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La politica come parodia della politica

Questo week end ho fatto un sacco di chilometri e tantissime cose, mo’ non ve le sto a raccontare tutte ma per brevità vi dirò: guardate Gazebo. Dovreste guardarlo sempre eh, ma domenica sera Gazebo era folgorante. Non perché fosse la puntata più bella che hanno fatto, assolutamente. Ma perché era una fotografia dell’Italia. Della politica e del giornalismo politico in Italia oggi. La cui parola chiave, quella che spiega tutto, è: parodia.

Pensate alle Gazebarie. Già dal nome è una parodia delle primarie no? Una cosa da ridere, via. E infatti quello erano le Gazebarie di Bertolaso: una consultazione su un solo candidato (“volete voi confermare”, eccetera eccetera), oltretutto un candidato manco tanto sicuro di esserlo (la sera stessa ne è venuto fuori un altro, anzi un’altra); un’iniziativa propagandistica che simula un meccanismo elettorale; un set per leader politici che mimano il gesto di votare; un plebiscito in favore di telecamere. Ecco, le telecamere. Guardate Gazebo anche per questo, per il circo mediatico. Una bolgia infernale e urlante che rischia l’osso del collo per un frame di Berlusconi che mette la finta scheda nella finta urna; uno strillare domande a casaccio cercando di scansare il telefonino di Gasparri che fa le foto per twitter; un riportare i dati farlocchissimi sull’affluenza “già altissima alle 9 e 30 a Mezzocamino”, quando è evidente che ai seggi c’è solo mezzo gruppo parlamentare di Forza Italia che si sposta per fare da set agli arrivi del macchinone di Berlusconi. “Hanno votato in cinquantamila!”, ha sparato la propaganda forzista alla fine di due giorni di “votazioni” senza competizione, senza registrazione dei votanti, senza osservatori, senza richiesta di documenti. Hanno votato in cinquantamila, hanno riportato i mass media, al massimo strizzando l’occhio per far capire tra le righe che sì, vabbè, mica ci crediamo, ma questo è il dato che ci comunicano. Continua a leggere

I fiori di Ambra e gli spintoni a Fassina

aNo, guardate. L’aggressione a Stefano Fassina da parte degli operai dell’Alcoa non è la prova che il Pd non sa intercettare il malessere sociale e nemmeno, come ha subito scritto Gad Lerner, della sua debolezza. Quegli spintoni, gesto deprecabile che va condannato sempre, sono una prova di forza, e la reazione del responsabile economico del Pd lo conferma. In quel corteo, prima di tutto, bisognava esserci, Fassina c’era e c’è restato, condannando i gesti violenti, circoscrivendoli senza generalizzare, confermando che il Pd ascolta i lavoratori e li sostiene pur essendosi dovuto assumere responsabilità non sue. Tracce degli altri partiti? Nessuna. Tecnici? Per carità. Quegli operai Fassina lo conoscono perché è già stato in Sardegna da loro, e c’è da scommettere che ci tornerà. Questa è la politica, questo è il senso di un partito che mette la faccia e le gambe dentro i problemi e i drammi della società, anche quando non ha la bacchetta magica per risolverli, il gesto eclatante per farsi applaudire, l’ideona per sbalordire i giornalisti. Chi non capisce questo non capisce niente del Pd.
C’è il giorno per prendere in braccio la bambina Ambra e c’è il giorno per prendersi uno sputo da un operaio sardo. La politica è questo, non un insieme di trovate e passerelle. E di questo, non di quell’altra roba, ha bisogno l’Italia arrabbiata e sofferente che aspetta che qualcuno si assuma la responsabilità di affrontare i suoi problemi dopo il governo che ha mandato a casa Berlusconi.

Aggiornamento: pare che l’aggressore sia stato fermato dalla polizia, e che non fosse un operaio dell’Alcoa. Bene. Oddio, forse bene. Sarebbe interessante capire meglio.