De Gregori, guarda che non sono io

“Europa” mi ha chiesto un articolo “da fan” sull’intervista di De Gregori al Corriere. Lo potete leggere anche qui 

Guarda che non sono io, Francesco, la sinistra di cui ti sei stufato. Guarda che io di quello che hai detto al Corriere non c’è praticamente niente che non condivido. Non c’entra che tu sei probabilmente l’ultimo leader della sinistra, uno che se fa un’intervista se ne parla per un giorno intero, e ricordando quel che disse quell’altra volta nel 2007 che fece un’intervista, roba che ormai D’Alema e Veltroni se lo sognano. Non c’entra nemmeno che tu sia il sessantenne più figo del mondo, né che ci sei rimasto ormai quasi solo tu, a essere uno di cui noi ragazze pensiamo “che posso farci se mi fai sognare”. Non c’entra che sia un mondo talmente di pazzi che ormai quando tu dici o fai qualcosa mi chiamano i colleghi e mi scrivono i lettori del blog per chiedermi un commento (potresti anche avvisarmi eh, che ieri avevo degli impegni e alle nove già avevo il cellulare mezzo scarico). E se anche tu ci hai magistralmente rotto il gioco spiegandoci, come sempre peraltro avevamo sospettato, che appunto se crediamo di conoscerti non è un problema tuo, sappi che non ti libererai di noi neanche questa volta. Noi tuoi fans di sinistra. Noi che non ci voti più.

Guarda che non sono io. Non mi commuovo per lo slow food e non strizzo l’occhio ai no tav, lo sai benissimo. Piste ciclabili, politicamente corretto, prendere la tessera e poi stracciarla, spiritosaggini, “dì qualcosa di sinistra”, le anime belle, l’inciucio: io non c’entro niente con questa roba. E lo so con chi ce l’avevi quando hai detto che non capisci quelli che strizzano l’occhio ai no tav per fare scouting tra i grillini, e lo so benissimo anche con chi non ce l’avevi, anche se qualcuno – compresi i titolisti e quelli che scelgono le foto al Corriere – ha provato a far finta di capire un’altra cosa. So chi sono quelli che ci hanno stressato la vita con le domande su Noemi, e sapessi quante ne potrei raccontare anch’io su certi strateghi dei post-it e teorici del “regime” e della via giudiziaria alla vittoria. E neanche a me, come a te, piacciono la retorica della rottamazione e i leader salvifici a scatola chiusa. Che magari “avrebbero anche vinto”, e però “non basta promettere bene e saper comunicare” per convincere gente come noi.

(Semmai quella storia della “costituzione più bella del mondo” mi va giù un po’ male. Perché l’abbiamo difesa tante volte insieme, con Scalfaro, con altri. C’eri anche tu, ricordi, a piazza San Giovanni quella volta dei girotondi, e m’hai fatto pure quasi piangere. Ma ora non vorrei darti l’idea che sto qui a recriminare).

Il problema non è tanto che non ci voti più, Francesco: che secondo come va a finire qua, potrei non “votarci più” nemmeno io. Il problema è un altro: è che non ci hai votato. Ok, Monti alla camera e Bersani al senato (ma Bersani era candidato alla camera eh?), però è evidente che qualcosa non è andato. Mica lo dico per polemica, che lo so che mi perdoni per avermi tradita e anch’io perdono te, nel caso l’abbiamo fatto noi, di tradirti dico. Ma scusa, chi c’era che voleva tutelare i deboli, chi parlava dell’Ilva, chi ha difeso la scuola e i diritti in campagna elettorale? Monti? Vabbè: va anche bene. Perché guarda, non riesco a nasconderti la gratitudine per non aver votato Grillo o Ingroia, almeno. Che con quel fatto che Monti “ha governato in modo consapevole in un momento difficile” se non altro c’entriamo qualcosa anche noi. Eppure nonostante tutto questo non ci siamo capiti del tutto, e credo che proprio questo spieghi molte cose di quello che ci è successo e che sta succedendo adesso, e che spieghi cose che tu nell’intervista però non dici. Mi piacerebbe parlarne con te (no, non lo dico per rimorchiarti, dai!). Sai perché? Perché non credo che fossero solo affari nostri, come andavano a finire queste elezioni. Credo che è la gente che fa la storia, e non un partito da solo, anche gli intellettuali, anche i leader naturali, che naturalmente fanno un altro mestiere, eppure, quando si tratta di scegliere e di andare, è un peccato che non ci siano o che ci stiano dentro con un piede solo.

Leggevo il tuo collega Reichlin ieri mattina (tuo collega in quanto ultraottantenne più figo del mondo), nelle pause tra le telefonate e i messaggi sulla tua intervista. Diceva, Reichlin, parlando del congresso del Pd: “Sento che è giunto il momento di difendere, come leva di tutto, quella cosa che io chiamo la «sinistra», cioè quella cosa che non è una campagna di stampa e nemmeno un semplice movimento di opinione ma un impasto di idee, di passione e di storia, e che non è separabile dalla vicenda della «democrazia difficile» italiana, per dirla con le parole di Aldo Moro”. Diceva non so se abbiamo capito cosa si è rivelato nel voto di febbraio, ed è una crisi della democrazia e della rappresentanza. Non so se ci rendiamo conto di cosa può succedere, diceva. Tu dici che vuoi bene all’Italia che s’innamora, anche quando s’innamora delle persone sbagliate, e io ti credo. Mo’ non ti voglio fare la predica, ma veramente pensi di potere, proprio tu, restare chiuso dentro casa quando viene la sera?

Il ministero della speranza ha detto che si può sperare, Francesco (no, il ministro della speranza nel governo Letta non c’è, dovessero chiedertelo). Insomma io penso che il futuro sia un dovere, alla mia età come alla tua, come a diciott’anni, come a ottanta. E non ho dubbi che lo pensi anche tu: per cui se trovi il tempo, ci troverai.

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