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“Uh quanti giovani”: riflessione controcorrente sulla campagna elettorale

Una delle osservazioni più scontate che ti fanno quando pubblichi sui social la foto di qualche iniziativa elettorale è: ma son tutti vecchi! (non manca ovviamente la versione original-spiritosissima: “uh quanti giovani!”). Del resto sono anni che nel discorso pubblico italiano essere giovani viene considerato un pregio in sé, nonostante notevoli evidenze del contrario.

Ora, premesso che è vero che alle iniziative di campagna elettorale (di tutti i partiti in genere, Movimento Cinque Stelle unica parziale eccezione, non certo solo del mio) in genere i giovani non ci vanno in massa, e premesso anche che gli anziani votano, e il loro voto vale uno come quello dei giovani per cui non capisco cosa ci sia da schifarli tanto, vorrei far notare pacatamente una cosa.

L’altro giorno ero a Livorno con Bersani per la campagna elettorale di Articolo Uno e della coalizione di centrosinistra. Ho postato una foto della platea e naturalmente subito qualcuno ha commentato “uh quanti giovani!”. Ho spiegato con qualche soddisfazione che a Livorno il programma prevedeva che dopo l’iniziativa del pomeriggio Bersani la sera incontrasse i giovani in birreria: e la sera la birreria Ribello Gallo era strapiena, e i ragazzi sono andati avanti più di due ore a fargli domande, a riprova del fatto che se li cerchi dove ci sono, e soprattutto se hai qualcosa da dirgli, ai giovani la campagna elettorale interessa eccome.

Ma poi siccome sono un po’ tignosa ho chiesto a Marco Chimenti, il nostro coordinatore provinciale: qual è l’età media degli abitanti di Livorno? E lui mi ha risposto: “Cinquantacinque anni”.

E così io, che sono una rompiscatole, ho pensato chissà se dovremmo stamparceli con la stampante 3D, i giovani, per far contenti certi argutissimi critici. Che continuano a fare scelte politiche, e a giudicare la politica, avendo in mente un’Italia che semplicemente non esiste.

Riflessioni su un “voto locale”. E un segretario in vacanza

Insomma, “è un voto locale”. Sarebbe bello rileggersi i commenti dei renziani quando nel 2012 il Pd vinse pressoché dappertutto ma perse Parma. “Parma oscura tutto il resto”, dettò la linea Debora Serracchiani. E Matteo Renzi ne approfittò per ribadire che bisognava assolutamente fare le primarie per scalzare Bersani prima della fine del mandato, perché Bersani “ci fa perdere”. Cinque anni dopo, invece, il voto è locale. Anche Genova, anche l’astensionismo da record, anche la destra in rimonta: è tutto locale. E chi dice il contrario, si capisce “vuole usare il voto contro di me”, l’infingardo. Mentre lui, Matteo, sta meritatamente in vacanza. Mica si vota a Firenze, è un voto locale. E poi, astuto, sa bene una cosa: che vedere lui in piazza a far campagna rischierebbe di motivare gli elettori dei partiti avversari. Un concetto che sfuggiva a un ingenuo come De Gasperi, a un Mitterrand, a un Barack Obama: tutta gente che, stolidamente, passava le campagne elettorali a far comizi. Senza rendersi conto del rischio che correva. E solo per un caso inspiegabile questi ultimi, ciononostante, qualche volta hanno vinto. Continua a leggere