Attenzione a dare per morti i Popolari

Sul Foglio di oggi è uscito questo mio contributo al dibattito sui cattolici nel Pd. Nella stessa pagina, gli interventi di Enrico Letta, Roberto Reggi, Giuseppe Fioroni, Giorgio Tonini, Mario Adinolfi. Ve li consiglio (chi più, chi meno). 

È interessante riflettere su come la stampa, specie quella solitamente dedita al classico tema del “disagio dei cattolici nel Pd”, oggi scopra la notizia del “tramonto dei popolari”. Il vento rottamatorio non poteva lasciare certo immuni gli eredi di quello che è uno dei due antichi filoni culturali del Pd, e anzi forse i commentatori son stati fin troppo distratti finora, complice la zona d’ombra in cui la guida a sinistra di Bersani e l’arrembante scalata di Renzi hanno posto i vecchi dirigenti cresciuti a piazza del Gesù, poi colonna portante organizzativa e funzionale della Margherita dietro la leadership di Rutelli. Improvvisamente, invece, eccoli nel mirino dei nuovisti: ottusamente intransigenti nell’opposizione al renzismo, gaberianamente autorottamati dal “la mia generazione ha perso” del loro leader storico Castagnetti, tragicamente demodé nella diffidenza per gli entusiasmi partecipativi da gazebo.

Che con la nascita del Pd sarebbero finite le rendite di posizione gli ex Popolari lo sapevano, il che non ha impedito loro di trovare il colpo di reni per dare infine un senso a questa storia, liberandosi dalle resistenze di Rutelli e recuperando autonomia nel guidare ciò che restava del cattolicesimo democratico italiano verso il suo destino, il partito dei riformisti. Tra il dire e il fare poi però spesso arriva il difficile, e il matrimonio coi “compagni” non s’è rivelato psicologicamente leggero. Era stato molto più semplice con Rutelli, era bastato mantenere quel po’ di controllo della macchina. Con gli ex Pci la competizione era in campo aperto, non serviva più l’organizzazione ma la forza delle idee e delle personalità. Così qualcuno s’è buttato a presidiare un po’ di temi, la scuola, l’etica, provando a guadagnarne l’esclusiva e rassegnandosi al minoritarismo; qualcun altro ha provato a sponsorizzare una sinistra light versione Veltroni, e ha finito per credere che l’erede del pensiero politico di De Gasperi sia Francesco Giavazzi e che il cattolicesimo sociale sia stata una stravagante idea minoritaria di quello “statalista” di Dossetti; e poi ci son stati quelli che si son buttati sul nuovo che più nuovo non si può, versione Matteo.

Però attenzione a darli per morti, i Popolari. Furono i primi e i più lucidi, loro, a riconoscere a suo tempo il pericolo berlusconiano. Si chiamavano ancora sinistra Dc, c’era la legge Mammì sul tavolo, il loro fu un gesto profetico e anticipatore. Non ci fu altrettanta lucidità nel Pci, tantomeno tra i dorotei già succubi di Craxi. E non è l’unico caso, da allora, in cui la cultura dei cattolici democratici si è rivelata quella giusta e più solida per interpretare i tempi, magari contromano: difesa della costituzione, no al leaderismo spinto, cultura delle autonomie senza estremismi localistici, ispirazione solidale. Quello che manca oggi semmai è una generazione di giovani politici capaci di interpretarla “adesso” quella cultura, con un linguaggio adatto ai tempi e con le famose facce nuove. O magari ci sono, ma dove, un po’di “giovani turchi” in versione cattodem?

5 Responses to Attenzione a dare per morti i Popolari

  1. Stefano Vaccaro

    In realtà credo che quella che è saltata sia l’equazione cattolici=centro, exDS=sinistra. Forse era cosi` all’inizio, ma non mi pare piu` un automatismo. In fondo io guardo con interesse ai “giovani turchi” e riconosco le mie origini in una matrice dossettiana, se ho ben capito tu hai fattu un percorso simile, lo stesso si puo` dire di Tommaso Giuntella e perfino in parte di Rosi Bindi (che non è magari giovane, né turca, ma certo non la definirei centrista). Non sei d’accordo?
    Ciao
    Stefano

  2. CARISSIMA CHIARA HO SCOPERTO IN RITARDO IL TUO “…DARE PER MORTI I POPOLARI”.
    IO HO RISPOSTO PER ALTRI VERSI A GIORGIO ARMILLEI SUL SITO LANDINO.
    MA CON UN POCO DI AUTOCRITICA PER QUELLO CHE I CATTOLICI DEMOCRATICI E POPOLARI POTEVANO FARE DOPO L’APPRODO NEL PD, E PER QUELLO CHE INVECE NON HANNO FATTO.
    ACCETTA UN SALUTO NINO

    Come diventare marginali
    Cultura, Politica, Società | Giorgio Armillei | ottobre 8, 2012 13:03
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    COME DIVENTARE MARGINALI
    I popolari ambivano ad esercitare un ruolo significativo nel Pd. In effetti almeno alcuni di essi avrebbero avuto la possibilità di esercitarlo perchè, memori di un partito che nella logica della Prima Repubblica stava solidamente al centro ma muovendosi verso sinistra, avrebbero ben potuto nella Seconda coprire un ruolo di cerniera in un partito di sinistra rivolto verso gli elettori di centro.
    Così non è stato perché essi hanno innanzitutto scelto la strada dei figli di un Dio minore. La massima ambizione in sede locale è stata quella di fare i vice-sindaci o i presidenti di provincia, quasi mai di fare i sindaci. Almeno su questo Renzi ha segnato una rottura. A questo atteggiamento in sede locale ha fatto poi riscontro una corrispondente scelta tattica sul piano nazionale: i quattro gruppetti in cui si sono segmentati hanno cercato ciascuno un’intesa separata col centro burocratico degli ex-Pci per garantirsi ciascuno una filiera correntizia scissa però da un ruolo politico effettivo. Bindi e Letta prima delle scorse primarie, Franceschini e Fioroni dopo di esse.
    A queste scelte strutturali (periferica e centrale) si sono poi accompagnate le scelte culturali con esse coerenti:
    -sulle istituzioni politiche, anziché raccordarsi allo slancio riformatore della costituente, dove i Dc erano stati molto aperti, relativamente ai tempi, nel volere un governo istituzionalmente forte, fino all’accettazione dell’elezione diretta del presidente con Tosato, si è preferito scegliere la nostalgia regressiva dei comitati Dossetti, spesso ben al di là di quanto abbiano fatto gli eredi del Pci;
    -sulla forma partito, anziché ricordarsi delle battaglie di De Mita e Andreatta per una figura di segretario non primus inter pares tra i capi corrente, i popolari continuano anche oggi, a danno di Bersani, a riproporre quella visione indifendibile che segnò il declino Dc;
    -sul rapporto tra politica ed economia, anziché seguire il magistero post Centesimus Annus centrato su poliarchia e sussidiarietà e l’eredità degasperiana e sturziana, si sono accodati alla polemica anti-liberista e vetero-socialdemocratica, tranne forse qualche episodico sussulto di Enrico Letta.
    C’è quindi da supirsi se a un certo punto Renzi abbia individuato un vuoto e lo abbia, con i suoi limiti, coperto, togliendo in periferia le basi di consenso a gruppi così conservatori, allineatisi col centro burocratico dell’ex-pci con esiti così estremi da risultare una zavorra persino per Bersani?
    Vada come vada il risultato finale, alla fine la partita si giocherà tra Bersani e Renzi. E i popolari saranno ai margini, impegnati a conservare i vecchi schemi.

    Nino Labate risponde a Giorgio Armillei
    Nessuna categoria | Giorgio Armillei | ottobre 10, 2012 20:33
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    RISPOSTA DI NINO LABATE
    Flaubert sosteneva che togliere dalla testa i luoghi comuni significa far fare un passo avanti alla conoscenza. Ignoravo i “4 gruppetti” e l’opzione verso i “figli di in Dio minore” che ritengo possibile e non mi sorprendo, dati i criteri casuali di selezione della nuova classe politica a tutti i livelli. Mentre mi risulta che la “cerniera” verso il centro, la cura cioe’ di un elettorato che oggi con una forzatura sociologica chiamiamo moderato ma forse faremmo bene a chiamarlo “incazzato”, sia sempre stata una preocupazione costante, prima dei popolari “margheritini”, e dopo dei popolari del pd. Non ci sono riusciti anche per incomprensioni ideologiche interne.
    Questo fallimento e’ stato pero‘ fatale perche’ ha fatto accantonare (anche) il patrimonio culturale che portavano in dote , il quale andava invece alimentato, incarnato nella storia, e offerto ai compagni di percorso e al paese intero una volta filtrato delle cose che non reggevano la sfida dei tempi.
    Oggi questo patrimonio e’ depositato solo nei rivoli della nostra costituzione mentre poteva essere “pungolo” di un nuovo corso del centrosinistra e servizio etico alla democrazia politica. La grave colpa dei cattolici democratici e popolari del pd e’ stata allora proprio quella del disinteresse dimostrato verso le loro radici culturali (la democrazia non tratta solo procedure e regole, competizione e consociazioni, bipolarismo o bipartitismo, primarie e secondarie, ecc.) contribuendo ad affossare in modo definitivo la sostanza della loro presenza politica e della loro collocazione negli schieramenti. Non erano necessarie correnti interne, tessere e ruoli oligarchici di vertice. Bastava solo un luogo di dibattito e di incontro.
    Ma arrivati a questo punto io e lei, caro Armillei, non siamo piu’ d’accordo. Un luogo comune antistorico vuole infatti che i cattolici democratici e popolari siano ( e siano stati) statalisti, centralisti , “bolscevici”, dirigisti, pianificatori , contro la proprieta’ privata e il libero mercato, antiliberali, contro il privato e a favore del pubblico, catto-comunisti , ecc.
    Tutte sciocchezze! La storia patria del cattolicesimo politico specie di quella parte cattolico democratica e popolare del secondo dopoguerra, parla infatti (fra luci ed ombre) un linguaggio diverso. Il filo rosso dice infatti di una storia innanzitutto democratica rivolta alla partecipazione delle masse popolari, e poi riformista. E le imprese pubbliche si sono sviluppate piu’ per incapacita’ del mediocre e provinciale capitalismo italiano che chiedeva assistenza e non sapeva rischiare che per la volonta’ statalista della democrazia cristiana e del consociativismo.
    Ma questo discorso ci porterebbe lontani. Da sturzo in poi e arrivando alla nostra carta costituzionale, le liberta’ e il libero mercato, mettendo al centro la persona, i corpi intermedi, sino allo stesso capitalismo economico regolato, sono infatti state le idee del cattolicesimo politico del novecento.
    La spesa pubblica? Governi di tutto il mondo (liberisti, socialisti, socialdemocratici e cristiano democratici) non la hanno potuta frenare! Non c’e’ tuttavia dubbio alcuno invece, che proprio in virtu’ delle radici culturali c’e’ stata una precisa scelta privilegiata: quella della coesione sociale e della collegialita’ (cercata anche nella chiesa post-conciliare!). E quindi, se vuole, la presa di distanza dal leaderismo e dal presidenzialismo di “un uomo solo al comando”. Favorendo il lavoro di squadra , il territorio, la comunita’, il collettivo, il gruppo, insomma il parlamento come luogo centrale di mediazione dei conflitti e degli interessi, e della ricerca del bene comune. Attraversando la “complessita’ sociale ’” morotea , la centralita’ del parlamento, nel piu’ giusto equilibrio con i rimanenti poteri costituzionali, e’ stata una scelta culturale (!). Da Dossetti in poi (peraltro continuamente frainteso anche nelle sue aperture riformiste), da La pira, Lazzati , arrivando a Moro, Zaccagnini, Bodrato, Martinazzoli e Andreatta sino a Elia , Scalfaro e se vogliamo allo stesso Scoppola, il parlamento e’ stato il luogo istituzionale di riferimento, oggi spodestato e in ritirata di fronte al nuovo dirigismo della Bce su cui si tace!
    E’ fuori dalla cultura politica liberale tutto cio’? Decida lei.
    Certamente c’e’ stata, specie nei suoi rigurgiti neoliberisti, la feroce critica di quella “filosofia” che ritiene l’individuo il centro dell’universo e che va sotto il nome di individualismo metodologico verso cui con un vero e proprio ossimoro politico hanno purtroppo disinvoltamente dimostrato interesse diversi cattolici.
    Quel neoliberismo senza comunita’ di appartenenza, anarchico, che si autodetermina, con molta societa’ (sic) e poco stato, con molta societa’ civile (sic) e poca societa’ politica, autonomo, con il partito politico in ritirata, ma poi nelle mani delle forze economiche e della “mano invisibile” di quel capitalismo finanziario, wall street e grandi banche, che ormai rappresenta il vero potere reale supercentralizzato ( e surrettiziamente superstatalista!) che manda in crisi la stessa idea di poliarchia nella sua versione di pluralismo economico e sociale.
    Ebbene di fronte a tutto questo tsunami di paradigmi, non c’e’ stato un solo cattolico liberale, (non dico cattolico sociale) uno solo, che abbia alzato (e alzi) un dito di denuncia e di allarme.
    Su renzi e sulla sua grande sciocchezza della rottamazione e’ meglio evitare. E mi dispiace che lei riduca banalmente il riempimento di un vuoto, che pure esiste, al rapporto tra politica ed economia. questione seria quest’ultima ma che pero’ da sola non risolve e risolvera’ il futuro della democrazia politica e delle societa’ .
    La marginalita’ del cattolicesimo democratico e popolare e’ ormai a tutto campo. A partire dal vuoto culturale che colpevolmente non e’ riuscito a coprire abbandonando una nobile tradizione al suo destino.
    Ma non tocca a me la sua difesa d’uffico.
    Posso pero’ solo constatare che i luoghi comuni, anche quelli storiografici non solo quelli cattocomunisti della propaganda politica, non vanno via facilmente.
    Ma, come pensava Flaubert, creano purtroppo facili pregiudizi e non fanno crescere la conoscenza.

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