La politica è altrove. Così parlò Martinazzoli

“La politica è altrove, vi aspetteremo là”. Quello citato da Matteo Renzi a conclusione del suo discorso in senato mi sembrava, a orecchio, un Martinazzoli linguisticamente un po’ troppo sciatto. Perché poi io quel discorso alla camera del 28 aprile 1987 l’ho sentito citare tante di quelle volte che mi sembra quasi di saperlo a memoria. Fu un momento mitico: il capogruppo della Dc, con un finale a sorpresa, chiese (e sottolineo: “chiese”) ai deputati di non votare la fiducia al governo Fanfani. Insomma quel dibattito fu tutto tranne che un voto di fiducia scontato su un paio di mozioni bislacche, risolto in un comizio anche apprezzabile contro la “barbarie giustizialista” (ma soprattutto contro i grillini), un discorso che comunque non ha spiegato le ragioni politiche della scelta di Federica Guidi come ministro dell’Industria e il giudizio che oggi il premier, al di là degli aspetti giudiziari, dà di quella scelta. Finì, allora, che il Psi votò quella mozione di fiducia, la Dc no. Un gol al novantesimo, una specie di Roberto Baggio in Italia-Nigeria. La legislatura fu chiusa lì, le camere furono sciolte e si andò a votare. Già questo rende la citazione di Renzi un po’ bizzarra e fuori contesto.

Insomma sono andata a ricercare quel discorso. L’ho trovato talmente bello che l’ho copiato (era in un pdf degli archivi storici della camera) e ho deciso di pubblicarlo qui. Lascio giudicare a voi le differenze. La frase di Renzi al senato, testuale, è stata questa: “La politica è rispettare chi governa (!!!, ndr), non urlare costantemente, facendo un’opposizione costruttiva, preparandosi a governare la volta dopo, rispettandosi – cosa che abbiamo cercato di fare con il patto del Nazareno (!!!, ndr) – e non delegittimandosi vicendevolmente. L’Italia è altrove, la politica è altrove; quando avrete finito con le vostre sceneggiate televisive, noi vi aspetteremo là“. Il discorso di Martinazzoli, invece, eccolo (ho messo un po’ di parole in neretto così, a mio gusto. Se arrivate fino in fondo a leggere poi vi dico un’altra cosa):

Signor presidente, onorevoli colleghi, onorevole presidente del consiglio, il gruppo della Democrazia cristiana, con l’intervento dell’onorevole De Mita, ha espresso le proprie valutazioni e ha dato conto delle proprie determinazioni. Non c’è ora da aggiungere altro. Sono mancate infatti, a nostro avviso, nel confronto parlamentare, domande ulteriori meritevoli di adeguata riflessione. E non sono venute risposte che possano esigere una qualche correzione.

Si è consumata, per lo più, una ripetitiva ed esorbitante polemica. Confesso che, a proposito di tante e smisurate parole, non mi viene in mente niente. E sarà anche questo un segno di quella solitudine che andate denunciando con un’enfasi che soverchia di gran lunga la compunzione.

Noi stiamo in verità, con le nostre non volubili ragioni, con la nostra difficile ma doverosa coerenza. Non stiamo al gioco, insomma. E ci viene fatto di chiedere, piuttosto, se la vostra gremita ed esuberante compagnia sia, poi, così allegra e spensierata o se non avverta la nostalgia di qualche cosa di impegnativo che la rassicuri.

Io credo che la politica è altrove e che, prima o poi, dovrete tornarci. Noi vi aspettiamo lì. Per intanto, rimane una cosa sola da dire: onorevole presidente del consiglio, noi abbiamo ascoltato e apprezzato le sue dichiarazioni e la sua replica e le dobbiamo un tributo di affettuosa gratitudine anche per la lezione di coraggio e di stile offerta a quest’aula, che qualcuno vorrebbe trasformare in un’accademia di sofisti, che è impresa notevole, tanto più quando si accompagna all’invettiva contro Azzeccagarbugli. Ma che cosa è se non un sofisma l’idea di trasformare, quasi per sortilegio, l’eclisse di una maggioranza e il diniego di un’altra in un nuovo e definibile evento che potrebbe essere tutto tranne quell’autorevole, organica, motivata compattezza che lei, onorevole presidente, ritiene giustamente necessaria a sostegno di una operosa continuità del governo? Inchiodandolo su questo paradosso si riesce soltanto a rinnegare l’apprezzabile passato di un’alleanza che, malgrado tutto, ha futuro, a patto che le ragioni di una crisi si vogliano indagare e non addormentare per una sorta di grottesca anestesia. In ogni modo non siamo condiscendenti è proprio perché vogliamo che tornino i giorni della chiarezza non possiamo lavorare per l’oscurità.

Certo, ci inquietano tante improvvide parole, le minacce capziose, le allusioni ambigue ma sappiamo che c’è in giro sufficiente memoria e buon senso per ricordare, riconoscere e giudicare le intenzioni, i comportamenti e le responsabilità di ciascuno, nonché le parole, quelle di tutti i giorni, non quelle di un minuto; anche questo bizzarro finale di partita, poiché non si riscatta un copione scadente con un estremo colpo di teatro, o evocando la fantasiosa e leggermente estorsiva regia di Marco Pannella.

Noi abbiamo presentato una mozione di fiducia il cui senso, malgrado la concisione della formula, non può prestarsi a equivoci. Essa tratta della fiducia nel presidente del consiglio, dell’adesione alla sua analisi di congiuntura politica, del consenso alle conclusioni che ne ha tratto.

Abbiamo compiuto un gesto vero immaginando sensatamente di confrontarci con interlocutori veri. Poiché siamo condotti a constatare che le cose non stanno così e che non ci si vuole più paragonare su una misura di verità, non possiamo avere più dubbi sulla inesorabile esigenza di un gesto reciso. Non ci faremo imprigionare da una finzione. È dimostrabile che l’astuzia non è illimitata allo stesso modo che è legittimo sottrarsi a un inganno: se la commedia già mediocre è diventata intollerabile e rischiosa, conviene calare il sipario. Sono costretto perciò a chiedere ai deputati della Democrazia cristiana di astenersi dal voto sulla fiducia al governo.

Ecco, se siete arrivati fin qui vi meritate un’altra citazione. La devo a Francesco Nicodemo, ed è un bellissimo colloquio con Martinazzoli firmato da Giampaolo Pansa per Repubblica il giorno dopo quel discorso. Leggetelo, lentamente (ma quanto erano lunghi gli articoli una volta?). Oppure accontentatevi di queste due o tre pillole che vi regalo io qui in calce. E poi decidete se la politica è altrove, e dov’è.

Martedì mattina ero arrivato qui non avendo nessuna certezza di che cosa avrei dovuto dire… Cercavamo d’ interpretare i segnali che arrivavano dagli altri gruppi. Ancora lunedì notte non eravamo certi che i socialisti e il Psdi avrebbero assunto quella posizione che poi han preso“.

Intendo dire, la gente ha capito l’ astensione della Dc mentre Craxi, Nicolazzi e i radicali votavano per Fanfani? Martinazzoli ci pensa su, come chiuso in se stesso. Poi replica: “Ho il dovere di darle una risposta umile: io l’ ho capita, rispetto a quel gesto loro. Ma credo che sia stata capita anche più in là di noi, fuori di noi. Per questo continuo a pensare che, davvero, i giochetti, le astuzie e le trappole non possono essere troppi, sennò finisci col cascarci dentro”.

Prima della fine, Martinazzoli ha scritto l’ ultima parte della breve dichiarazione di voto: “La riga che m’ ha preso più tempo è stata quella conclusiva. Io non me la sentivo di dire ciò che di solito si dice in questi casi: il gruppo dc si astiene, ecc. ecc. C’ era un rischio a dir così. E se poi trovavi cinquanta dei nostri che facevano il contrario? Allora non ho imposto niente a nessuno. E non ho dato per scontato che tutti i nostri deputati si astenessero. Mi sono limitato a chiederglielo“. “Vede, sono qui da cinque mesi. Sono stati mesi molto belli, credo di aver costruito con i nostri deputati un rapporto intenso. Facciamo le cose insieme. Anche ieri m’ è sembrato corretto, giusto, bello, chiamarli singolarmente ad una loro responsabilità. Non dovevano ubbidire, per poi magari mugugnare. Eran liberi di decidere, dovevano decidere loro“.

“Impolitico è una qualità che mi piace. Io vorrei esserlo molto”. È curioso sentirlo affermare da un dirigente politico con le responsabilità che ha lei… “Perché? Vorrei essere impolitico in un senso preciso, di riuscire a non farmi imprigionare sino in fondo non dalle ragioni della politica, ma dai torti della politica, dalle sue faziosità o dalle sue parzialità eccessive. Anche la conclusione del mio intervento ha questo significato. Quelle parole contro l’ astuzia che non può essere illimitata, per me hanno molto senso”.

“Credo che ci sia un po’ di verità nella modernità socialista. E che ci sia un po’ di difficoltà nei grandi partiti come la Dc e il Pci. (…) Loro, i socialisti, hanno capito che una società complessa come la nostra non la interpreti con la pretesa d’ imporre un progetto organico. Dobbiamo apprezzarlo questo, anche per capire il rischio enorme che i socialisti ci fanno correre. Loro, ogni giorno, innalzano un vessillo. Loro inseguono la società, non la guidano. E qualche autocritica comincia ad esserci nel Psi. Si comincia a sentire qualcuno di loro che afferma: il nostro riformismo è soltanto un suono verbale. Per questo, mi sembra giusto dire che guidare una società complessa non è teorizzare dei processi, ma non è neppure inseguire tutte le mode. È più utile avere il senso del collegamento che ha da esserci tra le cose“.

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