Le primarie e il partito personale

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (il Tirreno, la Gazzetta di Mantova, il Mattino di Padova, il Piccolo, il Centro, la Gazzetta di Reggio, la Gazzetta di Modena, Alto Adige, il Trentino, il Messaggero Veneto, la Nuova Sardegna, la Nuova Venezia, la Città di Salerno e altri)

Torna il Renzi 1, basta mediazioni e basta primarie, ha tuonato ieri il premier su diversi quotidiani. Ora, non è chiaro cosa sia il Renzi 2. Tutte queste mediazioni, all’esterno, non si sono viste. Non quando si portava consapevolmente in aula, in anticipo sul calendario, una riforma elettorale che tutti sapevano avrebbe spaccato il Pd (e alla luce dei risultati dei ballottaggi forse si capisce meglio perché molti nel Pd consideravano pericoloso il doppio turno-roulette russa dell’Italicum). Non quando la si approvava con ben tre fiducie. Non quando si sostituivano in commissione, avvertendoli con un sms, una decina di deputati contrari alla riforma. Non quando si liquidavano con un’alzata di spalle le dimissioni di un capogruppo. Non quando si insisteva con una riforma della scuola sgraditissima a insegnanti e studenti. Non quando il governo si rifiutava perfino di ricevere ufficialmente i rappresentanti della protesta, demandando il compito ai dirigenti di partito e confezionava un video il cui messaggio agli insegnanti sostanzialmente era “non avete capito niente”. Insomma, non è chiaro rispetto a quali mollezze del Renzi 2 debba cambiare rotta il redivivo Renzi 1. Ma soprattutto, è davvero difficile immaginare il Renzi 1 che dice: “Ora basta primarie. Dipendesse da me, la loro stagione sarebbe finita”.

Non c’è dubbio che lo strumento primarie subisca una qualche usura e stanchezza, e che sul tema sia matura una riflessione. Lo è da tempo, anzi. Semmai quella riflessione è stata impedita, negli ultimi anni, dall’appropriarsi del tema da parte della comunicazione renziana. Impossibile proporre un qualche “tagliando”, cosa che pure prevedeva la mozione su cui Pierluigi Bersani aveva vinto il congresso del Pd, senza che si sollevasse nel partito la rivolta contro “l’apparato” che voleva “blindare” le primarie, che invece sono “vere” solo se totalmente, programmaticamente, spudoratamente “aperte”. Dopo che i sostenitori di Renzi avevano vissuto con insofferenza (e tentato di violare, come avvenne in occasione del secondo turno delle primarie del 2012) qualsiasi tipo di “regola” sulle primarie, dopo che però avevano preteso una modifica allo statuto per consentire primarie non previste in cui Renzi potesse portare la sua sfida per la leadership con slogan come “alle primarie si decide il futuro dell’Italia”, infine Renzi – vinte al secondo tentativo le primarie finalmente davvero “aperte” come da slogan scelto programmaticamente dai comunicatori renziani – ha utilizzato quel consenso per arrivare fino a palazzo Chigi e ha motivato con il classico “ce lo hanno chiesto i cittadini alle primarie” ogni sua successiva decisione. Si può cambiare idea nella vita, sempre, ma un leader politico non può cambiare linea così in un giorno e con un’intervista, senza segare il ramo su cui è seduto.
Le primarie, intendiamoci, a volte scelgono il candidato sbagliato. A volte sono inquinate e imbrogliate, e può capitare di doverle annullare (cosa che il Pd – nonostante molte e motivate segnalazioni – s’è rifiutato di fare in Liguria, e forse qualcuno a quella scelta dovrebbe ripensare). Altre volte ancora le primarie sconfessano clamorosamente le scelte dei partiti, come capitò a Milano con Pisapia, che non era il candidato “ufficiale” del Pd, eppure non si può dire che non si sia rivelato l’uomo giusto. Insomma, è una faccenda complicata da gestire. Il Pd invece ha dato l’impressione di non gestire proprio niente: e così le primarie sono diventate talmente “aperte” che si è visto di tutto: partiti di destra partecipare al voto, la Digos a fare indagini sui seggi, un candidato ineleggibile in trionfo. E adesso qual è il rimedio che si propone a questo pasticcio? Abolirle. Ma per sostituirle con cosa?
Si vince al centro, risponde Renzi, e per la prima volta non dà la colpa a chi ha scelto di andare a sinistra in Liguria, ma al clamoroso recupero di Toti: bene. Quindi, sembra concludere il premier, basta candidati di sinistra, come Casson. E però se chi è di destra alla fine preferisce sempre scegliere una proposta di destra minimamente credibile piuttosto che il Pd, allora forse è un azzardo disarmare totalmente il Pd rispetto all’elettorato di sinistra. Come dimostra proprio Pisapia, il Pd può vincere, anche in una realtà come Milano, quando invece si apre, fa rete, non si blinda come partito, si mette in gioco e magari anche di lato. Se invece si chiude, se si identifica con una sola persona, magari che fa la faccia rabbiosa e pretende di decidere tutto da sola, da Roma, sono guai. Attenzione, Renzi 1.

2 Responses to Le primarie e il partito personale

  1. Se si punta tutto sulla strategia e sulla comunicazione a discapito dei contenuti, anche il più bravo dei Re alla fine, si scoprirà che è nudo…..e lui non è nemmeno fra i più bravi…..

  2. Meno male che qualche intelligienza se ne accorge …meglio tardi che mai. Complimenti un bell’articolo, abbraccia abbraccia poi si stringe poco troviamogli una collocazione a questo ma anche al vecchio Pd. Le primarie che erano usuranti lo andavo dicendo fin dallo scontro Bersani-Renzi il resto è una bella presa in giro hanno rimediato almeno in parte gli elettori sia di destra che di sinistra( e non i partiti) che per reazione non hanno accettato il partito della nazione.

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