Io, la nonna Andreina, De Gregori e Ruini (nel ventennio berlusconiano)

Quasi vent’anni fa, quando avevamo più o meno vent’anni, non era stato difficile scegliere e decidere che no, Berlusconi no. Insomma, bene o male avevamo dei genitori, avevamo avuto dei nonni. Mia nonna Andreina quando ero piccola mi diceva: “Lo vedi quello, è un comunista. Ma un comunista come ci vorrebbero tanti democristiani”. Una brava persona, insomma. Mia nonna cantava Biancofiore. Bandiera rossa no, non credo, ma Fischia il vento infuria la bufera ce l’aveva insegnata.
Avevamo più o meno vent’anni, e non è che ci piacesse molto la politica della prima repubblica. In Azione cattolica, certo, che dovevi votare Dc trovavano il modo di fartelo capire, anche se lo sapevi che non lo facevano tutti, non era obbligatorio. Guardavi ai democristiani di sinistra, quelli che si erano dimessi da ministri contro la legge Mammì (e tu eri a un camposcuola in un paesino fuori dal mondo, e poi qualcuno era andato al bar e aveva telefonato a casa e l’aveva saputo, e avevate esultato, sissignore: esultato per qualcosa che avevano fatto dei ministri democristiani, pensa te). Cercavi di votare quelli, almeno: allora scegliere si poteva. Poi c’erano stati i referendum, e ci si era illusi di cambiarla, la politica, e che niente sarebbe stato più come prima. Arrivava il maggioritario, e il tuo mito De Gregori cantava Adelante adelante alle convention di Mario Segni e tu pensavi, anche se lui non l’aveva ancora scritto, che da adesso in poi, “sempre e per sempre dalla stessa parte”, e aggiungevi: “Finalmente”.

Non è che potevi scegliere quella specie di partito dei ricchi, dei contro le regole, della politica come marketing e imbonimento televisivo, o la sua variante ruspante e leghista. Ti avevano insegnato che la politica era una cosa seria, e anche tutte quelle cose del bene comune, della “forma più alta della carità”, dell’opzione preferenziale per i poveri. E sinceramente, i fascisti erano fascisti. Ecco, la nonna non aveva mai detto: “Quello è un fascista come ci vorrebbero tanti democristiani”. Solo: “Quello è un fascista”, e basta. E si pronunciava facendo strisciare la “sc”, come dire: no no, per carità. Non si poneva proprio, il problema.

Non era tanto questione di Prodi in quanto cattolico come te, è che proprio l’Ulivo era perfetto. I Popolari erano eroi resistenti, erano quello che avevi sempre sperato che fossero. Gli ex comunisti erano leader giovani e intelligenti con i quali eri curiosa di camminare. I sindaci della stagione dei sindaci erano gente dalla biografia originale e dalla competenza incontestabile, che sapevano farsi voler bene ma anche cambiare le cose. Si partì, insomma.

E poi a noi che allora avevamo più o meno vent’anni ci è toccato in sorte, come democratici, il ventennio berlusconiano, e come cattolici il ventennio di Camillo Ruini. Sapevamo che non sarebbe stato facile; così difficile forse non pensavamo.

 

In politica, ok, si cominciò subito a litigare, cadevano i governi, si cambiavano i leader, per lo più rivinceva Berlusconi, poi però un po’ di volte gliele abbiamo risuonate noi. Cosa ho capito, alla fine? A pensarci bene, credo quello che sapevo da prima. Che non devi stupire l’Italia, la devi convincere. Che non si tratta di azzeccare il leader giusto, ma di fare politica. Sento spesso richiamare i fasti dell’Ulivo per dire il contrario, eppure l’Ulivo era questo: un’alleanza larga, larghissima; un leader che più antileader non si poteva. Una roba credibile, però: solida. Che parlava chiaro, e non nascondeva da dove veniva e dove voleva andare. E poi, in campo la squadra migliore non in astratto ma per il gioco possibile, tenuto conto delle regole: perfino la desistenza coi rifondatori del comunismo si fece; per non mandare disperso neanche un voto, utilizzando al meglio le regole elettorali di allora. Credo che si vinse per quello, non tanto (non solo) perché l’Ulivo era una cosa nuova, ma anche perché non faceva finta di essere nato sotto un cavolo. Credo che agli italiani piacesse concretamente decidere chi e per fare cosa, non tanto in astratto il modello maggioritario. Credo che noi, la nostra parte, siamo quelli della Costituzione; che chi decide di fidarsi di noi non ci chiede di essere americani ma di essere italiani, italiani come quelli che la Costituzione l’hanno scritta, sulle macerie del ventennio fascista. Costituzione vuol dire un paese di uomini liberi e di uomini con uguali diritti. Vuol dire un’Italia federalista ma solidale. Vuol dire un sistema istituzionale plurale, in cui votare non significa conferire a qualcuno i superpoteri. Vuol dire una repubblica parlamentare, in cui il Parlamento ha una dignità e un ruolo, in cui i deputati e i senatori non si vergognano di dire sul treno perché vanno a Roma e non si inventano frasi vaghe per non dire: “Sono un deputato” (non ve l’hanno mai raccontato? Lo fanno). E vuol dire partiti: comunità di persone che fanno volontariato, formazione, azione comune, e che funzionano secondo le regole della democrazia e non si travestono da “Comitato Taldeitali” per non farsi riconoscere. Io lo voglio così, il Partito democratico. Voglio che sia un partito, e che sia democratico. Non è mica una gran pretesa.

Insomma in questi vent’anni ho capito che forse sono un po’ conservatrice? Può anche darsi, vabbè. Anzi, lo sono di sicuro, conservatrice, se la novità è il berlusconismo, e quando Berlusconi non ci sarà più io voglio che questo paese cambi direzione, non che vada avanti sulla strada di questo ventennio. Voglio che riprenda la strada della Costituzione, sì. Mi preparo per questo, mi batto per questo. Vedete che non ho parlato di primarie, o di rinnovamento della classe dirigente, o di difesa del bipolarismo: ebbene, credo che ci siano battaglie più importanti da fare, cose che vengono prima. Senza contraddire queste, certamente. Ma senza quelle altre cose, senza la Costituzione, senza la politica, delle primarie e del bipolarismo non mi importa niente. E nemmeno della bella faccia di un leader, nemmeno eventualmente se fosse un leader amico mio.

In questi vent’anni non ho avuto figli, alle mie amiche che li hanno avuti a volte chiedo: ma se fossimo cresciute noi in questo tempo in cui sono cresciuti loro, ci saremmo andate all’Azione cattolica e tutto il resto? Per lo più ci rispondiamo di no (e infatti i loro figli non ci vanno). Io, personalmente, credo che il fondo della rabbia l’ho toccato per i funerali di Piergiorgio Welby. Non simpatizzo per i radicali e non ho solidarizzato particolarmente con la sua battaglia, lo ammetto. Forse non l’ho condivisa, forse non l’ho capita: politicizzare la malattia e la morte di una persona è qualcosa che non riesco ad accettare. Resta il fatto che c’è la persona, anzi probabilmente è proprio per quello. E allora quei funerali in piazza, quella chiesa negata, io non li ho proprio potuti sopportare. Una fotografia perfetta e tragica di questi anni, comprese le suorine in piazza a soffrire con tanti cattolici e con la vedova di Welby fuori dalla chiesa: sbattuti fuori, anche loro. Per principio, per aver ragione. Costretti a restare fuori pur di condividere il dolore di qualcuno e dimostrare un po’ di compassione e di umanità. Io, figuriamoci, sono una che si arrabbia anche se mettono la cancellata sugli scalini di Santa Maria Maggiore; sono una che pensa che una chiesa ha senso anche perché i turisti ci si possano sedere davanti, figuriamoci. Sono cresciuta in una chiesa così, dove chi arrivava era il benvenuto, e se era una persona sofferente era il padrone di casa. Poi mi sono ritrovata in una chiesa alla quale interessava di più avere ragione, non cedere, affermare se stessa. Non è stato piacevole, non è piacevole. Non è tutto così e non sempre, per fortuna.

Ho odiato quello slogan al tempo del referendum sulla fecondazione assistita: sulla vita non si vota, diceva. Su cosa diavolo si vota allora, su cosa si decide se non sulla vita delle persone? Cos’è la politica se non è questo? Cosa ha insegnato la Chiesa in questi anni a proposito della politica, del bene comune, delle opzioni fondamentali? Che sulla vita non si vota? Come è stato possibile, come abbiamo potuto permetterlo? Romano Prodi si ribellò, e disse: “Sono un cattolico adulto”. Lo misero sotto processo, anche in casa nostra, come se non ci avessero insegnato, da anni, che la “fede adulta” è l’obiettivo della formazione di ogni cattolico, che non può esaurirsi con il catechismo fino alla cresima. Se n’è fatta di strada all’indietro.

Con il ventennio berlusconiano tutto questo c’entra. Perché è cambiata l’Italia in questi vent’anni, e la Chiesa italiana si è ritrovata culturalmente sempre più ai margini e contrattualisticamente sempre più forte. Il problema è che le è piaciuto.

Credo però che molto stia cambiando adesso, e sarà interessante capire come. La chiesa, nel senso della gerarchia, sta comprendendo che arroccarsi in difesa la conduce ad una posizione di forza solo apparente, mentre in realtà la isola dalla vita vera degli uomini, ed è anche profondamente delusa dalla parte politica che sembrava averle dato maggiori garanzie. Sta tornando il gusto di misurarsi con i problemi, di giocare in campo aperto e su un altro piano.

Qui, io credo, stanno mancando i cattolici democratici. Intendo quelli di cui parlavo prima, quelli che ai miei occhi di ventenne erano gli eroi resistenti di una politica che aveva il coraggio dei suoi bagagli e del suo futuro. La cultura della mediazione, l’autonomia della politica orgogliosamente rivendicata ancora pochi anni fa dal documento dei Sessanta parlamentari cattolici che si ribellò al Non possumus di Avvenire sulle coppie di fatto (e fu definito un atto fondativo del Partito democratico, quel documento), dovrebbero oggi, al crepuscolo del berlusconismo e del ruinismo, ispirare una nuova stagione creativa negli eredi degli uomini che seppero a suo tempo, nel proprio campo, anticipare il Concilio, e che prima ancora avevano risollevato l’Italia dopo aver resistito al fascismo. Lo stesso Benedetto XVI invoca ormai ripetutamente l’avvento di una nuova generazione di politici cattolici, segno di una volontà di restituire a laici che sappiano meritarselo il ruolo che spesso gli è stato negato, ma purtroppo anche di scarsa o nessuna fiducia nei politici cattolici attuali, pur così numerosi e riveriti.

Non riesco a consolarmi di questa timidezza, fuori dal Pd e soprattutto al suo interno. Me la spiego, perché in questi vent’anni l’autonomia e il ruolo dei laici cattolici cono stati programmaticamente negati, e le loro uniche battaglie sono state sempre giocate giocoforza in un’esasperante difesa. In molti hanno teorizzato l’esaurimento di quella cultura, da superarsi con un vitalismo popolare e un po’ spontaneista o col protagonismo clericale di ispirazione ruiniana. Ma mi sorprende che proprio adesso che la battaglia può ricominciare, sembri non esserci più nessuno che ha voglia o energie per  combatterla.

Nel Pd i cattolici sembrano appassionarsi alla rivendicazione di quarti di nobiltà e rendite di posizione, quando va bene, o peggio alla pericolosa e sterile lamentazione sul peso della convivenza coi “compagni” e sull’accusa di tradimento di uno “spirito originario” che non si capisce bene a che titolo qualcuno si arroghi il diritto di rivendicare. Oppure si dedicano ossessivamente alla stesura delle regole e alla loro applicazione – lo statuto, le primarie, la legge elettorale – come se, tesi alquanto deprimente, le ragioni dell’esistenza del Partito democratico dipendessero da una legge elettorale o da un meccanismo di selezione del leader, dando l’impressione di perdere di vista il quadro generale, la proposta da fare al paese, le scelte fondamentali sulle quali costruire il dopo Berlusconi.

Io penso che sarebbe il momento di entrare in campo a viso aperto e di mettersi in gioco dentro il Partito democratico, forti di se stessi, della propria storia e del proprio patrimonio culturale, senza paura di essere un “piccolo gregge” eventualmente, anche perché non sarebbe la prima volta che i cattolici democratici si mettono alla guida dei cambiamenti senza avere i numeri per rivendicare il diritto di farlo. Sarà, ma mi scoccerebbe parecchio passare i prossimi vent’anni ad aspettare che nasca una nuova generazione di politici cattolici ingannando il tempo ad occuparmi di organizzare primarie o a lucidare i ritratti dei padri.

per la rivista Paneacqua, estate 2011

12 Responses to Io, la nonna Andreina, De Gregori e Ruini (nel ventennio berlusconiano)

  1. Giampaolo Filipponi

    Una ricostruzione storica e realistica degli ultimi 40 anni del ns paese. Anch’io mi ritrovo in questa realtà,condivido ampliamente la tua analisi politica, nella quale rivedo il mio passato di giovane comunista. Oggi purtroppo che i miei ideali socioumanitari, sono svaniti, mi sono rivolto agli stessi, che ha insegnato il compianto DON ANDREA GALLO. Cioè il VANGELO di GESU’ CRISTO,

  2. Parlo dalla prospettiva di ateo non di sinistra che non ha mai visto ne’ l’oratorio ne’ la festa dell’unita, neanche da lontano. Tua nonna mi ricorda mia madre, pero’: avevamo anche dei cattolici infiltrati in famiglia.
    Sono da 20 anni all’estero, e ricomincio a seguire solo ora che il ciclo BS sembra volgere alla sua fine.
    Bene, mi fa impressione a quale punto la chiesa abbia perso influenza elettorale. E’ il prezzo dell’irrilevanza sociale di cui parli, e forse lo colgo piu nettamente di chi in italia ci e’ rimasto.
    E’ cio’ che speravo avvenisse, ma devo dire che gia’ nel 1994, ridendo e scherzando, dicevo agli amici (BS l’ho sgamato in pochi minuti) “finira che rimpiangeremo la DC”. Loro non credevano, ma sono sicuro che hanno avuto momenti di sconforto in cui il rimpianto fu inevitable.

  3. Leggo solo adesso l’articolo… molte immagini mi ricordano i miei vent’anni anche se sai bene vissuti dall’altra parte della barriccata, allora… Mi trovo a riflettere quindi sulle idee (quelle si rimaste le stesse nel corso degli anni) e mi accorgo che quelle idee meglio sono rappresentati dagli “altri”, dai “voi di sinistra”… Percorso doloroso, ma affascinante anche lo scoprirmi lontano da un cattolicasimo che vedevo come tradizione di una nazione, ma che ho trovato sempre più spesso anacronistico di fronte ai temi dei nuovi “ultimi”… E poi altri mille pensieri che un giorno forse…

  4. Leggo oggi il tuo meraviglioso articolo! All’oratorio o al campo Scout lo avremmo chiamato “testimonianza”, no? . E in quest’ottica ti posso dire che hai davvero parlato al mio cuore. Grazie. Anch’io mi ritrovo in pieno, naturalmente. Dopo la scissione della DC la prima speranza è stata in Martinazzoli e poi nella Margherita. La prima esperienza politica “maggioritaria”, in cui mi sono ritrovato per la prima volta insieme ai “comunisti” è stata la competizione elettorale per eleggere il sindaco di Roma nel ’93 (in quell’anno, appena laureato, ero a fare il servizio militare di leva alla Cechignola e.. tra Fini e Rutelli non ho avuto un attimo di esitazione nel sostenere con i miei commilitoni le ragioni del centro-sinistra) e da allora prima con il PPI di Martinazzoli, poi con la Margherita, poi con l’Ulivo, la mia coscienza di cattolico non ha mai avuto seri ragionevoli dubbi che mi impedissero di sostenere le ragioni politiche di centro-sinistra. Anzi, il disagio c’era nel constatare il regresso nella gerarchia ecclesiastica rispetto al valore testimoniale della fede vissuta: in Vaticano forse contava di più che un pubblico concubino come Berlusconi sostenesse la sacralità della famiglia (insieme a Fini, Casini, Bocchino) piuttosto che un testimone della vita coniugale come Romano Prodi che cercava di occuparsi dei problemi delle convivenze. E’ stato il tempo degli “atei devoti”, delle “contestualizzazioni” delle bestemmie, dei fini che giustificavano i mezzi (penso a CL, a don Gelmini, don Verzè, il sistema sanitario Lombardo e Laziale). Spero davvero che si cambi pagina. Le notizie di oggi, 8 gennaio 2013, che il forum cattolico di Todi sta ripensando la partership con Monti e le sue liste “rotary” mi lascia ben sperare che qualche cattolico in più abbandonerà la comoda illusione dell’uomo della provvidenza. Grazie Chiara di esistere. Un abbraccio. Oggi ho scoperto il tuo blog e cercherò di visitarlo spesso. Ciao

  5. Assunta Maria Matteucci

    Grazie, Chiara. Dopo averti letto la giornata finisce bene.

  6. Ho letto quanto tu scrivi solo oggi, 5ottobtre, sono entrata sul sito dopo averti ascoltato ad Agorà, appena aperta la canzone che tu consigli di leggere ai membri dell’assemblea di domani, non ho più seguito la tele, ma letto tutto questo tuo bellissimo scritto con nonna Andreina compreso!! Condivido tutto, sei bravissima, e confesso che avendo sempre frequentato non l’oratorio, ma le fumose sezioni x tanti anni, sono piacevolmente colpita da ciò che scrivi ancora di più, io , in modo superficiale, quel mondo , l’ho sempre un po’ sottovalutato, la mia parte, la mia famiglia, non la nonna, erano comunisti e basta. Oggi inizio meglio la giornata. Grazie!!

  7. Madonna, che brava!, volevo correggere l’espressione, ma ho convenuto di scrivere come mi è nata dentro, come ho concluso la mia lettura. Complimenti, ma mi ha preso anche una strittezza ne leggere la data e vedere come poi ci si trova, come delle tante persone ricche di sensibilità e di cultura va a finire il loro contributo nato dall’attenzione e dallo sforzo di comprendere in che situazione ci si trova e cosa fare per vivere tutti quanti meglio. Via la tristezza, una stretta di mano felice, luigi

  8. Scritto benissimo. Ed è già una gran cosa di questi tempi. Ma soprattutto mi ci ritrovo completamente: ho fatto le stesse esperienze; ho pensato più o meno le stesse cose; avevo più o meno gli stessi “eroi”; ho il medesimo sguardo sul futuro……peccato non aver avuto anche nonna Andreina!!

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