Matteo Renzi, un leader senza partito

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Alla fine, Matteo Renzi ha chiuso la telenovela sulla sua partecipazione alla Festa dell’Unità di Roma nel modo a lui più congeniale: con una trovata comunicativa. Un blitz alla vigilia della data prevista, qualche selfie, una partita a biliardino e niente comizio, con motivazione all’attacco, affidata ai giornali: «Se la vedano loro». Più ancora del curioso fenomeno di un segretario che, invitato alla festa del suo partito, pone per giorni le sue “condizioni” prima di decidere se accettare; che essendo la festa in questione quella di Roma – ed essendo il caso di Roma e della sua giunta guidata da un sindaco Pd in prima pagina su tutti i giornali del mondo – ci tiene a far sapere che però non parlerà di Roma; che infine va alla festa un giorno prima del previsto per premunirsi da “imboscate”, colpisce osservare in rete le foto della serata. Quelle immagini del segretario in mezzo ai militanti assomigliano ben poco a qualunque foto di altri leader in situazioni analoghe, trasmettono freddezza, distanza, forzatura: comunicano estraneità.

A prescindere dalla questione Roma e dalla sua terribile complessità – di sicuro non semplificata dalla scelta di gestire i contrasti tra il segretario del Pd e il sindaco Pd a colpi di dichiarazioni in tv e lettere ai giornali – la questione generale dietro questi episodi è quella dell’abbandono totale da parte di Renzi della motivazione principale che lo aveva spinto due anni fa, probabilmente contro la sua stessa indole, a candidarsi alla segreteria del Pd: quella cioè di prendersi il partito per poi puntare con le spalle coperte al governo del Paese. «Come Tony Blair», era il mantra renziano allora. I fatti, e Renzi stesso, hanno poi deciso diversamente. Di quel progetto, oggi, non resta più nulla, e da tutta Italia arrivano notizie di un partito in piena anarchia, in lite con gli amministratori locali, in guerra al suo interno, in crisi di abbandono di iscritti e militanti, nella più totale incertezza sulla propria identità e prospettiva.

La strategia del segretario, in questo scenario, è clamorosa: «Se la vedano loro». Renzi non parla del Pd, anzi irride chi si aspetta che lo faccia, all’appuntamento più ufficiale e solenne della vita del partito, l’assemblea nazionale. Renzi non spiega ai militanti della festa perché è in guerra col sindaco. Renzi non affronta l’eventualità di contestazioni e non accetta paragoni sulla partecipazione e il consenso con gli altri dirigenti del Pd. È l’altra faccia del Renzi premier, che taglia la sanità senza incontrare un assessore regionale alla sanità o un presidente di regione, che sceglie per sé lo storytelling dell’ “Italia bella” e si tiene lontano dai problemi e dai “musi lunghi”, che preferisce rispondere alle letterine dei militanti che affrontare le domande di un’intervista: aspetti diversi di una strategia legittima ma discutibile, e alla lunga forse rischiosa. Ma c’è di più, nel Renzi segretario, rispetto al Renzi premier: c’è la distanza e il disinteresse, la rinuncia a esercitare un ruolo.

Certo, il presidente del Consiglio ha altro da fare. Certo, non sporcarsi le mani con le questioni locali è una strategia (alla faccia del “metterci la faccia”, ma vabbè). Certo, Renzi eredita mali storici e difetti d’origine non ascrivibili alla carenza di direzione politica attuale. E però c’è dell’altro; c’è che governare il Pd essendo Matteo Renzi non è difficile: è impossibile. Perché un sindaco dovrebbe obbedire a un segretario che, da sindaco, non ha rispettato nessuna regola di vita comune del partito? Perché dovrebbero funzionare gli organismi dirigenti guidati da un segretario che prima di essere segretario ha sempre irriso e disertato gli organismi dirigenti? Perché dovrebbe comportarsi come una comunità politica un partito che è stato il terreno di uno scontro di potere senza precedenti e che oggi rinnega la sua stessa storia politica (vedi gli attacchi alla “sinistra a cui piaceva perdere” eccetera)? Perché dovrebbe piegarsi chi dissente, se ogni giorno viene sfidato a non farlo?

Sono cose che succedono a chi sega i rami su cui è seduto, pensando così di salire più in alto. Probabile che Renzi abbia deciso di salvarsi da solo, senza il Pd. Vedremo se gli riesce.

3 Responses to Matteo Renzi, un leader senza partito

  1. Perché a furia di dare l’esempio prima o poi,manca tanto eh ma io ho pazienza, arriverá qualcuno, magari dei suoi, che si alzerà e dirá in favore di camera “se Renzi è in grado governi altrimenti vada a casa.”
    Sipario.

  2. “non sporcarsi le mani”, dici.
    uno duro di comprendonio come me ha capito questo:
    1. che renzi non gradisce marino
    2. che gli ha dato l’ultima chance e ora son cazzi suoi, fra sei mesi se ne riparla e secondo come tira il vento i consiglieri comunali del PD fanno cadere la giunta per andare a elezioni.
    se per “non sporcarsi le mani” intendi “scaricabarile” e “io non ho responsabilità in questa situazione è tutta colpa di quell’incapace di marino” allora son d’accordo con te. se per “non sporcarsi le mani” intendi “roma è una questione locale sulla quale non intervengo”, invece, non son d’accordo, perché renzi è intervenuto, eccome.
    anzi, mi chiedo come tutto questo interventismo sugli affari locali si concili con la filosofia “chi vince le elezioni governa e ne risponde solo agli elettori” (la filosofia ispiratrice dell’italicum, peraltro).

    • chiarageloni

      Ho scritto “non sporcarsi le mani con le questioni locali”. Intendo una strategia generale di non-governo del partito e dei suoi casini, non solo su Roma e non solo su Marino

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