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Le troppe cose che non tornano nella “strigliata” di Draghi

Rispolvero il blog perché in questa “strigliata di Draghi” ci sono troppe cose che non mi tornano e scriverle è un modo di metterle in ordine. Certo, Draghi ha ragione che così non si più andare avanti. Certo, come mi pare suggerisca Stefano Folli, una strigliata oggi può essere anche un modo per mediare domani. Tuttavia non penso che “strigliare i partiti” possa diventare un metodo di governo. E negli argomenti di Draghi, e nei resoconti che leggo, ci sono troppe cose che non vanno.

Intanto Mattarella. Da palazzo Chigi si suggerisce che il Quirinale abbia avallato e coperto la “strigliata”, e non c’è ragione di dubitarne. Sta di fatto però che le parole e i toni di Mattarella, nel giorno del suo insediamento, sono state ben diverse da quelle del premier. Il presidente ha detto chiaro che il parlamento non deve essere umiliato, che il ricorso alla fiducia e alla decretazione d’urgenza è stata spesso eccessiva e che questo deve cambiare. In una sola settimana il governo Draghi, che ha la maggioranza più ampia che si ricordi, ha posto la fiducia due volte. Il ritmo è di circa una fiducia alla settimana, fra i più alti degli ultimi anni.

Poi ci sono i fatti. Se tutta la maggioranza, tranne la Lega, vota in un certo modo sulle bonifiche dell’Ilva, forse bisognerebbe prendere in considerazione che la posizione del governo non aveva sufficiente consenso. Inoltre: inevitabile forse che il premier se deve strigliare strigli tutti, ma siamo sicuri che differenziarsi come hanno fatto tutti tranne la Lega su un provvedimento non condiviso sia altrettanto sleale che fare un blitz votando emendamenti dell’opposizione come hanno fatto Forza Italia e Lega sull’innalzamento del tetto al contante proposto da Fratelli d’Italia? Allora perché non riconoscerlo?

Infine, gli argomenti. Spiace, ma sul piano costituzionale Draghi sta sul filo dell’inaccettabile. Dire che il governo è qui per fare le cose quindi vanno garantiti i voti in parlamento altrimenti si va a casa è al tempo stesso una banalità che vale per qualsiasi governo e un’intimidazione paradossale, dal momento che fino a diverso avviso è il parlamento che dà la fiducia al governo e non il contrario. Dire che è inaccettabile che quello che votano i ministri poi non venga accettato in toto dai gruppi è un filino troppo comodo, dal momento che il premier sa benissimo che, com’è sua facoltà, i ministri li ha scelti lui. Rispondere “non m’interessa” a chi gli obietta che è proprio per evitare reazioni negative dei gruppi che sarebbe meglio far avere al parlamento i testi con maggiore anticipo assomiglia a un “me ne frego” di non gradevolissima memoria. Non riconoscere che ci sono divisioni politiche profonde e non dare dignità alle differenze non banali tra partiti in una maggioranza composita (sul catasto, sul fisco, sulla giustizia) è segno di una rigidità mentale che con la politica ha poco a che fare. Derubricare ogni distinguo a insubordinazione e capriccio è un regalo alla propaganda antipolitica. Ostinarsi a non cambiare metodo, a non cercare un nuovo patto col parlamento dopo una serie di incidenti di percorso fa sospettare che non si cerchi la pace, ma il pretesto per la guerra.

C’è, in certi resoconti della stampa e purtroppo anche nelle parole del premier, una voluttà nel non riconoscere mai le ragioni della politica, della rappresentanza degli interessi, della dialettica tra i partiti che prescinde dalle reali colpe dei politici. I molti meriti di Draghi e i limiti oggettivi dell’attuale rappresentanza parlamentare non possono essere negati. Tuttavia ciò non è sufficiente a rendere accettabile il commissariamento di fatto della vita politica o a rendere sostenibile un metodo di governo fondato sulle minacce e le sfuriate. Saranno i fatti a dimostrarlo, prima che gli articoli degli opinionisti, se si continua così. Scherza col fuoco chi mette i bastoni tra le ruote a un presidente del consiglio come Draghi, ma scherza col fuoco anche chi pretende di governare contro il Parlamento.

Draghi parla in aula, il suo tributo alla politica

Pubblicato su Il Foglio

Le fanfare trionfanti che lo accompagnano da fuori, il profilo bassissimo che trasmette. Saranno tutte quelle mascherine e tutto quel nero e quei ministri e ministre indistinguibili, sarà che è un governo “senza aggettivi”. Si insedia un Draghi descritto come un supereroe, “l’italiano più autorevole nel mondo!”, si presenta un Draghi ancora senza volto.

Cos’è questo governo “repubblicano” (embè)? È l’esordio quasi umile, “la durata dei governi in Italia è stata mediamente breve”, o è il programma di legislatura, ancorché su diversi punti accademico e vago, che Draghi elenca con eleganza? È il governo dell’emergenza o il governo di una Nuova Ricostruzione, che paragonandosi a quello nato alla fine della guerra si dà il vertiginoso obiettivo di costruire una vera nuova sintesi senza comprimere le identità politiche?

Avete detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica – dice Draghi – e non è vero: nessuno deve fare passi indietro. (Apperò, è dalla sera che Mattarella è uscito alla Vetrata che ci spiegano che è successo per via “della crisi di sistema”). Finisce che Draghi ha un piano per la sanità che sembra quello di Speranza (che infatti è rimasto ministro), un piano per l’ambiente che sembra quello di papa Francesco, che sul Recovery il governo di prima ha fatto un grande lavoro che non sarà stravolto, che vuole proteggere i lavoratori e per fortuna il governo di prima ha lavorato per ridurre le disuguaglianze, e niente Mes, nemmeno nominato.

E alla fine è proprio un peccato che debbano tenere tutti la mascherina. Perché certe facce sarebbe stato divertente vederle, e certe altre facce si sarebbe dimostrato che non ci sono più: perse.