

“A che ora nasce quest’anno?” è la domanda che faccio ai miei genitori tutti gli anni quando, qualche giorno prima di Natale, arrivo a Carrara (quest’anno chissà). Chiunque sia mai andato alla messa di Mezzanotte (ma anche chiunque l’abbia seguita in televisione in diretta da San Pietro e celebrata dal papa) sa benissimo che la messa di Mezzanotte non è mai a mezzanotte.

Se proprio proprio si vuole essere letterali (come io preferisco, sono una cattolica un po’ tradizionalista) la messa di Mezzanotte inizia verso le 23 e 45, in modo che a mezzanotte, mentre si dice il Gloria – l’inno che evoca l’annuncio degli angeli ai pastori, “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama” – risuonino le campane e venga svelata nel presepe l’immagine del bambino Gesù, a simboleggiare la sua nascita.

Però questa cosa della mezzanotte non è mica un dogma di fede, anche perché ci sono posti dove fa molto freddo, persone anziane, spesso preti anziani (e anche appunto papi anziani), e insomma l’orario della messa spesso varia in un generico dopocena che cambia anche ogni anno. Anche perché come sanno tutti (parlo sempre di tutti quelli che vanno alla messa almeno ogni tanto), gli impegni dei parroci sono tanti e vari, molti di loro celebrano più messe in posti anche distanti chilometri, e comunque alla messa di Natale si può andare anche la mattina dopo. Per questo appunto a chiunque vada in chiesa a Natale, e tra questi credo sia il ministro Francesco Boccia, oggi processato per eresia su diversi giornali di destra, capita con la confidenza e la tenerezza e anche l’ironia con cui parliamo di queste cose di fare o sentirsi fare la domanda: “A che ora nasce, quest’anno?”.

Anche perché non è mica detto che Gesù bambino sia nato proprio a mezzanotte. È nato di notte, di sicuro, perché lo scenario notturno è descritto nei vangeli (i pastori appunto “vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge” quando hanno ricevuto l’annuncio degli angeli). Ma che fosse mezzanotte non sono tanto sicura, con tutta quella gente in giro a pescare, filare la lana, prendere l’acqua al pozzo: del resto a dicembre è notte anche alle cinque di pomeriggio. Non bisogna farsi trarre troppo in inganno dal presepe, sapete: per esempio questa storia del bue e dell’asinello è molto dubbia. E anche i tre re Magi probabilmente non erano tre, e di sicuro non erano re. Ma queste cose ve le racconterò magari un’altra volta.

Cosa sto cercando di dire? Leggo su Repubblica di oggi che il governo sta trattando con la Cei sulla questione della messa di Mezzanotte: bene. Secondo me avrebbe dovuto farlo anche a marzo scorso, e l’ho scritto, quando prese la decisione ben più pesante di sospendere le messe, e probabilmente non ne ebbe il  tempo e la lucidità. Però non c’è ragione di fare una guerra di religione sulla messa di Mezzanotte e credo che la Cei non abbia motivo di chiedere trattamenti speciali: se ci sarà ancora il coprifuoco, ci sarà il coprifuoco: vorrà dire che ci regoleremo anche per la messa. Andremo in chiesa prima, o la mattina dopo, o guarderemo papa Francesco in tv. Valuti il governo come sarà giusto chiederci di comportarci e ce lo dica. Varrà per le messe come per le cene e i cenoni, e (par condicio) anche per i pranzi del giorno dopo (magari anche i giornali romanocentrici dovrebbero ricordarsi che per mezza Italia il Natale è una cena, per mezza Italia è un pranzo; ed è giusto così, il mondo è vario).

Ecco, fossi nel governo eviterei di far girare contemporaneamente sia l’idea di ripristinare il coprifuoco per Natale sia quella di far stare aperti i negozi fino alle 22 per garantire lo shopping nei giorni precedenti: perché capisco tutto ma è un po’ seccante dare l’idea che a Natale è più importante fare acquisti che andare alla messa. Anche perché appunto sia gli acquisti che la messa si possono fare in altro orario. Insomma dateci una regola, possibilmente ragionevole, e chiedeteci di essere responsabili rispettandola tutti insieme. Lo faremo, con qualche più o meno grande sacrificio ma sicuramente senza nessun sacrilegio.

Sulle messe tra Chiesa e governo qualcosa è andato storto. Raddrizziamolo

Per moltissimi di noi, la Fase 2 sarà dunque molto simile alla Fase 1. La conferenza stampa del presidente del Consiglio, aperta da una lunga serie di raccomandazioni che facevano ben capire come sarebbe finita, ieri sera ci ha mandato tutti a letto scoraggiati e delusi, se non angosciati. Però, diciamo la verità, con i numeri che sentiamo ogni sera al telegiornale sarebbe stato difficile aspettarsi qualcosa di molto diverso. Né mi pare negli altri paesi europei abbiano le idee molto più chiare: Macron, per dire, ieri s’è preso una ramanzina storica dagli scienziati francesi per la sua intenzione di riaprire le scuole, sulla quale c’è enorme incertezza ovunque; e anche sulle famose app di tracciamento, tema che non può non essere controversissimo nel mondo occidentale, non mi sembra che nessuno abbia trovato ancora la soluzione.

Mi ha molto sorpreso e preoccupato il comunicato durissimo della Conferenza episcopale contro il permanere delle restrizioni sulla celebrazione della messa con il popolo (contrariamente ai funerali, che saranno di nuovo consentiti alla presenza dei soli familiari e preferibilmente all’aperto). I Vescovi “non possono accettare di veder compromessa la libertà di culto”, ed “esigono” che possa riprendere l’attività pastorale dunque. Voglio dire qualcosa su questo, qualcosa che finora ho taciuto un po’ per pudore, un po’ per opportunità.

Secondo me è stato fatto, dall’inizio, un grave errore. Il governo non avrebbe dovuto vietare le cerimonie pubbliche insieme alle attività produttive, sportive, commerciali. Avrebbe dovuto chiedere alla Chiesa, nella sua indipendenza, di partecipare al lockdown del paese adottando decisioni coerenti. È stata una sgrammaticatura grave, credo, rispetto all’articolo 7 della nostra Costituzione. Nel pieno dell’emergenza è probabilmente sembrato un dettaglio, ma la forma è sostanza. Mi ha molto colpito che la Cei non abbia detto sostanzialmente niente allora su questo errore del governo (anche se ho letto di qualche saggio vescovo che si è affrettato a emanare lui un’ordinanza di divieto delle cerimonie pubbliche, proprio per salvare la forma). Qualcuno, Alberto Melloni su Repubblica, parlò allora di una “reazione troppo burocratica”.

Però poi abbiamo attraversato questa incredibile quaresima in lockdown, e mille fiori sono fioriti. È stata, credo di poterlo dire, una primavera per la Chiesa, per quanto dolorosa. Le chiese non sono mai state chiuse, la Chiesa si è presa cura dei poveri. Grazie alla fantasia e alla passione pastorale di tanti preti (e anche laici) abbiamo cominciato a ricevere link, podcast, messaggi vocali per meditare sul Vangelo del giorno. Abbiamo partecipato a ritiri spirituali su Zoom. Abbiamo avuto la messa su Facebook. Papa Francesco ha attraversato le strade di Roma per pregare il crocifisso che salvò la città dalla peste, ha regalato al pubblico televisivo la messa quotidiana di Santa Marta, poi ha inventato il gesto straordinario e storico della preghiera nella piazza vuota di San Pietro il 27 marzo. Ha celebrato in tv alla Cattedra le grandi liturgie della Settimana santa, compresa una straordinaria Via Crucis di nuovo nel vuoto della piazza. Ogni domenica mattina, dopo aver trasmesso l’Angelus (ora, dopo Pasqua, il Regina Coeli) dalla sala della biblioteca, il papa si affaccia alla finestra e con un gesto struggente guarda per un attimo Roma deserta e la benedice di nuovo.

Mentre decine e decine di sacerdoti davano la vita (anche letteralmente) negli ospedali e nei luoghi di sofferenza del virus, la Chiesa ha accompagnato tutti noi in  maniera straordinaria e creativa, e nel vuoto delle nostre distrazioni, dei viaggi, dei pranzi, della compagnia dei nostri cari è stata più presente che in tante altre quaresime che abbiamo vissuto andando fisicamente alle celebrazioni.

Per questo ora questa durissima reazione che arriva a definire “ingiustificabile” il permanere delle restrizioni sulle messe mi preoccupa e mi sorprende. Non perché non capisca che la vita sacramentale non può essere sostituita da uno streaming. Non perché non pensi che, come dall’inizio e come ho detto, il governo abbia sbagliato a considerare la Chiesa un interlocutore tra i tanti, e il presidente del Consiglio abbia peccato di superficialità nel non preparare una dichiarazione meno vaga su quel punto. Ma perché penso che questa reazione sia un segno di debolezza e una posizione minoritaria che non sono all’altezza di quanto la Chiesa italiana ha saputo vivere nelle scorse settimane.

Mi dispiace che i vescovi si mettano in una posizione impopolare: davvero pensiamo che si potesse dire agli italiani “da domenica tornate tutti alla messa”? Io stessa, anche potendo, dubito che lo avrei fatto. Prima di mettermi in fila per fare la comunione, anche ricevendola sulle mani, oggi confesso che ci penserei due volte, quattro se abitassi in Lombardia. Sicuramente avrei pregato i miei genitori di non farlo, e di continuare a guardarsi come fanno, contentissimi, la messa di Santa Marta o quella su Facebook. So che non è la stessa cosa, so che non può essere per sempre. Condivido le parole dette qualche giorno fa dal papa sui rischi di “gnosi” se questa diventasse la norma. La Chiesa è “popolo”, il popolo “celebra” la messa tanto quanto il sacerdote: la presenza del popolo è essenziale nell’eucarestia. Giusto mantenere la consapevolezza di queste cose. Ma questo giustifica una reazione quasi rabbiosa e con quegli argomenti, quasi fosse colpa del governo se la messa col popolo non si può (ancora) celebrare? È coerente con la fantasia pastorale dimostrata in queste settimane?

Ultima cosa: vale la pena di prestarsi, come inevitabilmente succederà, alle strumentalizzazioni di qualche partitino o partitone abituato a volare bassissimo, a quelle degli atei devoti che in questo lockdown non hanno visto una messa in streaming nemmeno cliccando per sbaglio, a quelle dei nemici di papa Francesco? Non dubito che nella Chiesa italiana ci sia spazio anche per queste considerazioni. Intanto il governo annuncia nuove riflessioni e nuovi protocolli, speriamo che si possa raddrizzare, con l’aiuto di tutti, quello che è andato storto.