Mi candido a non rappresentare una generazione

Quando l’ho scritto su twitter l’ho scritto per scherzo, ma poi m’è venuta voglia di prendermi sul serio. Insomma io, se mi candidassi a premier alle primarie del pd, che generazione potrei rappresentare? A parte che beato il paese in cui ci si candida a premier per fare il premier, e non per fare il rappresentante di classe o per dire che si è stufi delle giacche stropicciate dei propri vicini di banco (e forse per questo si va coerentemente a trovare Armani, penso), a parte questo dico, su cui pure ci sarebbe parecchio da scrivere. Io ho intorno a quarant’anni e voto Pd, ma non lo so mica se sono una quarantenne del Pd. 

Io negli anni ottanta pensavo che la musica degli anni settanta era meglio, per dire. Io allora stavo in un’associazione i cui soci andavano da sei a cento anni, e bisognava tener conto di tutti, e questo era il bello. Io mi sono appassionata a un partito nuovo da far nascere e da costruire, ma nell’appassionarmi a questo ho imparato la gioia e la responsabilità di portarci dentro una storia che non avevo vissuto ma che è la mia, e che serve a tutti, come ha scritto meglio di come saprei fare io oggi su Europa Tommaso Giuntella, che magari non potrebbe essere mio figlio ma di cui potrei comodamente essere la zia. Insomma quest’idea che si faccia politica, o altro magari, per rappresentare una generazione secondo me è stupida, non significa niente o significa qualcosa di sbagliato. Io sto nel Pd per via di Tommi Giuntella e di Benigno Zaccagnini, ci sto per mio padre e per mio nonno, ci sto per via di De Gregori e di Paolo VI. Mica per il mio compagno di banco del liceo (compagno di banco che tuttavia, Andrea Gattini detto il Gatto, sento costantemente al mio fianco in questa battaglia, voglio dichiararlo ufficialmente a scanso di equivoci). Ma non è neanche questo che volevo dire.

Noi che abbiamo intorno a quarant’anni e votiamo Pd – e che non so nemmeno se siamo una vera e propria generazione – che cosa siamo? Che cosa potremmo mai rappresentare? Abbiamo vissuto la fine della prima repubblica, la stagione dell’Ulivo. Abbiamo contribuito a far nascere e ora sempre più stiamo facendo vivere il Pd. Abbiamo ricevuto molto dalle nostre storie e dal passato, un paese ricostruito, culture politiche che ci hanno formato, una costituzione che resta una guida sicura. Ma abbiamo vissuto i nostri primi anni da adulti in un sistema politico debole e delegittimato. In un paese incattivito e berlusconizzato. In partiti col respiro corto, spesso partiti piccoli, provvisori, dall’identità incerta, fondati su un equilibrio tra correnti e componenti e su un patto tra i loro capi. Abbiamo imparato, dai nostri zii politici, i cinquantenni e i sessantenni, un modo di procedere che ha costruito molto di buono e pure magari qualcosa di grande (a cominciare dal Pd, il primo partito italiano, e io sono convinta il partito del secolo nuovo), ma non era fondato, diciamolo senza polemica, sul coraggio, sulla fantasia, sulla generosità.

Il Pd è nato tardi, con lentezza, con fatica. Si è fondato da sempre su nuovi patti tra capicorrente, nonostante la retorica delle primarie. Ha portato con sé qualche compromesso e qualche rancore. Il problema è che noi, noi di questa generazione, siamo figli di tutto questo. Siamo abituati così. Anche noi prima di muoverci aspettiamo di vedere cosa dice il capocorrente, oppure aspiriamo a diventare capicorrente noi stessi. Mi pare che in questi confusi giorni di pre-primarie di questo noi che abbiamo intorno a quarant’anni e stiamo nel Pd stiamo dando prova. Né più né meno di tutti gli altri, quelli che ne hanno cinquantatré, sessantacinque, trentasette. Forse quelli più giovani sono diversi, o almeno mi piace sperarlo, ma questo è un altro discorso ancora.

Se continuasse così, sarebbe un peccato. Perché invece abbiamo un’occasione. Invece di candidarmi a rappresentare le bionde che amano i vestiti a fiori, sono nate nel nord della Toscana e fumano tre o quattro sigarette la sera, io vorrei contribuire a dire a questo paese magari proprio così: stropicciami la giacca (se portassi mai giacche, che mica sono un tipo da tailleur). Dirgli non c’è niente di deciso, niente di promesso, stiamo rischiando la pelle tutti, se ci volete ditecelo. Dirgli ci sappiamo anche fidare gli uni degli altri, noi. Dirgli io per esempio non mi candido a rappresentare niente perché mi sento rappresentata da uno che saprebbe fare il premier anche a nome mio. Non ha la mia età (o magari ce l’ha, a seconda dei gusti), non era in classe con me, non lo so se mi farà ministro, e non m’importa, almeno per ora (poi magari ci penso, dopo che avremo vinto). Perché voglio una politica nuova, ma nuova davvero, che cambi davvero se stessa e questo paese. Pensate alla faccia che farebbero gli italiani.

6 Responses to Mi candido a non rappresentare una generazione

  1. Carlo e può bastare

    A parte che me mi potresti rappresentare benissimo…. ma sono pienamente concorde o meglio in comunione con te.

  2. Anche la generazione di quelli de poco più picccoli della Barrella approva incondizionatamente. E copia.

  3. I nati sotto il segno del Toro approvano

  4. Fabrizio Scarpino

    Presente con il direttore Chiara, anche la generazione dei 34enni.

  5. Mario Cavallaro, sempre lui

    la generazione dei 61,15 è con te

  6. Elisabetta Barrella

    la generazione dei cinquantaduenni approva.

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