2011, un anno sulla rete

Ogni giorno che passa la rete offre nuove opportunità a chi fa comunicazione. Per noi di Youdem il 2011 – l’anno del boom di twitter, della crisi del “miracolo” wikipedia, dell’irrompere delle notizie nate sui social network nei media tradizionali – è stato pieno di novità e di stimoli. Restiamo una televisione satellitare, ma sempre più dalla rete raccogliamo idee e usiamo la rete per far viaggiare, in pillole, le idee che produciamo. Da ultimo, con l’esperimento del “Diario della manovra”, utilizzando il software Storify, abbiamo provato a integrare tutte le risorse che una grande piattaforma digitale – probabilmente la più grande nel suo genere, in Italia e non solo – come quella del Pd può offrire: i video di Youdem, i materiali del sito, i tweet dei parlamentari. Bilancio positivo: abbiamo fatto informazione in modo nuovo e utile allo scopo, che era di raccontare con assoluta trasparenza il lavoro del Pd in parlamento sul decreto Salvaitalia. Da ripetere.

Comincio così, perché non credo di essere la persona più autorevole per parlare di internet e informazione nel 2011: non ho in materia competenze particolari, se non un po’ di esperienza “sul campo”, ed è questo l’unico titolo che ho per parlare. Altri meglio di me potrebbero raccontare il fenomeno straordinario delle rivoluzioni e dei movimenti nati attraverso la rete nel mondo arabo e più recentemente anche in Russia, del ruolo politico assunto dai blogger in quei paesi, del ruolo dei social network nell’affermarsi dei nuovi grandi movimenti sorti come ribellione ai meccanismi della finanza nei paesi occidentali più colpiti dalla crisi economica globale; e del legame sotterraneo che tiene insieme tutte queste cose, facendone probabilmente aspetti diversi di un unico grande fatto globale.

Ma anche da un piccolo osservatorio si può provare a ragionare sui grandi fenomeni, o almeno a porsi le domande giuste, ed è questo che cercherò di fare. Per esempio: la differenza tra conoscenza e informazione. Internet ti dà l’illusione di sapere – o poter sapere – tutto. Twitter aggiunge quella di sapere non solo tutto, ma anche subito. Niente mediazioni, nessuna spesa, decido io da chi voglio sapere e di chi mi posso fidare. Non servono più i giornali, forse nemmeno i libri. Va da sé che non è proprio così, anche se poi internet non fornisce solo esempi di clamorosi errori, ma anche di portentose possibilità di autocontrollo e autocorrezione, forse superiori quelli dei media tradizionali. Per molti errori che diventano indelebili nella memoria collettiva della rete, aumentano anche i casi di bufale rapidamente smascherate. E là dove un compassato quotidiano pubblicherebbe una microsmentita e un titolino nella pagina delle lettere, la rete chiede pubbliche contrizioni e somministra plateali sberleffi.

Ricordate Spidertruman, il precario di Montecitorio? Era la metà di luglio. Durante quel caldo fine settimana d’estate, prima sulla rete e poi sui giornali esplose il fenomeno dell’ex portaborse di un deputato, “licenziato dopo 15 anni”, pronto a rivelare “i segreti della casta”. Piatto ghiottissimo, e infatti i giornali ci si fiondarono, dedicando  aperture alle clamorose rivelazioni. I “like” sulla pagina facebook del precario senza volto, “l’Assange italiano”, crescevano a ritmo di 10-15.000 all’ora e arrivarono a 350.000. Ma nel giro di poche ore gli anticorpi della rete si attivarono. Ricordo un paio di pezzi del sito www.valigiablu.it, veri capolavori di onestà intellettuale e buon giornalismo: intanto, l’Assange italiano era anonimo, cioè nessuno aveva notizie certe sulla sua identità e attendibilità. Poi, dichiaratamente, parlava e agiva per vendetta (“e se ti avessero assunto? la questione morale ti sarebbe stata ugualmente a cuore? e perché in questi 15 anni sei stato zitto?”). Infine, le “rivelazioni”: boiate pazzesche, peraltro facilmente verificabili, tipo l’affermazione che i barbieri della camera guadagnano 11.000 euro al mese, oppure roba già scritta e risaputa, attinta a piene mani da un classico del genere come il libro eponimo di Rizzo e Stella o dall’archivio di Repubblica e Corriere. E un’abilità assai sospetta, da parte di quello che si dichiarava “un blogger per caso”, nel fare movimento e dar battaglia sulla rete. In pochi giorni fu evidente, e venne ammesso anche pubblicamente dal portavoce dell’Italia dei valori, che si era trattato di un’operazione di “marketing politico”, legata a un’iniziativa che sarebbe stata assunta da quel partito: in pratica, il lancio di una manifestazione. Spidertruman, insomma, non esisteva, anzi (eufemismo dei suoi creatori), era “un’entità collettiva”; e non aveva neanche niente da dire: infatti rivendicava come un merito quello di aver detto non tanto cose nuove, ma cose che per quanto risapute erano meritevoli di esser dette in quanto “vere”. Lo smascheramento di Spidertruman fu un riscatto della rete, anche se ancora oggi i barbieri della camera devono mostrare la busta paga ai vecchi amici, perché credano che quella storia degli 11.000 euro non è vera. (I giornali tradizionali si dimostrarono assai più creduloni, e oltretutto dopo aver dedicato fiumi d’inchiostro al nuovo Assange, si voltarono disinvoltamente dall’altra parte relegando la notizia della mezza bufala in qualche trafiletto. Noblesse oblige).

Resta il fatto che senza conoscenza, cioè senza i mezzi per decifrare le informazioni, senza quel quid che ti fa insospettire, senza un metodo mentale che ti porti a verificare, – cioè senza un po’ di cultura, e anche senza un po’ di giornalismo – l’accesso alla rete rischia di mettere le persone in condizione di essere abbindolate dal primo efficace comunicatore che passa, oltretutto illudendosi di essere stati loro a scegliere da chi informarsi, il che fa di ogni fonte una fonte credibile. E a questo probabilmente non è estraneo un crescente radicalizzarsi delle opinioni politiche e più in generale dell’approccio ai problemi della comunità: tendenze probabilmente destinate a non scomparire in fretta. E questa era la prima riflessione.

L’altra è legata al boom dei social network, quest’anno di twitter in particolare. Ma anche facebook ha giocato da protagonista, basti pensare alla fantastica campagna “dal basso” che ha trascinato Giuliano Pisapia sulla poltrona di sindaco di Milano: mentre Letizia Moratti andava a schiantarsi sugli scogli di Sucate, lo staff del candidato di centrosinistra si dimostrava meravigliosamente capace di intercettare il movimento “arancione” e civico pro-Pisapia, amplificandolo sapientemente e adattando la propria comunicazione ad esso, senza ingabbiarlo né etichettarlo. Tormentoni come quello “tutta colpa di Pisapia” o “se vincerà Pisapia” con seguito di catastrofi, sfruttando errori e goffaggini dell’avversaria (e del suo principale sponsor, Berlusconi), hanno prima divertito e poi coinvolto mezza Italia, e hanno contribuito a creare a Milano un clima di fiducia e simpatia più largo del bacino di consensi originario intorno al candidato outsider. Che la sinistra sia costituzionalmente più a suo agio della destra col “social”, magari in virtù di un po’ più di abitudine alla polifonia e alla, diciamo, coralità? Che quello che fin qui è stato un handicap possa avviarsi a diventare una risorsa? Pensiamoci.

Intanto, con professionalità e fantasia, diversi parlamentari (pioniere Andrea Sarubbi del Pd, già giornalista televisivo) hanno cominciato a informare i loro contatti su quanto avviene in parlamento. L’hashtag #opencamera (ma ora c’è anche #opensenato) ha fatto tendenza, e si avvia a diventare un protagonista della comunicazione della politica e sulla politica. È una sfida anche al giornalismo, che da anni ha smesso di raccontare la scena puntando tutto sul retroscena, tanto che di quello che accadeva nelle aule parlamentari non abbiamo saputo più nulla, mentre sapevamo tutto di cosa si diceva fuori, nel corridoio del Transatlantico. I fatti sono tornati ad avere qualche attenzione a scapito delle mitiche “indiscrezioni” (non diciamo prevalere per non sembrare ingenui e ottimisti), il limite dei 140 caratteri ha reso inveterati “culi di pietra” dell’aula degli strepitosi titolisti. Insomma, tutto molto bello. Con qualche domanda, però: fino a che punto arriva cioè il diritto/dovere di informare i propri elettori da parte di un politico? C’è un limite, legato al rispetto delle istituzioni e al proprio stesso ruolo istituzionale? Non è certo il caso dell’aula della camera, perché le sedute del parlamento sono pubbliche, anche se c’è un divieto antico di scattare foto e fare riprese, un divieto che a chi entra in parlamento con un normalissimo telefonino di nuova generazione sembra arcaico: lo è? o il diritto/dovere di informare può dare a volte ragione di infrangerlo? Recente il caso limite delle confidenze di Antonio Razzi sul proprio interesse per il vitalizio a un collega dell’Italia dei valori, Francesco Barbato, dotato di telecamerina nascosta, in pieno emiciclo della camera. Confidenze finite poi in tv, nella trasmissione Gli Intoccabili su La7, insieme a un Barbato orgoglioso dello scoop e degli acquisiti meriti anticasta. Tutto lecito, benché in violazione delle regole? Intendevo denunciare un reato, risponde Barbato. Peccato che per farlo sia adato in tv, non dai magistrati.

Ma il punto è dove e quando ci si ferma. Giorni fa, mentre il nuovo presidente del consiglio Mario Monti illustrava la manovra ai rappresentanti degli enti locali, il sindaco di Bari Michele Emiliano twittava tutto il suo scetticismo sulla politica del governo. Efficacissimo, brillantissimo. Ma si trattava di un incontro istituzionale e riservato, cui sarebbe seguita una conferenza stampa ufficiale. Raccontare un incontro di quel genere mentre è in corso cosa aggiunge a quello che se ne dirà appena terminato? È trasparenza? È rispetto delle istituzioni? È, semplicemente, buona educazione?

Ultimo punto: il 2011 è stato l’anno di nascita di diverse nuove testate on line: tra queste, ricordo anche l’esperimento riuscito di Tamtàm democratico, il mensile di cultura politica del Pd. Il governo Monti, che ha ulteriormente tagliato il fondo per l’editoria già più volte decurtato in questi anni, ha rinviato a una prossima ristrutturazione del settore che porti le testate più piccole ad abbandonare le edicole in favore della rete. Prospettiva giusta, su cui riflettere: la rete è il futuro. Senza illusioni, però. È bene sapere che in nessun modo i giornali on line garantiranno i posti di lavoro dei giornalisti e di tutti i lavoratori del settore, e questo lo sa chiunque abbia mai sperimentato la scrittura anche di una sola riga per la rete. Non usiamo internet in modo ideologico, come parolina magica per non fare i conti con la realtà, perché davanti a noi ci sono problemi che sono tutt’altro che virtuali.

 scritto per la rivista Res, n. 5/6 2012

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *


*