La sindrome di Pellè e il Pd accecato dal suo storytelling

Oggi sul quotidiano Il Dubbio

Tutti i partiti finiscono per somigliare al loro leader. Il Pd è diventato prigioniero, come il suo segretario, dello strumento che ha imparato a maneggiare con tanta abilità, la comunicazione. Drogato di storytelling, non riesce più a pensare ad altro; invece di leggere la realtà, si chiede come raccontarla; ma soprattutto – dramma vero – non riesce a percepire l’effetto che fa il modo in cui si rappresenta, la distanza tra le parole che usa e l’effetto che fanno. La sconfitta del Pd avviene così, paradossalmente, proprio sul terreno della comunicazione. Qualche esempio. 

1. La sindrome di Pellè. Non è vietato fare lo sbruffone, a patto che poi metti dentro il rigore. Se invece minacci il cucchiaio e lo sbagli, fai la figura del… di Pellè, insomma. È una regola generale, non è colpa di nessuno. Però devi saperlo, che dopo le tue sbruffonate non saranno mai più come prima. Per cui evita di metterti nei guai, o almeno tieniti pronto a cambiare tono. Dopo una sconfitta non puoi parlare come se avessi vinto. Niente: Renzi ieri ha lungamente spiegato agli elettori che hanno voltato le spalle al Pd che non hanno capito niente, perché il Pd le ha fatte tutte giuste. Affermazioni, per usare una parola cara al premier, abbastanza lunari.

2. “Finita la stagione di chi abbatte i leader”. È il titolo, cioè la sintesi della relazione del segretario, che campeggiava sul sito unita.tv sopra lo schermo della diretta streaming durante la direzione. Concetto ribadito più volte nel dibattito. Ora, va bene tutto. Ma il Pd non può aspettarsi che la gente legga una frase come questa e non pensi: 1) ai 101 e a Bersani; 2) alla defenestrazione di Enrico Letta; 3) alla cacciata di Marino con le firme dal notaio. Veramente al Nazareno pensano che gli elettori, almeno quella parte – consistente – che non va più a votare o vota altro, abbiano dimenticato? Che basti un bel titolo per evitare di rendere conto, prima o poi, se davvero si vuole ripartire come “comunità politica”, di scelte che hanno avuto conseguenze laceranti? Davvero non si rendono conto che certe affermazioni non fanno che ricordare quelle scelte e il fatto che non si è mai neanche tentato di sanare quelle ferite?

3. Non abbastanza. Refrain di molti interventi, relazione compresa: “non abbiamo cambiato abbastanza”; “non abbiamo spiegato abbastanza”; “non abbiamo comunicato abbastanza”. Anche qui: realmente il Pd pensa che si possa dire agli italiani che ha perso le elezioni perché gli è mancata la possibilità, o la volontà, di comunicare? Di essere stato in questi anni troppo poco renziano? O che le critiche sempre inascoltate (e col senno di poi – se non con quello di prima – anche piuttosto fondate) della minoranza sul jobs act, sulla scuola o sull’Italicum abbiano disturbato la propaganda governativa al punto da far scappare centinaia di migliaia di elettori?

4. “Devi fidarti dei compagni”. Deliziosa la citazione del film di Ken Loach “Il mio amico Eric”, in cui il geniale Cantona interpreta se stesso nelle vesti di un fantasma filosofo che appare a un fan disperato aiutandolo a ritrovare il senso della vita. Ma anche qui c’è un problema di credibilità: che effetto fa Renzi che sostiene che fare un assist è più bello che segnare un gol? Quando mai il segretario ha mostrato agli italiani un briciolo di generosità verso qualcuno dei “compagni”? Quando sfotte Franceschini come poltronista (cioè tutte le sante volte che c’è una riunione)? Quando irride la minoranza (cioè sempre tutte le sante volte)? Quando minaccia i parlamentari di scioglimento anticipato se non votano al referendum la sua riforma? Quando dice che userà il lanciafiamme? Quando scarica la sconfitta sui candidati sindaci? E, Renzi, si è mai fidato dei compagni? Quelli che suggerivano di evitare di mettersi contro il mondo della scuola, di non cercare lo scontro coi sindacati, di evitare rotture a sinistra, di fare un’altra legge elettorale?

5. Basta con le correnti. Lo hanno detto: Renzi, il capo dei renziani; Orfini, il capo dei Giovani Turchi; Franceschini, il capo di Areadem; Fassino sul Corriere (spiegando che lui va a cena con Franceschini perché “ha condiviso un percorso”, però “non sto in una corrente”). No, no.

6. Bambolina. Ok, la gaffe è di De Luca e la Boschi ha preso le distanze. Però che brutte le risatine in platea. E che brutto che nessuno dalla presidenza, magari una vicesegretaria, abbia interrotto il presidente della Campania per dissociarsi subito. Ma il punto non è sessista, è politico. Va benissimo criticare il fatto che a Roma non c’è ancora la giunta, ma bisogna decidere con chi prendersela: con la Raggi o con chi la ostacola? Tra un sindaco eletto da (molti) cittadini e un partito che vuole condizionarne le scelte da che parte sta il Pd? Continuare a sghignazzare su Virginia l’incapace è un po’ da gufi rosiconi, temo. A proposito, voi come definireste gente che si fa asfaltare da una bambolina?

 

3 Responses to La sindrome di Pellè e il Pd accecato dal suo storytelling

  1. Io credo che a Chiara Geloni stare in minoranza faccia bene.
    Un’altra analista, un’altra penna rispetto a quando il segretario era Bersani, che sbagliava spesso, e lei lo difendeva, spesso, con dei carpiati e delle contorsioni degni di miglior causa (anche se va detto, perchè è giusto, che non è mai venuta meno a un’educazione e a un senso di rispetto che i renziani non hanno mai mostrato e non mostreranno mai; oltre che anche a un linguaggio quantomeno espresso in un italiano godibile, corretto, scevro da quegli insopportabili inglesismi e da quelle vomitevoli battutine che fanno ridere solo loro).

    Insomma, condivido quasi tutto, se non tutto.
    Se mai dovesse tornare Bersani, o uno di quell’area (e mi tocca auspicarlo, a questo punto, ora che non voto più il pd) rivolgo un modestissimo invito alla Chiara Geloni: non perda il senso critico, o almeno la voglia di esercitarlo.
    Farà bene al partito (e questo è sicuro) e farà bene anche a lei (e anche questo è sicuro).

    • chiarageloni

      Un po’ devo deluderti: Bersani lo difendo ancora 🙂
      Sempre ragionando con la mia testa, e in buon italiano. Grazie.

      • Purtroppo, la differenza che corre fra Bersani e Renzi è esattamente quella che corre fra il difendibile (che pure 9 volte su dieci fa incazzare) e l’indifendibile (che ormai non suscita nemmeno più rabbia)…

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