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Aridatece Fanfani. Non regalate i cattolici alla destra

Non che mi convinca del tutto l’intervista di Beppe Vacca sul Corriere di oggi, anzi. Tuttavia penso che certi turborenziani pronti a ricondurre qualsiasi obiezione alle unioni civili alla caricatura-Scilipoti e a buttare tutti gli argomenti in un unico minestrone di politica e tifoseria la dovrebbero meditare, insieme all’editoriale di Aldo Cazzullo, sempre sul Corriere. E riflettere, e poi magari dirci, se per caso – proprio loro che da giovani andavano al Family day e proprio nell’era di un papa come Francesco – non vogliano riportare l’Italia agli anni ’50.

O meglio, per la verità regalare i cattolici alla destra in Italia nemmeno negli anni ’50 era successo, a dirla tutta. Che almeno Fanfani qualche buona riforma sociale di sinistra l’ha fatta.

Se ci vedesse Berlinguer

Chiacchieravo poco fa con amici provenienti dalla filiera Pci, per via di percorsi personali o ascendenze familiari, di questa ondata di commozione e di devozione quasi, di questa bellissima festa che è in corso sui social in memoria di Enrico Berlinguer; e m’è tornato in mente un episodio che mi raccontò anni fa un noto ministro con la barba di cui non farò il nome (non è Delrio). Negli anni Ottanta, dunque, un gruppo di giovani della sinistra Dc fondarono una rivista settimanale. In onore di Zaccagnini, loro riferimento politico, decisero di chiamarla “Settantasei” (l’anno in cui Zac era diventato segretario). Quando Zaccagnini lo seppe, si incazzò moltissimo e disse che lui detestava questi “eccessi di personalizzazione”.
Non so bene che associazione di idee ho fatto. Ma è che quest’anno ci sono tanti anniversari, e io ho molto tempo libero. L’altro giorno sono stata alla presentazione della bellissima biografia di Piersanti Mattarella scritta dal mio amico Giovanni Grasso, ieri ero alla presentazione del francobollo commemorativo voluto dal governo su Berlinguer, e Beppe Vacca ha detto che a quanto pare Berlinguer è un’icona social: nel senso la sua foto è l’immagine politica più postata sui social network (subito dopo, Gramsci e Pertini). “E questo qualcosa vorrà dire”, ha detto. Già, ma cosa?
In quel momento ho avuto una sensazione, una sensazione che mi viene spesso ultimamente, non so se l’avete presente. È come se sentissi che siamo lì, commossi, a celebrare una politica che rimpiangiamo tanto. E che se oggi qualcuno la facesse, sarebbe sommerso dai pernacchioni.

Conversazione con Beppe Vacca sulla Dc

Parlare della Dc nella storia d’Italia non è diverso che parlare con lui del Pci. Anche se l’intervista fosse su Togliatti, lui parlerebbe di De Gasperi, e viceversa. In un tutto che non è sincretismo o semplificazione: ma è l’Italia, vista da Beppe Vacca. Il direttore dell’Istituto Gramsci ha una lettura “forte” della storia di questo paese. Maturata, e non manca di ricordarlo, insieme a Pietro Scoppola nel corso di quella che fu una vera alleanza accademica – e di una grande amicizia – nate a metà degli anni Settanta. Prima di cominciare mette idealmente in fila i libri che considera fondamentali sul tema: “La proposta politica di De Gasperi”, di Scoppola, “l’Italia dal 1943 al 1992” di Roberto Gualtieri e “L’impossibile egemonia” di Silvio Pons”. “E poi c’è Giovagnoli. Naturalmente io cominciai a studiare la Dc usando la categoria dell’egemonia – spiega –. Per noi la storia è storia politica, analisi dei processi decisionali, come si dice nella cultura anglosassone, o se volete appunto dei rapporti di forza”. Continua a leggere

Incontro con Beppe Vacca

Intervista a Beppe Vacca, presidente della Fondazione Gramsci.