La sfida di Letta: un’altra narrazione

(questo post è stato scritto per Huffington post)

Non è detto che la vedremo mai combattere, perché in politica, come nella vita, è inutile pianificare, poi succede quello che deve succedere. Tuttavia, quella lanciata da Enrico Letta ieri sera in tv è una sfida. Una sfida al renzismo dominante, a “un conformismo che adesso va di moda”; e una sfida politica ma prima ancora culturale. Non è detto che funzioni, ma è un’ipotesi di superamento di una fase della sinistra italiana. Non è detto che si realizzi, ma è probabilmente la prima volta, dacché Matteo Renzi si è insediato prima al Nazareno e poi a palazzo Chigi, che qualcuno osa tentare. Merita quindi provare ad osservarla attentamente, questa possibile “narrazione alternativa”, ed esprimere qualche primo giudizio su come può funzionare. Cominciando da quella che sui giornali di oggi è “la notizia”, ma come vedremo non è la sola novità.

Le dimissioni da parlamentare

Non si può dire che in questa legislatura Letta si sia impegnato molto come deputato: prima aveva altro da fare, da un anno si fa vedere alla camera solo nelle grandi occasioni. Quella in cui lo si è visto di più, e di più si è fatto vedere, è stata l’elezione del presidente della Repubblica. Il suo rapporto con Sergio Mattarella è molto stretto, e lo ha lasciato capire ieri sera facendosi chiedere chi fosse stato informato delle dimissioni: il Quirinale sapeva, il Pd no. “La notizia” non è quindi che l’ex premier “ripari a Parigi” e se ne vada a fare una cosa che sicuramente lo stimola di più; non è certo la precisazione (un po’ goffa, demagogia probabilmente voluta ma forse un po’ forzata per il suo stile) che non prenderà la pensione (anche perché non ha l’età); e non è forse nemmeno la (pur sincera) affermazione che la politica non può essere un mestiere a vita e che non si può insegnare questo ai giovani senza darne l’esempio. In realtà con questa scelta Letta assume e ribalta lo schema di Renzi, quello che il premier ha usato per lanciare la sua sfida e vincerla nel Pd. Ora è lui, Enrico, l’extraparlamentare. Ora è lui, Enrico, quello che se ne va in giro per l’Italia a parlar d’altro, a presentare il suo libro. Ora è lui, con la sua scuola di politica, che parla ai giovani. Se funziona, questo “un po’ da dentro e un po’ da fuori”, significa che Enrico ha imparato bene la lezione di Matteo.

“Io detesto House of cards”

Questa frase, nell’Italia di oggi, è un vero programma politico, una vera affermazione di originalità. E Letta lo sa. Il suo messaggio è chiarissimo e coerente. Dal titolo del libro, “Andare insieme, andare lontano”, all’autorappresentazione (“io sono sereno”, e se fa ridere quando dico “sereno”, lo ridico: “i miei rapporti con Renzi sono sereni”), al messaggio politico più contingente “le riforme vanno fatte insieme, bisogna convincere, non dividere”, tutto concorre a posizionare il brand. E il brand è: “Io non considero la politica un’avventura individuale. Io non sono disposto a tutto per affermare me stesso”. E soprattutto: “Io non sono spregiudicato”. Questa è una linea alternativa al renzismo, non tanto perché Renzi sia più spregiudicato e ambizioso di Letta (probabilmente sì, ma meno di quanto Letta vuole far credere), ma perché Renzi quella spregiudicatezza la rivendica. E rivendica l’assertività, la spietatezza verso gli avversari, la capacità di manipolare la comunicazione. Mentre Letta (lo si vedrà anche nel libro) rivendica la politica come amicizia, avventura collettiva, restituzione ai giovani di quanto si è ricevuto dai padri (la scuola intitolata “alle politiche”, come diceva Nino Andreatta). Renzi è l’uomo degli strappi e della velocità, Letta è l’uomo che ambisce a “costruire le cattedrali” (altro titolo di un suo libro) e fa “l’elogio delle cose ben fatte”. Semmai qui tocca che Enrico impari a mentire un po’ meglio. Oppure decida di fare il candido fino in fondo e non menta; a Fazio che dice: “Detesta House of cards? Ma è la fiction preferita dal presidente del consiglio!” non può rispondere “non lo sapevo”, perché chi ascolta non ci casca. La risposta giusta era quella sincera: “Affari suoi, ma è allucinante che la proponga come modello da studiare nella formazione del partito”.

Parigi

Le relazioni internazionali sono un punto di forza di Letta. Va bene “vivrò del mio lavoro”, ma dirigere la scuola di affari internazionali di Parigi non è un lavoro qualsiasi e non verrebbe offerto a chiunque. Il suo prestigio all’estero, già alto, probabilmente crescerà ancora, regalandogli un curruculum che hanno in pochi in Italia. I renziani di ferro lo negano, ma Letta già un anno fa avrebbe potuto diventare presidente del consiglio europeo. Il governo italiano, con la solita visione muscolare dei rapporti, si oppose, in nome del diritto a “non farsi scegliere” i propri uomini; ma Letta, per il suo curriculum originale (è stato al vertice dei giovani popolari europei e vent’anni dopo è stato un premier che andava ai vertici del Pse, senza che nessuno lo possa accusare di trasformismo) era un nome che avrebbe messo d’accordo popolari e socialisti. Già adesso, nella drammatica giornata della più grande strage di migranti, Letta e Renzi parlano con due linguaggi molto diversi. Il premier reclama “l’Europa ci aiuti”, l’ex premier chiede l’applicazione di un trattato europeo, quello di Dublino. Inoltre Renzi è in difesa su Triton, mentre Letta rivendica con orgoglio Mare nostrum. Se il prestigio europeo e internazionale del premier italiano cominciasse a declinare, Letta sarebbe nelle condizioni per approfittarne splendidamente. In un certo senso non c’è scelta più politica di questo “ma sì, ho trovato un lavoretto a Parigi e lo farò per un po’”. Significa posizionarsi e rafforzarsi sul terreno più favorevole. Ottima scelta.

Never walk alone

L’inno dei tifosi del Liverpool gli piace tantissimo e l’aveva già citato da premier (“Guglielmo, you’ll never walk alone” fu il suo buon lavoro al nuovo segretario Epifani appena eletto all’assemblea del Pd). Qui però c’è un punto debole della narrazione lettiana: perché “gli amici di Enrico”, quelli che sono stati tali nel Pd in questi due decenni, da ultimo si sono, purtroppo per lui, repentinamente dispersi. In parlamento oggi i “lettiani” li conti con una mano sola. Forse in passato Enrico ha predicato ai suoi un nuovismo in cui il renzismo non poteva non fare breccia. Forse il post ideologismo vedroide non aveva sufficienti anticorpi contro le ambizioni del partito della nazione. Forse insomma Letta s’è un po’ pentito di qualche scelta del vecchio Letta. E però il nuovo Letta non può avere senso se è da solo: qualcuno con cui camminare è necessario per “andare lontano”. Qui dunque Enrico può inciampare. Oppure può cominciare tutto da capo, e farcela; anche perché probabilmente ricominciare da capo è l’unico modo di farcela.

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